La seconda vita di Vito Palmieri si mette in ascolto dell’indicibile per raccontare la possibilità di ricominciare a vivere, nonostante tutto. Della sua opera prima abbiamo parlato con Vito Palmieri
La seconda vita di Vito Palmieri è in sala distribuito da Articulture e Lo Scrittoio
Vito Palmieri e il suo La seconda vita
La seconda vita adotta un montaggio emotivo in cui la narrazione spazio temporale fluttua tra passato e presente. In questa maniera, accanto alla narrazione classica, ne abbiamo anche una interiore che, in maniera progressiva, ricostruisce l’esistenza della protagonista, entrata in crisi dopo il misfatto di cui si è resa artefice.
La prima parte del film rimane molto su di lei proprio per cercare di entrare dentro i suoi silenzi e trasmettere le difficoltà di chi come Anna cerca di darsi una seconda possibilità. Volevo trasmettere lo spaesamento e il senso di solitudine che si provano nel momento in cui, dopo aver scontato anni di prigione, si affronta il tentativo di rifarsi una nuova vita.
In effetti le prime immagini rimandano all’isolamento e alla solitudine di Anna. Il fatto di mostrarcela immobile sotto la superficie dell’acqua, oppure di vederne la figura attraverso i vetri, e ancora di non sentirne le parole di commiato alla sua terapista, sono indizi della stessa precarietà che l’accompagna quando si trasferisce in un altro paese.
Il silenzio è in assoluto uno dei temi più importanti del film perché con esso affronto il concetto di giustizia riparativa che prevede l’incontro tra vittima e carnefice in cui il colpevole ascolta il punto di vista del perseguitato. Purtroppo la condizione di ascolto passa sempre in secondo piano mentre nel concetto di giustizia riparativa, e di conseguenza anche nel mio film, è centrale. Il fatto di non sentire le parole di Anna fa parte della strategia di farla conoscere allo spettatore un poco alla volta, seminando qua e là dettagli e piccoli indizi che alla fine ci faranno capire cosa è accaduto nella spiaggia dove si è compiuto il delitto. L’uso dei vetri mi serviva per mediare le informazioni e in definitiva per non fare arrivare da subito allo spettatore il pensiero di Anna. In definitiva per rispettare il suo silenzio e la sua difficoltà.
Silenzi e sottrazione
Hai lavorato di sottrazione, lasciando fuori campo molte informazioni e lavorando sulle suggestioni e sulla capacità delle immagini di raccontarle. Come succede nel campo lungo iniziale in cui la biblioteca dove Anna si reca per iniziare a lavorare assomiglia a una sorta di mausoleo, testimoniando la volontà della ragazza di sparire dal mondo.
Sì, perché avendo avuto un passato tormentato e oscuro Anna vuole darsi una seconda possibilità trasferendosi in un piccolo comune di provincia in cui per lei è tutto nuovo. Non conosce nessuno e nessuno conosce lei, quindi pur avendo più di trent’anni è una situazione inedita. Con quell’inquadratura, dominata dall’imponenza architettonica dell’edificio, che come dici giustamente assomiglia a un mausoleo, volevo trasmettere lo spaesamento di Anna, quella per cui anche un piccolo centro viene percepito come una grande città, tante sono le difficoltà per chi deve iniziare tutto da capo.
L’ambiente de La seconda vita di Vito Palmieri
Nel film l’ambiente diventa il catalizzatore delle psicologie dei personaggi. Da una parte c’è la città, ovvero lo spazio dell’oppressione sociale e del giudizio, dall’altra il paesaggio naturale in cui Anna e Antonio trovano rifugio e conforto dalle paure che li attanagliano.
Il rapporto tra questi spazi mi serviva per mettere in dubbio l’apparente perfezione della comunità del paese. La presenza di quei paesaggi che sembrano un po’ degli acquarelli e che sono talvolta attraversati dalla nebbia rende difficile percepire cosa sta accadendo. Una reticenza che allude a qualcosa di nascosto e di conflittuale che si cela dietro l’apparente perfezione del quadro generale.
