Dopo la presentazione mondiale al Festival di Berlino, Home Invasion, il primo lungometraggio diretto dal regista inglese Graeme Arnfield, arriva in Italia. Il film è ospitato nella sezione Concorso Internazionale dell’Unarchive Found Footage Fest (Roma 28 maggio – 2 giugno).
Una meravigliosa, ma allo stesso tempo terrificante metafora contemporanea.
Home Invasion, la trama
Un film onirico sulla storia del campanello, tracciando la storia della sua nascita e le sue costanti innovazioni, attraverso le lotte operaie del XIX secolo, gli anni nascenti del cinema narrativo e le culture contemporanee della sorveglianza.
L’occhio elettronico dei doorbell
Un giorno qualsiasi, come accade a ognuno di noi, il regista di Home Invasion accetta di prendere in consegna un pacco per il suo vicino. Dopo qualche ora, bussa il campanello e una voce lo invita di lasciare lì il pacco. Quella voce, però, non giunge dall’interno della casa, come si potrebbe credere, ma dalla Francia, dove il vicino di Graeme si trova per passare le vacanze.
È in questo modo che il regista di Home Invasion conosce il doorbell, un campanello elettrico capace di comunicare a distanza e registrare, attraverso una serie di spioncini, tutto quello che succede fuori la porta di casa. Uno strumento di sicurezza di grande diffusione in America del nord e ora anche qui in Europa.
Realizzare un intero film sulla storia di un campanello può sembrare assurdo e probabilmente lo è davvero, ma Greame Arnfield, regista e artista poliedrico, autore di numerose videoinstallazioni, riesce a dare un senso logico a un’idea, solo apparentemente, delirante.
La realtà diventa finzione
“Ho sempre subito il fascino delle storie vere, ma avvertite come false”.
Home Invasion è composto da una lunga serie di immagini registrate da questi campanelli provvisti di telecamere, per ragioni di sicurezza. Estratti visivi banali, come appunto la consegna di un pacco, bambini che giocano per strada, un gatto che miagola sull’uscio di casa e un serpente che striscia sullo spioncino. Immagini del quotidiano selezionate dal regista sui social di quartieri, dove ogni utente riporta informazioni utili per la propria comunità.
Nulla di più vero, dunque, un occhio elettronico che registra ciò che avviene fuori di casa. Tuttavia queste immagini, impresse senza alcuna finalità artistica, diventano una straordinaria metafora cinematografica e politica. Una riflessione sul capitalismo e sulla contemporaneità.
Intorno agli anni Sessanta una donna viene aggredita nella sua casa. Per sentirsi al sicuro, almeno nelle mura domestiche, costruisce un sistema di videosorveglianza che entra in funzione ogni volta che qualcuno suona il campanello di casa. Da qui parte Graeme Arnfield per costruire il suo Home Invasion.
La minaccia dietro l’uscio di casa
La musica scelta per iniziare il film è immediatamente inquietate, il regista, però, decide di iniziare con delle immagini con una certa dose di ironia. Ed ecco allora un pacco consegnato goffamente, un bambino che sputa sul campanello e uno spostato di testa che lecca lo spioncino di casa.
Passano pochi minuti, e senza che lo spettatore possa rendersi conto, il regime delle immagini registrate dai tanti doorbell diventano sempre più sinistre. Eventi naturali, come il passaggio di una tempesta, un incendio e dei ladri che provano a forzare una serratura ci trascinano lungo una china terrificante.
Il punto di vista è sempre quello dell’occhio del campanello elettronico e le immagini estratte dalla realtà, talmente vera da sembrare falsa, ricostruita attraverso un espediente cinematografico. Un paradosso, un cortocircuito creato dal fluire visivo: una sfilata di ciò che avviene fuori casa, una minaccia per la nostra sicurezza.
Home Invasion: un film horror
È in questo modo che il lungometraggio di Graeme Arnfield si trasforma in un horror. Tutto ciò che resta fuori dall’uscio diventa un pericolo. Le immagini spaventose, come in tante pellicole di genere che mostrano l’invasione di zombi e catastrofi. Ma Home Invasion è sostanzialmente un saggio e quando il terrore raggiunge il suo apice inizia la seconda parte del film, con estratti del cinema horror, Scream e Panic Room.
Successivamente, il discorso visivo va più indietro nel tempo, proponendo frammenti del cinema di Griffith. L’obiettivo, però, resta sempre lo stesso: mostrare la potenza e il fascino della settima arte. Home Invasion diventa una meravigliosa metafora sul cinema. il registra mostra come, attraverso il grande schermo, immagini registrate da un banale strumento elettronico possano suscitare riso, stupore e terrore.
Meta – cinematografia e politica
Graeme Arnfield tira i conti con la terza e ultima parte del lungometraggio. Nella sua parte conclusiva Home Invasion abbandona l’occhio elettronico del campanello, proponendo, probabilmente, la principale riflessione dedicata al capitalismo e al rapporto dell’uomo con le macchine. Un tema di stringente attualità, visto gli ultimi progressi dell’intelligenza artificiale; il regista, però, decide di procedere ancora attraverso la metafora, mostrando immagini delle rivolte operaie suscitate dal luddismo. Ma è ovvio che il discorso prenda la sua reale connotazione nella contemporaneità. In un viaggio fortemente visionario, a tratti onirico, il regista ha la capacità di non perdere la sua stella polare, riferendosi costantemente alla situazione politica e sociale dell’oggi.
Le immagini, nate come materiale neutro, registrate dai doorbel, sono una serie di critiche rivolte ad alcune politiche sulla sicurezza, quelle escogitate appositamente per creare una minaccia per veicolare un messaggio politico. Immigrazione e conflitti in corso tra popoli vicini sono i due principali fili conduttori di Home Invasion, un film meta – cinematografico e politico.
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