Presentato al Festival di Berlino 2024 nella sezione Generation 14plus, uscito in sala il 30 maggio 2024 e adesso su MUBI, Quell‘estate con Irène racconta l’amicizia di due adolescenti costrette a crescere troppo in fretta. Alla prese con la sua opera seconda Carlo Sironi supera l’esame realizzando un piccolo gioiello cinematografico. Di seguito la conversazione con il regista.
Dopo Sole, Carlo Sironi realizza Quell’estate con Irène, distribuito in sala da Fandango e adesso su MUBI.
Quell’estate con Irène di Carlo Sironi
La prima sequenza di Quell’Estate con Irène ci mostra l’interno del pullman in cui viaggia un gruppo di ragazze. Per come le riprendi, restando sui loro volti e celando allo spettatore l’oggetto del loro sguardo, è come se volessi trasmetterne lo stato d’animo comparando l’indefinitezza di quella situazione a quella della loro condizione, influenzata dalla presenza della malattia.
Quello che ho voluto un po’ fare nel film è cercare di mettere in relazione lo stato d’animo dell’adolescenza all’incertezza tipica della malattia oncologica in cui si è in bilico tra la vita e la morte, come peraltro è emerso dalle interviste a ragazze che si sono trovate a vivere la stessa esperienza di Clara e Irene. In qualche maniera c’era fin da subito la voglia di creare un contrasto tra le ansie tipiche dell’adolescenza con le curve più difficili, ma anche più speranzose della malattia. La prima parte del film è dominata da una sensazione ambivalente in cui si alternato spensieratezza e preoccupazione. Da qui la scelta di una musica sognante capace di ricordare l’estate. L’idea di partire da una dimensione collettiva per poi concentrarmi solo sulle due protagoniste mi è stata ispirata dall’inizio di Full Metal Jacket in cui c’è un analogo spostamento di campo. Ci sono le reclute che si tagliano i capelli, con i primi piani dei ragazzi che sembrano tutti uguali e immersi in una musica spensierata nonostante lo spettro del Vietnam. Solo dopo entriamo in caserma per concentrarci sulla storia di alcuni di loro. La stessa cosa che ho cercato di fare in questo film.
D’altronde funziona così anche per il viaggio iniziale. È solo a un certo punto che veniamo a conoscenza dell’altro, quello vero che porterà Clara e Irene a vivere un’estate diversa dal previsto. Peraltro è nella seconda parte che il film assume – tra le altre cose – le movenze del romanzo di formazione.
Assolutamente, perché poi la difficoltà più grande era raccontare un film che sembrava andare in una direzione per poi all’improvviso prenderne un’altra. Per questo ho deciso di non creare uno scarto di toni tra i due momenti, più ordinario nella prima e sospeso nella seconda, mano a mano che le ragazze entrano nel cuore della loro avventura. Da qui la sensazione di tempo sospeso tipico dell’età giovanile presente per tutta la durata del film. Quell’estate con Irène non ha niente di fantastico, ma allo stesso tempo non cerca un tono conciliante; non crede cioè che il ricordo sia simile alla realtà. Il primo è sempre un pochino falsato e dunque anche il tono del film è volutamente altero, non completamente realistico.
Il fatto di tenere la malattia fuoricampo ti permette quello a cui accennavi prima, ovvero di far coincidere le ansie per il decorso della patologia con quelle che caratterizzano l’adolescenza. I due contesti alla fine finiscono per mescolarsi dando vita agli atteggiamenti e alle dinamiche che si ritrovano nel romanzo di formazione.
È vero che è un romanzo di formazione, ma quello del film lo è in maniera anomala. Per esempio non succede quasi mai che questo si concentri su due soli personaggi abituato com’è a far prevalere la dimensione collettiva del contesto. Anche in letteratura il rapporto a due non è mai formativo in termini di crescita e di cambiamento. Nel film non c’è mai la considerazione da parte di Clara e Irène su come la loro amicizia le abbia fatte cambiare per cui più che un romanzo di formazione Quell’estate con Irène si palesa come un film sull’amicizia e sull’adolescenza.
Le protagoniste
Clara e Irène sono complementari l’una all’altra. Clara è idealista, abituata a immaginare più che vivere le situazioni, Irène invece ha imparato a tenere i piedi a terra e ad aprirsi alle esperienze. Nel film è come se fossero queste differenze a scatenare l’energia capace di farle socializzare. Immagino che questa diversità sia stato uno dei punti di partenza nella scrittura del film.
Il punto di partenza è stata Noeè Abita nel senso che fin dal primo trattamento della sceneggiatura è entrata a far parte del progetto. Me la ricordavo splendida protagonista di Ava per cui ho detto alla mia squadra che dovevamo trovare un’attrice simile a lei. Successivamente abbiamo pensato di mandarle la sceneggiatura di cui Noeè si è innamorata e da lì è partito il resto del film. Mentre lei si preparava studiando l’italiano abbiamo incominciato a fare i provini per cercare l’interpretare di Clara e tramite quelli siamo riusciti a risalire a Camilla Brandenburg. Per me è stata una fortuna perché già adesso si vede che Camilla è destinata a un grandissimo percorso d’attrice.