Peraltro, se paragonato alla claustrofobia delle strade cittadine, le improvvise fughe nel paesaggio testimoniano la volontà di spostare la vicenda su un piano universale. Il parallelismo tra l’immagine del capo di Anna intento a spiarne le mosse e quello delle statue che sembrano osservare con distacco le vicende umane testimoniano la volontà di rimettere la vicenda su un piano più alto e direi quasi metafisico.
Sono d’accordo sul fatto che le statue trasmettono una dimensione metafisica. Da subito vedendole ho avuto la sensazione di uscire fuori dalla terra, perché così di fatto appare, rimandando simbolicamente al concetto di rinascita legato al tentativo di Anna di ricominciare a vivere. Poi è anche vero quello che dici, e cioè il riferimento alla percezione di Anna, di sentirsi sempre osservata e giudicata come succede con Marco, il direttore della biblioteca che ne controlla le mosse. Queste macro statue, presenti a Peccioli, in provincia di Pisa, sembrano effettivamente osservare tutto dall’alto e concorrono alla sensazione della protagonista di sentirsi sempre al centro dell’attenzione.
Simboli e simbologie
A proposito di simboli, particolarmente significativo è quello rappresentato dalla campana del duomo che Antonio e il padre sono chiamati a riparare. Le analogie con Anna sono più di una. Come la ragazza anche quella attira le attenzioni della gente del paese. Come Anna anche la campana ha bisogno di essere riparata e come se non bastasse viene coperta con un telo, ovvero messa al riparo, un po’ come cerca di fare la ragazza nascondendosi agli occhi degli altri.
L’idea della campana mi è venuta quando ho saputo che gli abitanti del paese si erano tassati per ripararla. Ho deciso di metterla nel film perché volevo che Antonio fosse costretto come fabbro a un lavoro capace di mettere un timido come lui al centro dell’attenzione, di farlo uscire allo scoperto. Quando il padre decide di accettare il lavoro lui si sente un po’ come Anna, ovvero osservato dalle persone. È vero poi che la frattura della campana ha a che fare molto con Anna. Entrambe hanno bisogno di essere riparate per tornare a funzionare. Poi, in fondo, il momento in cui Antonio mostra ad Anna la campana è quello in cui entrambi iniziano a credere che per loro ci sia la speranza di una seconda vita.
Anna, Marco e Antonio
La condizione di Anna è condivisa anche dagli altri personaggi. Non solo da Antonio e da suo padre ma anche da Marco di cui abbiamo modo di constatare più volte la solitudine. D’altronde la sequenza dell’incontro tra Anna e Antonio è esemplare in questo senso. Mentre gli avventori del ristorante cenano seduti a tavola, loro consumano il cibo sul bancone, a sottolineare una comune condizione di isolamento rispetto al resto del mondo.
Sì, certo. La scelta del bancone è stata anche estetica, perché indubbiamente la sua immagine è più bella di quella dei tavolini. Poi come dici tu, si siedono lì perché sono degli outsider e si sentono sempre a disagio e fuori posto in mezzo alla gente. Anche Marco lo è, per questo passa le sue serate solo al bar. Si tratta di personaggi molto simili anche se c’è chi reagisce in modo positivo come Antonio e Anna e chi no, come Marco.
Il percorso di Anna è raccontato anche dall’esterno, attraverso il modo di vestire. Nella prima parte, quando i sensi di colpa e la paura del giudizio la assalgono nega la sua femminilità e con essa ogni possibile desiderio, nascondendosi dietro un modo di vestire anonimo e quasi mascolino. All’opposto, nella sequenza finale, la definitiva accettazione di sé stessa è annunciata da una mise che ne valorizza la bellezza e la vitalità.
