Un documentario alla Capote
Ecco che per chi ha letto A sangue freddo di Truman Capote riesce a collocare l’opera di Meyer Levin secondo certi criteri precisi narratologici. Si tratta di rimaneggiare la storia secondo tipici criteri narrativi. Realtà e finzione. Siamo post-1945, è da poco finita la Seconda Guerra Mondiale: Sara e Mika Wilner devono tornare nella propria Terra Promessa. Le insidie però non sono finite con il concludersi del conflitto mondiale, anzi. Sembra davvero che raggiungere quella Terra sia quasi una promessa dalla portata biblica.
Attori non-attori
I due attori Tereska Torres e Yankel Mikalwich, che interpretano, appunto, Sara e Mika Wilner, diventano i due punti di vista per quello che è appunto il viaggio tormentato attraverso l’Europa fatta di passaporti, e di Paesi, come il Regno Unito, che vuole chiudere certi confini nazionali. Non è così facile per loro, sopravvissuti e Displaced People, entrare a casa propria. Le cose geopoliticamente sono cambiate. I conflitti sembrano aver trovato altri fuochi pronti a salire verso l’alto.
L’inizio dei conflitti contemporanei. O forse solo una delle tante tappe del conflitto?
Sicuramente è un nodo storico molto scomodo per chi si ritrova schierato dall’una o l’altra parte: interessante notare come per alcuni punti di vista alcuni giorni siano di Liberazione, ad esempio, mentre per altri sono di Doloroso Ricordo. Come Ma’loul Celebrates its Destruction di Michel Khleifi, 1984.
Necessario è, per noi spettatori di questo Pordenone DOCS Fest XVIII Edizione, aver compreso la complessità di certi argomenti, che hanno bisogno, necessitano, di linguaggi specifici. Non solo per quanto riguarda i conflitti, ma anche per certi diritti LGBTQIA+, e quanto il confine tra Abbiamo sempre detto così e violenza retorica, sia sempre molto sottile.