La scelta delle interpreti nel film di Carlo Sironi
Uno dei meriti è stata la scelta di due attrici capaci di far entrare i personaggi nel cuore dello spettatore. Mentre Camilla per me è una scoperta assoluta, Noeè avevo avuto modo di apprezzarla in Slalom, presentato in anteprima ad Alice nella Città.
All’inizio l’unica cosa che non mi piaceva è che fossero così diverse, forse troppo per l’idea che mi ero fatta dei due personaggi, poi mi sono abituato. Riguardo poi alla complementarità dei caratteri invece, quella c’era fin da subito.
Al contrario ho trovato da subito che le differenze fisiognomiche delle due attrici si sposassero bene con quelle dei loro caratteri. Ad accomunarle è il fatto di sembrare due aliene rispetto al mondo che le circonda e a partire da quello presente nell’isola in cui decidono di passare le vacanze.
L’idea era proprio quella, di farle sembrare due aliene o ancora meglio, che l’isola sembrasse un pianeta scoperto da loro. Per questo motivo non ho voluto scegliere un posto che sembrasse il classico luogo di mare in cui divertirsi e andare a fondo della propria adolescenza, ma restituire l’impatto che si ha nel momento in cui si viene a contatto con una natura altra. Da qui la scelta della Sicilia e in particolare di Favignana in cui è ancora possibile imbattersi in luoghi così alieni e per certi versi assurdi che quando li guardi non riesci a capire dove inizia la storia dell’uomo e dove finisce la natura.
Il luogo
Peraltro tu riesci a rendere l’isola protagonista della storia attraverso una serie di immagini dal valore metaforico. Mi riferisco per esempio a quella in cui vediamo le due ragazze dentro quella che è la bocca dell’animale scolpito nella roccia. Lì era chiaro il riferimento allo stato d’animo di Clara e Irène, fagocitate dalle loro paure.
Il significato dell’immagine era proprio quello. In generale ho cercato di mostrare l’alternanza di sentimenti e dunque di filmare tanto le ansie che i momenti felici, quelli dentro i quali le ragazze cercano di perdersi. In tale contesto volevo evitare di utilizzare la malattia in maniera sfacciata e diretta per mantenere quel pudore di cui mi hanno parlato le ragazze che hanno fatto lo stesso percorso di Clara e Irène.
Peraltro Quell’estate con Irène potrebbe essere anche un film per ragazze. Lo vediamo dalla prima scena e da quelle che seguono in cui non c’è traccia o quasi della controparte maschile. Fino all’arrivo sull’isola dove uno dei temi principali è quello della scoperta dell’universo maschile che diventa un po’ l’emblema di quel mondo alieno di cui si parlava sopra.
Sì, del maschio come “altro” e anche come qualcosa con cui scontrarsi o rimanere affascinati.
A un certo punto fai esclamare a una delle ragazze: “I maschi ci hanno trovato”, frase che rispecchia molto bene il sentimento di ambivalenza presente nella storia, lo stesso che ti permette di non appiattire il discorso sull’iniziazione sentimentale delle ragazze mantenendo sempre vivo il misto di attrazione repulsione tipico dell’incontro con l’altro.
Si si, assolutamente.
Giorno e notte nel film di Carlo Sironi
Nel ritrarre la natura dell’isola c’è un netto distacco tra giorno e notte. Gli ambienti notturni, a cominciare dalle camere da letto, sembrano restringere lo spazio d’azione delle ragazze evocando in qualche modo le loro paure. Per contro quelle girate alla luce del sole sono caratterizzate da una libertà di movimento che corrisponde alla leggerezza dell’agire.
A questa differenza tra giorno e notte non ci ho mai pensato molto, nel senso che non l’avevamo mai teorizzata nelle discussioni sul film. Al direttore della fotografia, Gergely Poharnok, lo stesso di Sole, ho chiesto di creare una notte buia, priva dei punti luce che di solito si mettono per non farla essere completamente scura. A differenza di Sole, la fotografia di Quell’estate con Irène è luminosa, lontana da quella opaca tipica dell’est europeo. Forse è per questo che hai sentito così forte il contrasto tra giorno e notte.
Richiami e riferimenti
Come si diceva Quell’estate con Irène è attraversato da momenti di leggerezza in cui la dimensione ludica della vita prende il sopravvento sui cattivi pensieri. Mi riferisco alla sequenza in cui Irène, in procinto di andare in spiaggia, entra più volte nella casa per rimediare alle proprie dimenticanze o, ancora, quando scegli una rappresentazione colorata e sorridente del paesaggio che attraversano per arrivare al mare. L’impressione è quella di esserti ispirato agli anime giapponesi. È così?
Guarda, sugli anime hai centrato in pieno il riferimento, nel senso che, in quel caso, i ragionamenti sono andati verso qualcosa di più fumettistico che reale, poi non ti so dire a quale dei tanti mi sono ispirato. Di certo ho cercato di ricreare quell’atmosfera non realistica perché credo che nel cinema ci sia troppo la tendenza a essere sempre credibili anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Altro riferimento è stato il cinema francese che fa della semplicità della messa in scena un cavallo di battaglia. Ho pensato soprattutto a quello di Mia Hansen Love.