Mi fa molto piacere che tu sia riuscito a cogliere l’evoluzione di Anna attraverso il costume. Con le sorelle Vecchi, le costumiste del film, abbiamo fatto mesi di preparazione per capire come raccontare i silenzi e i cambiamenti attraverso le immagini. Nella prima scena la tuta rossa è ispirata a Rosetta dei Fratelli Dardenne, poi con il tempo le fasi della rinascita sono sottolineate da un look più carino e dal fatto che lei si guarda spesso allo specchio. Una trasformazione che riguarda anche Antonio. Nel momento in cui incomincia a frequentare Anna lo vediamo vestirsi con maggiore cura, abbandonando i vestiti di circostanza che usa per mettersi quando lavora come fabbro.
La seconda vita di Vito Palmieri è un film politico?
La seconda vita è un film politico che più di così non si può. Oltre a parlare del reinserimento sociale e della funzione riparatoria del carcere, ha soprattutto il coraggio di raccontare senza retorica né paternalismi il percorso di chi deve fare conti con le colpe di un’azione indifendibile. Il fatto di metterla al centro della tua indagine dandole spazio senza giudicarla e credendo nella possibilità di riscatto fanno di La seconda vita un film profondamente misericordioso.
Quando facevo lezione nelle carceri più del reinserimento sociale mi sono spesso chiesto come fanno i detenuti a tornare ad amare e a essere amati. Il tema delle emozioni è legato alla possibilità di recuperare i legami affettivi e averne di nuovi dopo aver scontato una pena così pesante. Il carcere prevede non solo un isolamento fisico, ma anche mentale e questa situazione comporta di sicuro un cortocircuito interiore. Da queste riflessioni ha preso forma il personaggio di Anna, per approfondire il quale mi sono avvalso di psicanalisti e criminologi. I profili femminili sono ancora più belli e interessanti e anche meno rappresentati nella considerazione che il 95% dei detenuti sono uomini. La sfida dunque era di raccontare quella minima percentuale di cui si conosce meno, cercando di mettermi dall’altra parte per capire come si arriva a compiere un delitto. Se tutto questo sia politico o meno non lo so. Nel film non c’è un’immagine del carcere perchè volevo parlare del ritorno alla vita evitando di ripetere il meccanismo di autodifesa e di rifiuto che scatta quando scopriamo che la persona di fronte a noi è stata in carcere.
Se a Marianna Fontana offri un ruolo raro e complesso per tutto quanto abbiamo detto, è vero che per Giovanni Ansaldo regali un personaggio che lo costringe a lavorare di sottrazione e che dunque ce lo mostra, forse per la prima volta, al di fuori dalle figure esuberanti e guascone a cui ci ha abituato.
È vero, quello di Giovanni è un ruolo lontano dal suo modo di essere e dalle parti che ha interpretato. È stato tutto un togliere sia per Giovanni che per Marianna. Se la vedi nelle anteprime del film ti accorgi di quanto lei sia più vitale e solare del suo personaggio e questo ti dice quanto abbiamo lavorato su di lei. Per la parte di Antonio, ovvero di una persona abituata a un lavoro molto fisico, mi serviva qualcuno che apparisse sicuro anche se poi dentro di sé non lo era. Un po’ come succede per Anna, che è schiva e silenziosa mentre in una seconda vita potrebbe essere solare. Lavorare di sottrazioni su questi contrasti e su queste psicologiche non era facile, ma quando lavori con attori professionisti è possibile riuscirci.
Il cinema di Vito Palmieri
Parliamo dei film che preferisci.
Mi piace il cinema intimista che poi è quello a cui ho fatto riferimento per il mio film. Titoli come Corpo e Anima, Manchester by the Sea sono alcuni di quelli che ho visto in fase preparatoria. Past Lives mi è piaciuto tantissimo perché amo le storie di amori impossibili e poi perché raccontarle con delicatezza senza ricorrere alla commedia e al dramma è molto difficile. Roma di Alfonso Cuaron è un capolavoro, ma ho ammirato anche Chiamami con il tuo nome per la semplicità del suo finale capace di trasmettere sentimenti profondi con una messinscena essenziale.