Silvia Prieto, film di MartinRejtman, che racconta una storia ordinaria, ma allo stesso tempo universale, e che si inserisce, con ironia e delicatezza, nel Nuovo cinema argentino, è disponibile su Mubi.
La trama
La protagonista del film è Silvia Prieto (Rosario Bléfari), una giovane ed eccentrica donna che vive a Buenos Aires e che sembra non avere una precisa direzione nella vita. La sua esistenza ordinaria viene sconvolta da una serie di incontri che potrebbero sembrare banali, ma che nella sua vita assumono una valenza quasi surreale.
Il ritmo si incalza, seppur in toni rilassati, quando Silvia viene a sapere che non è la sola Silvia Prieto. Da questo momento in poi, la narrazione gira intorno alla frase “Soy Silvia Prieto” come una riflessione sull’identità, sul caso e sul contesto sociale che sembra non dare spazio a chi, come Silvia, sembra non appartenere a niente e nessuno.
I personaggi
Sebbene il personaggio di Silvia sia centrale, lo sviluppo del film ruota attorno ad una paradossale trama di incontri esilaranti, conversazione insipide, attimi di imbarazzo e solitudine. Tuttavia, proprio in questa semplicità si trova la forza del personaggio, che attraverso la sua indifferenza quotidiana diventa uno specchio dell’esistenza alienante di tanti giovani in una grande città.
Il cinema minimalista e l’ironia di Rejtman
Silvia Prieto si inserisce perfettamente nel filone del cinema minimalista che caratterizza il Nuovo cinema argentino, un movimento che rifiuta l’epicità e la grandezza dei racconti tradizionali in favore di storie più intime e persone ordinarie alle prese con le banalità dell’esistenza. La sua estetica si concentra sul silenzio e sull’uso di inquadrature statiche, che riflettono l’apatia e la passività dei personaggi verso il mondo che li circonda. Martin Rejtman invita lo spettatore a concentrarsi sui piccoli dettagli, sui micro-gesti, veloci e senza affetto, e sulle interazioni apparentemente insignificanti che, nel contesto del film, si rivelano parlanti ed iconici come un pollo, una giacca, una bottiglia o un canarino.
Il tono del film è infatti costellato da un’ironia sottile che trasforma le situazioni più banali in momenti di comicità illogica: ciò che potrebbe sembrare un momento di frustrazione o alienazione diventa, attraverso la lente del regista, un’occasione di assurda comicità involontaria. Questa ironia si riflette in ogni aspetto della messa in scena, a partire dai dialoghi, che sono spesso disconnessi e incoerenti ma che contribuiscono a costruire un ritratto incredibilmente preciso della realtà urbana argentina, che, pur senza drammaticità apparente, trasmette un senso di estraneità e precaria stabilità umana e relazionale.
Una commedia drammatica
Il film di Rejtman è un racconto senza trama, è intriso di un certo senso di “inquietudine senza causa”, di un malessere che non ha radici concrete, ma che si percepisce nell’aria in un tono più sfumato e discreto. Eppure, proprio questa discrezione riesce a rendere il film straordinario nella sua capacità di trasmettere qualcosa di profondamente umano ed essenzialmente triste, affascinando per la sua capacità di trattare l’ovvietà come una sorta di microcosmo parallelo dell’assurdo.
Con la sua estetica minimalista, la scelta di un cast lontano dall’industria cinematografica, il suo uso dell’ironia scottante e la sua rappresentazione di un mondo che sembra non avere spazio per chi vive ai margini, Silvia Prieto è senza dubbio uno dei film più rappresentativi che ha rivelato la capacità del nuovo cinema argentino di raccontare storie universali attraverso il piccolo, l’insignificante e l’intimo, rivelando, nel sorriso più comico, la disarmante realtà umana.