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Bertrand Bonello a Venezia con “La Bète”. Ritratto di un regista talentuoso, fuori da ogni schema

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Coma

“I due libri che ho, sono i Diari di De Sade e la Bibbia. E non ho ancora letto la Bibbia”. Con questa fulminante affermazione ne “L’Apollonide Souvenirs de la maison close”, un’entraineuse si rivolge ad un cliente che frequenta un bordello parigino sul finire dell’800. Il film fu diretto nel 2011 da Bertrand Bonello, nizzardo d’origine, i primi passi nel mondo della musica e qualche cortometraggio alle spalle. Il regista sarà presente alla Mostra dell’Arte Cinematografica di Venezia con La Bète, il suo ultimo film in concorso, un melodramma dal sapore fantascientifico, interpretato da Léa Seydoux e George MacKay.

Nel corso della sua altalenante carriera, dopo Who I Am. Based on Pier Paolo Pasolini (1996), Bonello ha sempre spiazzato critica e pubblico. Cineasta “anarchico”, non ha mai sposato un determinato genere o filone, né replicato formule già abusate, ma ha sempre caratterizzato le sue opere con il suo inimitabile sguardo.

Con il poetico e melanconico The pornographer(2001), a mio avviso, il suo capolavoro è stato meritatamente premiato con il Premio Fipresci a Cannes. Ecco in sintesi la trama. Il cinquantenne Jacques Laurent (un monumentale Jean-Pierre Léaud), nel’68, in un’epoca di contestazione dove s’invocava in strada una maggiore libertà sessuale, gira film porno con ragazze che incontrava nei bar e non con attrici professioniste, ritenendo che fosse un atto politico “controcorrente”. Dopo anni, a corto di quattrini, accetta, suo malgrado, di girare nuovamente un film hard. Pur essendo disilluso e demotivato, Laurent prova sul set a dare un’impronta autoriale al film e, parlando con l’attrice protagonista, l’invita a non caricare la recitazione e ad essere naturale e spontanea. Non appena parte il ciak,  abbassa lo sguardo e non segue le riprese. L’aiuto regista allora interviene e, in contrasto alle indicazioni date da Laurent, invita l’attrice a gemere e a sospirare a più non posso. Sempre più in crisi, Laurent si separa da Jean, la donna con la quale viveva da anni e rivede Joseph (Jérémie Renier), il figlio (che proclama  che la sua generazione deve adottare il silenzio come atto politico di ribellione) che, scoperto che il padre girava film porno, aveva tagliato anni addietro i rapporti con lui.

Dopo aver diretto Tiresia (2003), che annoverava tra gli interpreti l’indimenticato Lou Castel, e il già citato e delizioso L’Apollonide Souvenirs de la maison close, (otto candidature ai Cesar), interpretato da Jasmine Trinca, Noémie Lvosky e Adèle Haenel, nel 2014 gira Saint Laurent, biopic uscito nella sale quasi in contemporanea con quello di Jail Lespert, entrambi dedicati al grande stilista francese. Una commedia agrodolce, quella di Bonello (dieci nomination ai Cesar), ironica e tagliente, mai agiografica, che racconta un decennio della vita dell’inquieto stilista, interpretato da Gaspar Ulliel, diviso tra i successi in passerella e le delusioni e i tormenti legati alla sua dissipata vita sentimentale. Tra gli interpreti Louis Garrell, Helmut Berger, Lea Seydoux, Valeria Bruni Tedeschi, Dominique Sanda e Jasmine Trinca.

Saltellando tra musical, cortometraggi (in Cindy; the doll is mine compare anche Asia Argento), nel 2016 il regista nizzardo dirige Nocturama, un film che omaggia Jacques Tourneur e dove mescola mito, magia e riti vudù.

É del 2019 Zombi child, con Louise Labèque, attrice presente anche in Coma (2022), due pellicole originali, passate in qualche modo sotto silenzio.

Coma

Nonostante le numerose nomination ai Cesar, Bonello è da considerare ancora un regista poco conosciuto dal largo pubblico e in attesa della sua definitiva consacrazione. I dialoghi dei suoi film però non sono mai banali e sono venati sempre da un tocco melanconico e poetico. Non a caso, farà dire a Jacques Laurent, regista de Le pornographer una frase che sintetizza la visione del proprio cinema: “Nei miei film ci si può sempre aspettare qualche secondo di bellezza”.

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