Il concetto di distopia affascina da lungo tempo il pensiero e le arti, dalla letteratura al cinema. Nonostante questo immaginario sia spesso legato a quello fantascientifico, un elemento risulta sempre determinante nella costruzione di inquietanti realtà future: il destino dei sentimenti. In un presente in cui la tecnologia costituisce il tessuto capillare delle relazioni umane e il profitto lo scopo ultimo, le emozioni devono essere più gestite che espresse. È da queste tendenze che prende le mosse The Beast (La Bête, 2023) di Bertrand Bonello, nelle sale italiane dal 21 novembre 2024, grazie alla distribuzione di IWonder.
The Beast non è ambientato solo nel futuro, ma attraversa tre epoche. Nel 1910, nel 2014 e nel 2044, Gabrielle (Léa Seydoux) e Louis (George MacKay) si incontrano e si attraggono sempre, anche se il destino del loro amore sembra essere nefasto. Nel 2044, l’intelligenza artificiale consente alle persone di vedere quali sono state le loro vite precedenti e, in questo modo, iniziare un processo di elaborazione di quelle esperienze. Il fine ultimo è quello di annullare l’emozione legata al ricordo e, così, minimizzare la debolezza che potrebbe scaturirne. Gabrielle non intende piegarsi a questa prassi consolidata e conveniente per il mondo lavorativo, e proprio questo rifiuto delle imposizioni da parte dello status quo è ciò che consente di collocare The Beast vicino ad altri film che, mettendo in scena mondi distopici, riflettono su umanità e amore.
Ex-amore
Il nuovo mondo è uno degli episodi che compone il film collettivo Ro.Go.Pa.G. (Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard, Pier Paolo Pasolini, Ugo Gregoretti, 1963). La parte diretta da Godard è ambientata in una Parigi nelle cui vicinanze ha appena avuto luogo un’esplosione nucleare. Non si rilevano vittime e danni, ma il protagonista (Jean-Marc Bory) si accorge che qualcosa non va. La sua fidanzata, Alessandra (Alexandra Stewart), infatti, sembra aver perso tanto la logica quanto il sentimento che fino al giorno prima provava per lui. Attraverso lo strano linguaggio della ragazza, Godard realizza alcuni dialoghi in cui la comunicazione tra loro risulta impossibile. Emblematica è la risposta al suo fidanzato quando lui le chiede se lo ama ancora: “Io ti ex-amo”.
Nella mancanza di razionalità mista all’impossibilità di provare sentimenti, il protagonista individua il nuovo male destinato a inghiottire il mondo intero.
Letteratura e libertà
Sempre dalla Francia arriva un altro esempio magistrale di distopia: Fahrenheit 451 (1966), diretto da François Truffaut e basato sull’omonimo romanzo di Ray Bradbury. In un futuro non troppo lontano, la televisione è il mezzo di comunicazione che è riuscito ad assoggettare al potere la società tutta. In questo contesto, i pompieri sono incaricati di scovare coloro che detengono ancora dei libri per poterli così distruggere. Montag (Oskar Werner) è uno di loro, ma grazie all’influsso della sua vicina Clarissa (Julie Christie), dai più considerata strana, inizierà a leggere lui stesso. In questo modo, anche Montag acquisirà la consapevolezza necessaria per lottare contro lo status quo e, soprattutto, contro apatia e remissività da esso causate.
Il grande film di Truffaut sottolinea come il potere riesca ad agire indisturbato se i moti di dissenso vengono annientati e le persone private della possibilità di provare emozioni. Che sono la scintilla necessaria alla lotta contro le ingiustizie, nella speranza di un domani migliore.
I primi a perire
Non lasciarmi (Never Let Me Go, Mark Romanek, 2010) è una struggente pellicola basata sull’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro. Questo titolo differisce da molti altri del suo genere perché il futuro che costruisce, apparentemente, non è poi così diverso dal presente. Nella campagna inglese, Kathy (Carey Mulligan), Tommy (Andrew Garfield) e Ruth (Keira Knightley) crescono insieme nel collegio di Hailsham. Gli alunni sembrano vivere una vita normale, tra istruzione e primi amori, ma in realtà l’apparente normalità non è che provvisoria. Kathy, Tommy, Ruth e tutti gli studenti del collegio sono cloni creati appositamente per donare i propri organi agli esseri umani e, dunque, moriranno giovani. Nati per il beneficio della specie, i tre protagonisti non sono altro che la testimonianza di quanto ciò che viene creato dalla società riesca ad apparire più umano delle persone stesse.
