Presentato in anteprima alla 21esima edizione di Alice nella Città arriva nella sale dal 19 Novembre Una Madre di Stefano Chiantini, storia al femminile con Aurora Giovinazzo, Micaela Ramazzotti, Angela Finocchiaro. Del film abbiamo parlato con Stefano Chiantini.
Una Madre di Stefano Chiantini è prodotto da Bling Flamingo con Rai Cinema ed è distribuito nella sale da I Wonder Pictures.
Stefano Chiantini e il suo Una madre
Rispetto a Naufragi e a Il ritorno Una Madre è l’ultimo atto di una vera e propria trilogia. Una Madre in particolare sviluppa all’ennesima potenza il significato di cosa vuol dire essere genitore presentandoci tre donne che, in maniera diversa, sono rappresentative di questa condizione.
Sì, sono tre madri diverse e solo una, la più piccola delle tre, riesce a prendersi questa responsabilità. Uno si aspetterebbe che fosse Carla a farlo, ma forse il fatto di avere avuto qualche responsabilità negli sbagli della figlia non la rende idonea a compiere questo passo. Lo stesso si può dire di Michela che è una persona borderline. Alla fine Deva è l’unica a poterlo fare.
Caratteristica di questo film, come degli altri, è quella di raccontare personaggi che passano molto del loro tempo in strada. A differenza del cinema americano nel tuo la modalità on the road è spogliata di qualsiasi romanticismo, essendo legata al bisogno fisico e materiale di trovare lavoro e di tornare a casa al termine della giornata. In questo senso la strada diventa il simbolo della precarietà delle loro vite e ancora, della marginalità a cui sono relegati.
Sì, la strada è espressione del loro disagio e mi permette di raccontarlo in una maniera concreta e tangibile, se vuoi anche fisica. Anche la scelta delle location risponde allo stesso principio. Lo è il campeggio dove vivono Deva e la madre, fangoso e situato vicino al fiume. È un posto inospitale ed è quanto di più lontano ci possa essere per restituire un’idea di poesia della vita. I personaggi vi sono calati dentro e questo non permette loro alcuna divagazione dalla realtà.
Le sequenze iniziali testimoniano la concretezza di cui parli. Deva infatti per tornare a casa deve attraversare una sorta di percorso a ostacoli: attraversare strade, scavalcare cancelli, farsi largo tra le siepi. Il risultato finale di questo percorso è opposto alle sue premesse perché, così facendo, Deva diventa invisibile, sparendo agli occhi del mondo.
Sì, è un attraversamento continuo di strade e cancelli che diventa metaforico del percorso esistenziale della protagonista. L’invisibilità è un termine azzeccato perché è quello del loro destino. Tornare a casa per Deva significa sparire dal mondo.
Il cinema di Stefano Chiantini oltre Una madre
Nel tuo cinema in effetti c’è un po’ l’idea di raccontare la vita di persone che altrimenti non avrebbero nessuna storia. Togliendoli dall’invisibilità è come se i tuoi film gli restituissero la dignità perduta.
Mi sento molto affascinato dal raccontare persone ai margini della società, quelle di cui conosciamo poco o nulla e che sono comunque scomode da portare alla ribalta. Peraltro questo concetto smentisce anche l’opinione che io sia autore di cinema verità. Forse può essere vero per il modo di calarmi e riprendere certi ambienti, ma poi i protagonisti che racconto non esistono in quel cinema perché non si vedono nella vita di tutti i giorni. Le mie sono storie inventate e dunque per antonomasia di finzione.
Richiami e influenze
In realtà il tuo cinema è conseguenza di diverse anime. Quella documentaria emerge nel tuo modo di girare che sembra rubare la vita alla realtà. Poi però, quando c’è bisogno, sei capace di passare al linguaggio del grande cinema, con immagini e musica composte per sottolineare lo stato d’animo dei personaggi.
A me piacciono molto i fratelli Dardenne e Ken Loach ma loro hanno lavorato molto per spogliare il cinema dal superfluo, anche in termini estetici. Io invece ricorro spesso a una forma tipica dei film di finzione. Come hai detto, l’uso che faccio della musica è lontano dal realismo di questi maestri.
Esemplare di quanto detto è la sequenza in cui vediamo Deva commuoversi davanti alla vista di Carla che tiene in braccio il bambino. Lo scarto emotivo lì è sottolineato dall’irrompere della musica e da una fotografia più luminosa.
Sono d’accordo con te. In generale compio scelte che possono essere anche non gradite, ma mi piace dare risalto ai passaggi emotivi sottolineandoli con l’uso della musica e di certe scelte di montaggio.
Parlavi dei fratelli Dardenne. Guardando Una Madre a me è venuto in mente Rosetta. Di quel film nel tuo c’è la stessa stanchezza fisica e il medesimo contesto ambientale. Anche Deva, come Rosetta, non cerca aiuto negli altri mentre vaga per la città in cerca di un lavoro.
