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Tulipani di seta nera

‘Jawhara Insha’ Allah’: dalla voce delle donne

Un viaggio tra le culture alla scoperta di identità personali

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Jawhara Insha’ Allah, per la regia di Arianna Proietti Mancini e Claudia Paola Sagona, è stato presentato al Festival Internazionale della Cinematografia Sociale Tulipani di Seta Nera.

Il documentario, della durata di cinquantasei minuti, porta in scena un vivo confronto fra culture, religioni e tradizioni differenti nelle loro manifestazioni e nelle loro credenze: quella dell’Islam e quella occidentale. Il tentativo è quello di costruire un ponte del dialogo, segnato dal rispetto per le reciproche specificità, ed ascolto di queste. Protagoniste sono soprattutto le donne, che con la propria voce sviscerano esperienze, vissuti, punti di vista e pensieri su molteplici temi di carattere sociale, culturale e religioso.

Il fine ultimo del lavoro da parte della regia è quello di rappresentare uno spazio sicuro di confronto, libero da pregiudizi e soprattutto aperto alla comprensione di ciò che è diverso o distante dalle personali credenze e convinzioni. Per approdare non a verità definitive, bensì a punti interrogativi da porsi, e nuove riflessioni da compiere, un po’ più liberi dalla paura.

Le donne protagoniste

Sono le donne l’elemento cardine di Jawhara Insha’ Allah, si è detto. Donne diverse, simili. Giovani donne, mature ed infine anziane. Donne che indossano il velo, altre che hanno scelto di non indossarlo. Ed altre ancora che cercano di capire che cosa preferiscono fare. Insomma, donne diverse, nella loro singola specificità, ancor prima che culturale, sociale e religiosa, sicuramente personale.

Donne occidentali da una parte, donne legate alla cultura e tradizione dell’Islam, dall’altra. Esseri umani, infine, impegnati – per tutta la durata del documentario – in un importante sforzo di comprensione dell’altro da sé che ci si trova di fronte. Disposti al dialogo e all’ascolto. La cinepresa di Arianna e Claudia, in definitiva, non dà vita in alcun caso a un movimento di separazione, ma sempre di partecipazione e di unione, nel pensiero e nell’azione.

La personalità di Loubna

A spiccare è sicuramente il personaggio di Loubna, interpretato proprio dalla giovane in prima persona, come tutte i suoi colleghi, per la sua straordinaria semplicità e magistrale sensibilità emotiva. Loubna è cresciuta in una famiglia di tradizione islamica, eppure non indossa il velo. Ancora, non si è sposata, non ha figli, e studia all’Università. Il ricercato confronto con Loubna da parte delle registe appare quindi di fondamentale importanza: come si riesce a mantenere la propria individualità personale nei confini di una cultura familiare per certi versi limitante? Si può decidere chi essere davvero? Loubna si è posta le stesse domande e pur non essendo ancora riuscita a darsi una risposta definitiva, pare essere energicamente alla ricerca di essa.

La giovane è una presenza che funge da elemento strutturale della storia in Jawhara Insha’ Allah, ma anche nella vita della sua stessa famiglia. È lei, che con un coraggio pieno di sincero affetto verso i propri genitori, di cui non riesce a cogliere ancora tutti i limiti, sta attuando una piccola rivoluzione. Sta scegliendo per se stessa, e lo fa in primis non accettando di indossare il velo, fino a quando lei non avrà colto il significato che questo ha per lei. È una rivoluzione interna, che però lascia spazio al pensiero libero, e quindi all’azione consapevole. Non si tratta di capire se è giusto o sbagliato vestirsi in un certo modo, pregare con una certa frequenza, o vivere la propria vita secondo determinate credenze.

L’elemento cardine del documentario è piuttosto lo sforzo verso la comprensione, l’accettazione ed infine l’accoglienza dell’altro, che rimane sempre e comunque diverso dalle personali aspettative e/o convinzioni. Loubna è Loubna, e non è ciò che la sua famiglia si aspetta che lei sia. Ma neppure ciò che un occidentale crede sia meglio che lei diventi. È se stessa, con tutte le sue fragilità, le sue vittorie e le sue sconfitte. Per questi motivi, unica.

Il significato del velo nella tradizione

Jawhara Insha’ Allah s’interroga in prima battuta sul significato che nella cultura e comunità islamica riveste l’usanza di indossare il velo. Sineddoche, quest’ultima, di una più vasta cultura, di cui gli occidentali conoscono solo frammenti di manifestazioni e significati. Il più delle volte – essi – dedotti, e quasi sempre sconosciuti nella loro effettiva ed ampia significatività.

Il velo, come viene spiegato, “segna la completezza del rapporto della donna con Dio”. Ma non solo. Esso è anche strumento utile, stando a quanto scritto nei testi sacri, per proteggere e tutelare la donna dallo sguardo maschile. Questo potrebbe, per esempio, sessualizzare il corpo femminile che quel velo copre. La donna, infatti, è considerata un gioiello, che va protetto. Lo sguardo della regia, anche nella riflessione a proposito del tema del velo, è aperta alla complessità del reale: non c’è un’opzione giusta e una sbagliata, ma solo la possibilità di analisi e di riflessione, che diviene a un certo punto partecipata.

