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‘Hail’: una chimera di tenerezza, brutalità e realtà

Unico e a suo modo inclassificabile, 'Hail' è un film che nel bene o nel male fa riflettere su temi universali quali l'amore, la redenzione, la vendetta. Su Mubi

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Hail

Presentato nella sezione Orizzonti della 68esima Mosta Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del 2011, Hail è il primo lungometraggio dell’australiano Amiel Courtin-Wilson. Il film racconta il legame tra Dan (Daniel P. Jones) e Leanne (Leanne Letch). Nati nello stesso giorno, il 6 novembre 1960, i due mangiano insieme, vivono insieme, rubano insieme. Ma quando il suo amore gli viene strappato violentemente dalle mani, Danny sprofonda in una disperazione primordiale. I ricordi accecano la sua memoria e tagliano in due il suo corpo. Ferito dalla bellezza, sprofondato in un abisso di violenza, Dan si scaglia contro la marea e si mette in viaggio per andare a riprendersi quello che gli è stato tolto…

Guarda Hail (2011) su Mubi.

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Hail è un film bizzarro, particolare, una chimera che mescola al suo interno diversi generi, stili e posizioni. Al suo esordio al lungometraggio, Amiel Courtin-Wilson compie un’investigazione sulla realtà post-carceraria dei sobborghi australiani. La sua cinepresa, rigorosamente a mano, è estremamente mobile, fluida, segue pedissequamente il suo protagonista, uomo relegato all’orlo della società, che tenta disperatamente di essere reintegrato in essa. La fotografia è sgranata, spesso fuori fuoco, e contribuisce a far emergere tutto il livore e l’amarezza della condizione esistenziale di Dan e Leanne.

Lo sguardo, erotizzante, indaga morbosamente i corpi dei protagonisti, si sofferma sulle loro rughe, i gesti, le espressioni, ne sprigiona la carica sessuale in tutta la sua potenza. Il tutto contribuisce a conferire all’opera una confezione fin troppo festivaliera e un’aura post-dogmatica, pur con le sue unicità del caso: si pensi agli inserti immaginifici che contrappuntano tutto il film, ma anche all’utilizzo della colonna sonora, che risemantizza il significato latente delle immagini.

Tra documentario – non solo per il fatto che Jones stesso si interpreta, insieme a Leanne Letch, sua vera compagna nella vita reale, ma anche perché la sceneggiatura ha origine da una serie di estese interviste filmate – e finzione, Hail è un film in parte fallimentare proprio per il suo tentativo di voler mettere “troppa carne al fuoco”, senza in realtà sviscerare profondamente nessun argomento: si passa dalle difficoltà socioeconomiche che affliggono la working class dei sobborghi australiani al costante flusso emotivo di una mente affetta da disturbo bipolare, oscillante tra momenti di intimità rigenerante e comportamenti devianti durante le inevitabili interazioni sociali; dal caos esistenziale causato da un passato carcerario traumatico (lasciato fuori campo) alla battaglia per trovare un posto nel mondo, ora ostile e invalicabile come un filo spinato.

Hail

Hail: due miserie in un corpo solo

Hail esplora la vita dei carcerati relegandola a un tabù imbarazzante, mantenendo fuori dall’inquadratura e dall’arco temporale il nucleo del problema. Un po’ come accade in molti altri film contemporanei, tutti concentrati su un protagonista-foyer incapace di sostenere il peso emotivo dell’intera opera, il regista sembra disinteressarsi di fornire una vera sostanza a questi personaggi, di costruirne il passato di cui vediamo solo gli effetti tangibili (rughe, cicatrici emotive, deformità), lasciando che la narrazione si sgretoli dopo appena mezz’ora, priva di una struttura solida su cui reggersi.

La natura ambivalente della pellicola, che oscilla tra l’infinita tenerezza di Dan nei confronti della donna amata e la crudeltà estrema che alimenta la sua vendetta, è evidente nella struttura narrativa concepita da Courtin-Wilson. La prima metà del film, ad eccezione di brevi momenti onirici (il cavallo in caduta dal cielo, gli sterminati paesaggi che inglobano il protagonista e che contrappuntano la sua realtà asfittica), sembra voler esplorare certi elementi del cinema inglese incentrati sulla classe operaia, con scene che richiamano l’estetica dei migliori lavori di Ken Loach. Questo approccio subisce una svolta drastica nella seconda metà del film, che assume i toni di un’epopea infernale, trasformando il dramma umano in una storia di vendetta.

Pur essendo un film che sprigiona la sua forza con la stessa intensità dei repentini scatti d’ira del protagonista, Hail risulta essere, in definitiva, un’esperienza troppo fugace, incapace di scavare profondamente nell’animo dello spettatore e di lasciarvi un’impronta indelebile.

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Hail

  • Anno: 2011
  • Durata: 104 min
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Australia
  • Regia: Amiel Courtin-Wilson