Conosciuto per essere lo sceneggiatore di Taxi Driver Paul Schrader ha saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano come autore e regista di un cinema che è cresciuto con il passare degli anni. In occasione del Lucca Film Festival 2024 che ne ha premiato la carriera abbiamo parlato con Paul Schrader prendendo in considerazione l’insieme della sua prestigiosa filmografia.
Il trascendente per Paul Schrader
Hai parlato di stile trascendente come mezzo per cogliere l’invisibile. C’è una scena ne Il collezionista di carte in cui il personaggio principale ricopre mobili e letto con lenzuola per ricreare l’essenzialità del contesto carcerario in cui è stato detenuto. Penso che questa sequenza sia esplicativa di ciò che intendevi quando hai scritto Transcendental Style in Film: Ozu, Bresson, Dreyer.
In realtà l’ispirazione di quella sequenza me l’ha data Ferdinando Scarfiotti. Come scenografo Ferdinando aveva fatto Il Conformista, Ultimo Tango a Parigi e L’ultimo Imperatore diventando un habitué dei film di Bernardo Bertolucci. Io lo feci venire in America per fare American Gigolò e Il bacio della pantera e da lì diventammo buoni amici. Una volta sono andato a casa sua e vidi che aveva avvolto i mobili con spago e lenzuola. Mi disse che non gli piacevano per cui li aveva coperti in attesa che arrivassero quelli nuovi. Quando ho girato Il Collezionista di Carte mi son detto che il protagonista era uno di quei ragazzi a cui piaceva impacchettare i mobili e così è stato.
Ne Il collezionista di carte il conteggio delle carte ha un significato altro rispetto a quello contingente diventando espressione di chi cerca di mettere ordine al caos nel tentativo di controllare la propria esistenza. Quest’ultima è una tendenza che ritroviamo in molti dei tuoi personaggi.
È vero, hai ragione, si tratta di una metafora presente molto spesso nei miei film. Il punto principale infatti non è ciò che fanno i miei personaggi, ma quello a cui rimandano le loro azioni. Per questo motivo Taxi Driver non riguarda la guida di un taxi, Master Gardener non riguarda il giardinaggio così come Lo spacciatore non riguarda il commercio della droga. I miei film sono pieni di queste metafore occupazionali. Contare le carte equivale a entrare dentro la condizione di chi vive nel limbo a causa degli errori passati mostrando come si fa a tenere la vita fuori dalla tua esistenza. Quando è così guardi le carte tutto il giorno, oppure stai seduto 24 ore su 24 davanti a una slot machine. Mi è capitato spesso di vedere persone del genere e ogni volta mi chiedevo a cosa pensassero. Solo dopo ho capito che per loro il piacere derivava proprio dal fatto di non pensare a niente.
La narrazione
Tenere un diario personale è una caratteristica che appartiene a molti dei tuoi personaggi. Così facendo la voce fuori campo perde le prerogative narrative assumendo la forma di un monologo interiore. Vorrei sapere se anche per te la scrittura ha questa funzione?
Sì, certo, la sola differenza è che io non scrivo un diario. Questa idea viene da Robert Bresson che l’ha usata dal suo primo film, Pickpoket. Parliamo di una soluzione che gli ha permesso di moltiplicare i punti di vista sulla storia, come succede in quella meravigliosa scena in cui vediamo Michel scrivere sul diario di essersi seduto nell’atrio della banca e subito dopo ne abbiamo una visione oggettiva attraverso la scena che ci mostra l’accaduto. Raddoppiare o triplicare lo sguardo sull’operato del protagonista era il modo con cui Bresson prendeva le distanze dalle scelte dei suoi personaggi.
Lo Spacciatore e Il collezionista di carte hanno molti punti in comune. Mi sembra che Il collezionista di carte approfondisca il discorso iniziato ne Lo Spacciatore e cioè di come nemmeno l’amore, quello di Oscar Isaacs per Tiffany Haddish, impedisca al protagonista di arrivare in fondo alla propria espiazione. Ne Lo spacciatore Susan Sarandon e William Defoe si dichiarano l’un altro dopo il delitto e non prima, come succede ne Il collezionista di carte.
Sì, è vero, tra i due film c’è una forte relazione. Il percorso esistenziale compiuto da entrambi i protagonisti riprende il concetto di Calvino sulla metafora della prigionia. Per Calvino infatti il corpo era la prigione dell’anima per cui l’uomo poteva essere libero solo accettando la schiavitù nei confronti del corpo. Da qui l’idea di una libertà che arriva solo per coloro che sono incarcerati. John Le Tour e William Tell compiono lo stesso percorso di liberazione che non a caso si compie con la loro carcerazione.
Paul Schrader, gli attori e il nuovo cinema
Come accadeva nella New Hollywood scegli gli attori in maniera tale che il loro divismo non si sovrapponga al personaggio. Mi pare inoltre che scegliere interpreti molto solidi e strutturati renda ancora più forte la scoperta delle loro fragilità. È un’interpretazione corretta?
Sì, nel senso che devi scegliere un attore che non sia solo attraente, ma che abbia un po’ di complessità nel suo viso. In fondo è questo il segreto della celebrità nel cinema. Un attore deve avere un volto in cui lo spettatore è in grado di leggere qualcosa. Se questo non succede quell’attore non diventerà mai una star cinematografica.
Molti autori della New Hollywood hanno avuto difficoltà ad adattarsi al sistema cinematografico che ha seguito quel periodo. Tu sei tra i pochi a essere riuscito a creare un dispositivo capace di convivere con le logiche produttive del cinema contemporaneo tanto che gli ultimi film sono tra i più belli della tua filmografia.
Beh, l’economia digitale ha reso la mia carriera molto più possibile perché ha abbassato i costi aumentando la velocità di realizzazione. Quando ho iniziato, le riprese di solito richiedevano circa quarantacinque giorni mentre oggi riesco a girare in soli venti giorni. Per me è stato un grande vantaggio perché mi ha permesso di fare molto delle cose che avevo in mente.
Delitto e castigo
Nei tuoi film lo schema delitto e castigo è una logica ferrea. A me interessava il fatto che in molti casi il processo di espiazione passi sempre attraverso la salvezza di una giovane vita. Succede così da Taxi Driver in avanti. Il collezionista di Carte e Il maestro giardiniere ne sono la conferma.
Sì, succede ne Il Collezionista di Carte ma ancora di più in First Reformed dove il prete cerca di aiutare un ragazzo problematico che però alla fine si uccide. Dostoevskij è il punto di inizio di questa filosofia. In particolare penso a L’uomo nel sottosuolo ma poi c’è molto altro. Scrivendo Taxi Driver sono entrato in contatto con questa ricca tradizione letteraria europea che inizia con Dostoevskij e che poi continua attraverso Camus e Sartre e ancora con L’uomo senza qualità di Robert Musil. Si tratta di autori e di opere che il cinema non aveva ancora trattato, ma di cui la gente comunque aveva sentito parlare. Cosi è successo con Travis Bickle. Quando gli spettatori lo videro per la prima volta sullo schermo era come se lo avessero sempre conosciuto per via della sua somiglianza con l’Antoine Roquentin de La Nausea. Questo per dirti del mio debito nei confronti della cultura europea.
Per l’intervista e foto di Paul Schrader si ringrazia Carlo Dutto e Reggi & Spizzichino, ufficio stampa del Lucca Film Festival.
Un ringraziamento speciale a Veronica Ranocchi, compagna d’interviste.