La diversità di Clara e Irène emerge anche dalla mise dei capelli e dal loro modo di vestire. Rispetto ai loro coetanei sembrano ragazze di altri tempi.
Per quanto riguarda i vestiti non avevamo in mente di mostrare come si vestivano i giovani negli anni novanta. Piuttosto quelli che vedi sono il risultato di molteplici influenze tra cui per esempio quelle provenienti dal cinema di Rohmer che ci hanno molto aiutato a evocare gli anni ottanta. In generale abbiamo pensato a creare i personaggi piuttosto che a essere realistici.
Realtà e fantasia
A proposito del rapporto tra realtà e fantasia, verso la fine c’è uno stacco di montaggio molto evidente in cui si passa dalle grotte marine alle strade del paese in cui Clara e Irène si divertono a filmare le vicissitudini sentimentali di due ragazzi. Nello scarto improvviso tra natura e città ho ravvisato la voglia di dare corpo in maniera più realistica all’idea d’amore.
Sì sì, quello è il momento in cui le ragazze si mischiano con un mondo che finora non avevamo visto. Per farlo si riferiscono all’universo maschile come se fossero i maschi quelli deputati a riportare alla realtà il discorso amoroso. Si è trattato di una cosa che ho capito durante la fase del montaggio piuttosto che qualcosa che avevo in mente.
Entrare dentro i personaggi ha voluto dire lavorare molto sulla fisicità delle attrici per la necessità di far sentire le conseguenze della malattia. In questo senso le due attrici si sono sottoposte a un vistoso dimagrimento.
Quella è una cosa che hanno fatto loro. Io gli ho dato i contatti per documentarsi sulla storia medica di ragazze che avevano avuto le vicissitudini dei loro personaggi. In realtà quello che abbiamo fatto insieme è stato partire da quegli aspetti caratteriali che avrebbero potuto prestare ai loro personaggi. Al di là di tutto, credo che gli attori mettano molto della loro vita in quella dei personaggi. In questo film ho lasciato sia Camilla che Noeè libere di farlo nella misura che ritenevano opportuno.
Camilla Brandeburg
Della bravura di Noeè Abita abbiamo già detto. Di Camilla Brandeburg mi devi dire qualcosa tu, tenendo conto che la sua è una di quelle interpretazioni destinate a lasciare il segno.
Camilla l’abbiano trovata con un percorso molto canonico. Nonostante la pochissima esperienza aveva già un’agenzia per cui di fatto non l’abbiamo scoperta noi. Dal primo provino siamo stati sicuri di aver trovato la nostra Clara. Rispetto ad altre attrici altrettanto interessanti a essere decisiva per la sua scelta è stata la complicità con Noeè. Rispetto a Sole, nel quale avevamo dovuto fare molta preparazione perché Claudio era al suo primo film e Sandra era un’attrice polacca, qui ho preferito lasciare a loro un po’ di spazio facendo decidere loro in che modo volevano lavorare. Credo che gli attori sul set riescano a dare sempre qualcosa in più rispetto alle prove. Questa è stata la ragione per cui abbiamo evitato di simulare le scene del film prima di iniziare a girare.
Il modo di fare cinema di Carlo Sironi
Con Quell’estate con Irène lavori di nuovo con un’attrice straniera e ancora una volta assegni un ruolo al bravissimo Claudio Segaluscio. È una casualità o piuttosto l’idea di un cinema svincolato da limiti di spazio e nazionalità?
Le sensazioni di cui mi chiedi sono entrambe vere, ma allo stesso tempo conflittuali nel senso che Claudio lo vorrei avere sempre con me perché credo che al di là dei personaggi abbia una verità tutta sua; come pure un fascino capace di uscire fuori con la stessa forza in due film dai toni molto diversi. Lavorare con Claudio è come sentirmi a casa. Dall’altra, visto che questa volta non era il copione a impormelo quella di Noeè è stata una scelta che ho fatto anche come spettatore a cui spesso succede di innamorarsi dell’attore o attrice che porta in scena un determinato personaggio. In questo caso è successo con lei. Non si è trattato di una cosa programmatica. Inoltre credo che dietro tutto questo ci sia anche un grande debito d’amore per il cinema francese.
L’amicizia tra Clara e Irène è raccontata molto attraverso i dialoghi, ma nel film i silenzi non sono da meno in termini narrativi e di significato.
Rispetto a Sole questo film aveva più spazio per il dialogo. Ciò detto mi piaceva mantenere l’idea che le paure più importanti e più taciute sono destinate a rimanere in parte dentro di noi. Da qui la decisione di assegnare al silenzio una funzione narrativa forte che nel mio cinema penso sia diventata quasi un marchio di fabbrica. Non so se sarà così anche nei prossimi progetti però qui ho voluto proseguire in continuità con quanto fatto in Sole.