Essendo registi che mi piacciono è ovvio che ci siano cose nei miei film che li ricordano. È vero quello che dici, perché, per esempio, il campeggio c’era anche nel loro film. Nel complesso si tratta di un accostamento molto giusto.
Il rapporto dei personaggi
Introduci il rapporto tra Deva e la madre in maniera inequivocabile. La prima volta che stanno insieme le vediamo lottare e rotolarsi per terra al termine di un alterco.
Mi piaceva raccontare fin da subito la diversità di quel rapporto così anomalo e anticonvenzionale. È difficile vedere una madre e una figlia che si picchiano in quel modo, ma per me era necessario introdurre la componente animalesca nella loro relazione.
In realtà, poi nel film si compie il miracolo perché le conflittualità tra le protagoniste confluiscono in una sorta di alleanza che le vede insieme nel tentativo di riaprire le sorti di un destino già segnato.
Sì, si arriva a un momento in cui i personaggi di Micaela Ramazzotti e Angela Finocchiaro riescono in qualche modo a riscattarsi. Il loro gesto porta le tre donne a coalizzarsi diventando una figura unica.
Maternità e critica sociale
Nella trilogia la maternità è trattata al di fuori dei luoghi comuni. Una madre ci presenta genitori che fanno fatica ad amare i propri figli e che in generale hanno difficoltà a sostenere quel ruolo anche dal punto di vista economico. Insomma le tue madri sono lontane dal modello dominante.
Amo raccontare cose lontane dalla semplicità. Dell’essere madre spesso prevale un’unica lettura mentre a me piace approfondire le sfaccettature di un tema che di solito viene rappresentato senza troppe complicazioni.
Fuori campo, ma neanche tanto, esiste nei tuoi film una forma di critica alla società colpevole di non agevolare, ma anzi ostacolare l’essere madre. Anche il fatto di dover stare tutto il giorno fuori casa per guadagnarsi un salario con lavori sottopagati influisce sulle difficoltà affettive delle stesse.
La società ha sempre un grande peso nella vita delle persone. Poi è chiaro che quando racconti una storia il sociale entra sempre nel racconto e ognuno lo guarda e lo critica a modo suo. Nel film Deva rivendica con tutte le sue forze il proprio posto nella società. Le persone che incontra si ostinano a metterla da parte, ma lei non si arrende e continua a combattere.
Temi ricorrenti in Una madre di Stefano Chiantini e non solo
Come ne Il ritorno anche in Una Madre il tema del lavoro è centrale. Deva è raccontata spesso o quasi sempre sul luogo di impiego che diventa non solo un elemento narrativo, legato alla necessità di guadagnarsi da vivere, ma anche una modalità usata per approfondire dinamiche e personalità dei tuoi personaggi. Parliamo di un aspetto invisibile negli altri film mentre nei tuoi occupa uno spazio importante.
Per me è così perché senza lavoro non si ha neanche una dignità né una posizione nel presente ancora prima che nel futuro. Poi è anche vero che attraverso il lavoro approfondisco dinamiche e caratteri che li riguardano. Succede sempre nei miei film.
Un’altra costante è quella di lasciare al pubblico il modo di immaginare come vanno a finire le tue storie. Anche in Una Madre capita così.
Sì, mi fa piacere lasciare allo spettatore la possibilità di immaginare la fine del percorso che ho raccontato. Questo succede anche nel corso della storia. Amo stimolare il pubblico e coinvolgerlo in quello che vede. Non raccontare troppo gli permette di andare oltre il semplice guardare. Io preferisco spingere lo spettatore a intervenire in prima persona.
Il cast
Ritrovare Francesco Salvi e Angela Finocchiaro impegnati in ruoli drammatici è stata una scommessa non scontata e anche riuscita.
Arruolarli nel film mi sembrava una lettura meno banale rispetto a quella di utilizzare attori abituati a ruoli drammatici. Il vantaggio di avere Angela era quello di trasmettere alla storia un surplus di umanità. Più in generale la presenza dei due attori mi ha dato la possibilità di aggiungere sfumature al racconto.
Nei tuoi film gli attori fanno sempre bella figura. Succede anche ad Aurora Giovinazzo, assolutamente credibile nel ruolo di Deva. Nel film di Ferzan Ozpetek passato alla Festa del Cinema 2023 l’abbiamo vista altrettanto convincente in un ruolo di segno opposto, dunque chiedo a te di dirmi che tipo di attrice abbiamo davanti?
Aurora si è lasciata molto dirigere, il che è stato davvero importante. Come sai ho lavorato con tante attrici. Lei è davvero una forza della natura, nel senso che ha un’istintività che la rende magnetica davanti alla mdp. Allo stesso tempo riesce ad avere tutto sotto controllo. È sempre super concentrata, riuscendo a non lasciare nulla al caso. Parlo di aspetti difficili da mettere insieme. Lei riesce a farlo con molta bravura.