In Non lasciarmi emerge drammaticamente uno degli elementi che caratterizza molte distopie: persino davanti all’umanità di ciò che apparentemente è altro da noi, si sceglie di rimanere ciechi.
L’inizio della rivolta
In quanto a costruzione, Cloud Atlas (2012) è un titolo che può forse essere considerato vicino a The Beast, anche se ancora più articolato. L’ambizioso progetto diretto dalle sorelle Wachowski e Tom Tykwer, basato sul romanzo L’atlante delle nuvole di David Mitchell, interseca sei storie ambientate in altrettanti tempi e luoghi diversi. In relazione al filo rosso scelto, è particolarmente interessante la vicenda collocata nel 2144, Il verbo di Sonmi~451. In una Corea distopica vivono e lavorano gli “artifici”, apparentemente identici agli umani ma nati solo per servirli. Tra di loro c’è Sonmi (Bae Doona) cameriera di un fast food che viene a sapere del destino dei cloni non considerati più utili grazie al ribelle Hae-Joo (Jim Sturgess). Nonostante non sia umana, i due si innamorano e Sonmi decide di unirsi alla ribellione, diventando lei stessa il simbolo della lotta.
Ancora una volta, ciò che gli umani hanno creato per vivere meglio minaccia di ritorcersi contro di loro nel momento in cui se ne equipara l’esistenza a quella di oggetti. Al di là della tecnologia, non solo prodotto della società ma anche Altro col quale questa interagisce, si potrebbe estendere l’insegnamento di questo episodio al rapporto tra uomo e natura. Essa, infatti, viene da sempre piegata ai bisogni umani, senza rispettarne dignità e autonomia. Lo sfruttamento, però, non può continuare indisturbato per sempre.
Per il bene della specie
Quando il concetto di “utilità” inizia a definire anche la vita umana oltre quella dei prodotti, si arriva al grottesco e inquietante The Lobster (2015) di Yorgos Lanthimos. In un futuro in cui essere single è proibito, chi lo è ancora ha quarantacinque giorni di tempo per trovare un partner all’interno di hotel realizzati appositamente per questo. Se ciò non accade, si potrà essere trasformati in un animale a scelta. David (Colin Farrell) cerca di trovare la giusta compagna dopo essere stato lasciato dalla moglie, ma i tentativi di piacere alle inquiline del posto falliscono miseramente. Nei boschi vicino all’albergo vivono, invece, i “solitari”, una comunità di persone fuggite dalle regole della società ma tra le quali è vietato innamorarsi. David, costretto a scappare tra loro, troverà lì l’amore, in una donna (Rachel Weisz) che come lui è miope (prerequisito per stare insieme negli hotel era proprio avere qualcosa in comune). Anche il protagonista, quindi, inizierà a prendere parte alle missioni dei solitari per sabotare gli hotel. Ma cosa succede quando si diventa fuorilegge sia per un sistema che per l’altro?
In The Lobster le convenzioni della società si fanno legge, dimostrando anche come queste possano essere pervasive nei gruppi volti all’annientamento di quello stesso sistema. Questo potere passa per il tentativo – paradossale – di dominare il sentimento più travolgente: l’amore.
Il pericolo della ripetizione
The Lobster sottolinea come nessun cambiamento sia possibile se si risponde alla violenza con la stessa moneta. Gabrielle di The Beast ha capito che sottrarsi a quella che sembra l’unica via è il modo per rispondere più autenticamente ai propri desideri e, soprattutto, lottare per la giustizia.
I futuri distopici che questi film mettono in scena sono tutti caratterizzati, infatti, da una violenza che si è fatta prassi. Storie del genere permettono di materializzare sullo schermo visioni che, giorno dopo giorno, si allontanano sempre più dalla fantasia per avvicinarsi pericolosamente alla realtà. Ma siamo davvero in grado di “vedere”?