L’Olandesa è il cortometraggio di Juri Ferri candidato al RIFF per la National Short Competition.
Katrien è una giovane donna olandese che si è trasferita in Italia, nel paese natale del marito, Sergio. Il loro rapporto si inasprisce quando Sergio decide di piegarsi alla richiesta del parroco di battezzare il loro figlio di due anni, Dante.
Ferri riesce a rappresentare perfettamente quella che – spesso ancora oggi – è la realtà della provincia. L’aria del paesino penetra nella vita dei due sposi, condizionando le loro scelte e il loro rapporto. La storia dell’olandesa racconta le condizioni di un momento storico, ma non solo, e in un modo assolutamente originale.
Infatti, prima di essere una narrazione delle difficoltà di una donna straniera nel Nord Italia degli anni ’60, è proprio un racconto di coppia. La storia di Sergio e Katrien è attuale e dolorosa: si percepisce in passato un rapporto fresco, di speranza e parità. I due personaggi, a fronte delle pressioni sociali, si trovano davanti alle loro aspettative che crollano, alle differenze culturali e valoriali.
L’eleganza stilistica di Juri Ferri
Il cortometraggio riesce a raccontare questo momento della vita dei due usando tutto ciò che ha a disposizione come una figura retorica utile, dagli spazi della casa e del paese alle lingue. Fra queste, il latino del parroco mescolato al dialetto – per sua natura esclusivo, e quindi incomprensibile alla protagonista -, l’italiano dall’accento olandese di Katrien e quello di Sergio.
La cifra stilistica di Ferri è sicuramente l’eleganza. Dalla scenografia, agli attori, alla fotografia: tutto è strumentale a una resa ottima del racconto. C’è veramente una costante attenzione alle costruzione delle scene, nel calendario che segna agosto 1965, nelle acconciature della protagonista. Questa grandissima cura estetica riesce perfettamente a sottolineare i punti della storia che non sono esplicitati tramite il dialogo.
La maggiore forza del corto però sono però i contrasti, narrativi ed estetici. Il chiaroscuro rimane per tutto il film, a cogliere luci e ombre, e le distanze fra Olanda e Italia, Chiesa e laicità.
Il personaggio di Katrien è quello con cui subito empatizziamo e che seguiamo nel corso della narrazione. La dinamica fra mamma e figlio è raccontata in maniera molto intensa. Simili di aspetto, piangono insieme, si cercano reciprocamente. Lei gli parla in olandese, gli legge le lettere dalla nonna. Dante sembra per lei un appiglio alla sua cultura, qualcuno con cui possa essere davvero sé stessa e a cui possa trasmettere i propri valori.
Per il resto è sola, mentre si sviluppa il conflitto con Sergio e con il mondo intorno a lui.
La figura della porta
La porta è un elemento particolarmente significativo. La vediamo ripresa in modo centrale in tre momenti. All’inizio del corto, Sergio dice al parroco, per chiedergli aiuto, che si è visto tante porte chiuse in faccia.
Successivamente, vediamo l’incontro tra Katrien e il prete sulla soglia di casa. Lei sta rientrando e lui sta uscendo, e per un momento stanno entrambi lì, imponenti, come se si stessero contendendo quello spazio nella vita di Sergio, come se nessuno dei due volesse incedere di un passo verso l’altro.
Infine, l’inquadratura dopo la scena del battesimo indugia per qualche secondo sulla porta della chiesa da cui escono i due sposi che si chiude, significativamente e definitivamente.
Il fatto che questa figura torni, potendo quasi riassumere il corso della storia, è la conferma della pianificazione puntuale del regista. Grazie a tutti questi interessanti dettagli e relazioni, Ferri riesce infatti a suscitare nello spettatore emozioni ben precise mentre si avvicina il momento del battesimo, apice catartico di un climax costruito nel corso di tutto il film.
Anche al battesimo, i significati non mancano: la marginalità dell’olandesa, seduta dietro e non in piedi all’altare; la musica della ninna nanna che canta a Dante nella scena precedente che si trasforma in quella della chiesa, la corsa del sacerdote per sovrastare il canto del bambino.
Il regista infonde proprio un’energia sua in ogni momento per creare ciò che vuole per la storia.
E poi, la scena finale: nessun dialogo o spiegazione, solo la luce esterna a riflettere un respiro nuovo per la coppia.
L’Olandesa: una piccola perla
L’Olandesa è una piccola perla cinematografica.
É un piacere per gli occhi, grazie alle inquadrature solide, alla fotografia armoniosa che in certi momenti costruisce quasi un quadro, e all’uso delle luci e dei colori che riesce a incarnare bene il periodo storico degli anni ’60. Forse anche con qualche riferimento estetico a quel momento nel cinema.
É anche una boccata d’aria fresca dal punto di vista narrativo: ci sono dei presupposti storici per cui sarebbe facile costruire la storyline in un certo modo, e invece il regista riesce a porre il focus anche sul lato emotivo dei personaggi e la storia diventa così molto più attuale. Non si tratta del marito contro la moglie, o del paese contro la straniera, ma di difficoltà reali e comuni che allontanano una coppia che si vuole bene.
Inoltre, il cortometraggio è caratterizzato da una forte creatività.
L’interpretazione degli attori eleva ulteriormente il film. L’attrice che interpreta Katrien è straordinaria e raggiunge vette emotive impressionanti, soprattutto tramite l’uso delle espressioni del viso.
Il suo italiano con l’accento olandese rende bene, da un punto di vista narrativo, l’impressione di una sua ulteriore difficoltà a integrarsi col mondo di Sergio. Da un lato recitativo, è impressionante che l’attrice, Joy Verberk, restituisca comunque con tanta forza il suo personaggio, nonostante l’ostacolo linguistico, dimostrandosi proprio adatta per questo ruolo.
Così anche il sacerdote, Walter Tiraboschi, che incarna benissimo il suo ruolo solenne e giudicante, e Sergio, Fabio Manenti, con la sua aria un po’ allampanata, ci regalano ottime interpretazioni.
Tutto contribuisce a costruire questa storia difficile, a tratti dolorosa, come un bellissimo ritratto elegante e pieno di grazia.