A raccontare le proprie motivazioni, infatti, sono le stesse protagoniste del documentario: Loubna prima di indossare il velo vuole coglierne il significato, che sia il più personale possibile, e quindi profondo. Si va delineando, così, un importante processo di affrancamento dalla sua famiglia d’origine e da alcuni specifici dogmi della religione che questa pratica. Un’amica di Loubna, invece, si sente più protetta indossando il velo, e altre donne ancora interpretano questo aspetto come un dovere di tipo religioso.

L’esperienza di Loubna

Loubna tenta di essere diversa, nonostante le donne che la circondano, nella sua famiglia, sembrano aver totalmente interiorizzato i loro ruoli predefiniti e rigidi. Le scelte che opera, per quanto possano sembrare semplici e scontate – come ad esempio frequentare l’Università, studiare e non indossare il velo – svelano, in realtà, il concretizzarsi di un processo di autoanalisi affatto facile e soprattutto per niente banale.

La complessità del reale è qualcosa che accomuna tutte le culture, così come schemi e meccanismi patriarcali sono presenti nelle diverse società, seppur non facilmente riconoscibili, nemmeno dalle persone che da questi ne sono (state) sfavorite. Al di là delle differenti religioni e culture, vi è un retaggio comune, che viene da molto lontano, e che da vari secoli ha di fatto favorito l’uomo (considerato nel suo sesso biologico). Fatto di uomini che gestiscono la vita di donne, convinti di sapere cosa è bene e cosa è male per le loro mogli, madri, sorelle. Senza mai preoccuparsi nemmeno di chiedere il loro parere, le loro idee, i loro pensieri.

Loubna non è al di fuori di questo contesto socio-culturale, come non lo può essere totalmente un occidentale: lei sceglie semplicemente per sé, anche a costo di soffrire di ciò. Lei sa che i suoi genitori la amano, ma sa anche che non riescono ad essere totalmente felici per lei, nelle cose che fa, e soprattutto per quelle che non fa. Più nello specifico, sposarsi e avere bambini. In questo modo, la continuità spazio temporale di schemi rigidi e predefiniti permetterebbe la sopravvivenza di quella stessa società patriarcale che le donne le nasconde, dando loro la parvenza di avere un ruolo del tutto appagante: quello di madri e mogli.

Una comune costruzione di significato, ovvero l’esaltazione delle differenze

In Jawhara Insha’ Allah c’è un unico personaggio che diviene punto e fonte di respiro: la già citata Loubna. Questa giovane ragazza agisce e si muove in maniera diversa, perché sta imparando a pensare diversamente, cioè con la propria testa. Nel confronto con Arianna e Claudia, la giovane non fatica a trovare un terreno comune, grazie anche all’emersione di punti di vista e vissuti differenti su determinati temi.

Loubna non mente e non nasconde la realtà, pure nei suoi aspetti più complessi, semplicemente la interpreta nell’esercizio della sua libertà personale. È la prima della sua famiglia a fermarsi e interrogarsi sul perché delle cose. Se è vero che i traumi e la violenza possono essere intergenerazionali, questo vale anche per il coraggio, che in contesti e situazioni passate, per donne di diverse parti del mondo, non è stato possibile esercitare, viste le diverse situazioni di costrizione che hanno vissuto. Il regalo più grande è proprio quello della restituzione, se non di un significato comune, di un vissuto, che sia Loubna che le registe almeno una volta nella vita hanno sperimentato. Pur appartenendo a due contesti, culturali, religiosi e sociali, effettivamente differenti.

Quante volte, si è chiesta Arianna in voice over, si è sentita invisibile, nella periferia romana dove ha vissuto? Due contesti diversi, apparentemente lontani, eppure così vicini nelle dinamiche e nelle sensazioni. Sofferenza e solitudine, declinate poi in ogni personale realtà.

Lo sguardo sul futuro

L’emancipazione è possibile, per quanto appaia opera complessa. Ce lo insegna Loubna, e la sua storia in Jawhara Insha’ Allah. Laddove si riesce a costruire uno spazio di pensiero, di condivisione e di riflessione, libero, si costruisce il dialogo. Quest’ultimo è costruttore di senso, di significato, e azzera la paura. Se c’è volontà di comprensione e accettazione dell’altro, si può iniziare un viaggio – reso evidente dalla valigia che continuamente Arianna porta con sé durante le riprese – grazie al quale collezionare momenti e ricordi, difficili e gioiosi.

Perché proprio nella complessità della diversità, si nasconde la ricchezza dell’incontro, segnato dalla capacità intelligente di non farsi la guerra. Nel tentativo costante di cambiare lo stato delle cose, attraverso la riflessione e lo sforzo di ritagliarsi il proprio spazio. Senza bruciare tutto e tutti intorno a sé.

Jawhara Insha' Allah

  • Anno: 2024
  • Durata: 56'
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Arianna Proietti Mancini, Claudia Paola Sagona