Vincitore di due premi César tra cui quello di Migliore rivelazione femminile andato alla protagonista Ella Rumpf, Il Teorema di Margherita è l’ennesima dimostrazione di un cinema, quello francese, capace di cogliere l’eccezionalità del quotidiano e trasfigurarla in personaggi indimenticabili. De Il teorema di Margherita abbiamo parlato con la regista Anna Novion.
Distribuito da Wanted, Il teorema di Margherita è in uscita nelle sale italiane a partire da giovedì 28 marzo.
Il teorema di Margherita di Anna Novion
Il Teorema di Margherita traduce l’isolamento della protagonista con un look che rende il suo disagio in senso fisico. Penso al fatto di riprenderla mentre cammina per i corridoi, di toglierle lo spazio circostante, di farle indossare gli occhiali. A un certo punto incornici la sua faccia all’interno del vetro di una porta facendola sembrare in un acquario. Anche il modo di vestire di Margherita è un elemento che rivela la sua volontà di passare inosservata nascondendosi dal mondo. Quanto avete lavorato con Ella Rumpf su questi aspetti del personaggio?
Ella Rumpf rappresentava quanto di più lontano avevo immaginato per il personaggio di Margherita. Rispetto a quest’ultima lei è una giovane donna moderna, emancipata e molto bella, dunque il lavoro di trasformazione fisica è stato molto importante. Metterle gli occhiali poteva sembrare un cliché, ma per me era fondamentale perché questo rivelava la volontà di nascondersi dal resto del mondo. Abbiamo lavorato molto sui gesti, sulla postura. Le spalle in dentro sono servite per sottolineare il fatto di non essere capace di guardare gli altri in faccia. Quando si emancipa infatti il suo atteggiamento cambia perché da quel momento in poi inizia a guardare le persone dritte negli occhi. Allo stesso modo abbiamo lavorato molto anche sugli abiti. Margherita evita di indossare tutto quello che può ostacolare il suo lavoro. Per lei abiti e scarpe non hanno una funzione estetica; non devono essere belli ma comodi.
Al contrario del suo nuovo collega, Lucas, che vediamo fin da subito circondato da persone e con un atteggiamento di apertura verso gli altri derivante dal fatto di avere altri interessi oltre alla matematica. Anche i capelli scarmigliati sono indicatori di un’altra vita, oltre a quella professionale.
Sono d’accordo con ciò che dici. Lucas rappresenta il contrario di Margherita: si trova a suo agio con le relazioni sociali, al punto da prenderle il posto in men che non si dica. Appena arriva all’Università fa amicizia con gli altri e trova subito la sua collocazione all’interno della comunità, cosa che a Margherita non è mai successa. Entrare in contatto con lui amplifica il suo disagio e il fatto di sentirsi messa in minoranza.
La struttura
Dal punto di vista narrativo Il teorema di Margherita ha una struttura da Buddy Movie in cui due personaggi dal carattere opposto si ritrovano a condividere forzatamente uno spazio. In questo caso però il viaggio dei due protagonisti è esistenziale e non geografico. Sei d’accordo con questa interpretazione?
All’inizio Margherita e Lucas sono antagonisti. La convivenza lavorativa, e soprattutto la matematica, ci rivelano la loro diversità. Per Margherita la matematica completa la sua vita mentre Lucas, che pur la ama, sente il bisogno di fare altro. Lei pensa sempre a quello, lui può passare da una cosa all’altra. Margherita non è abituata a lavorare con qualcuno e dunque ad accettare la competizione a cui ti spinge la materia di studio, lui sì.
Siamo partiti da queste differenze per dimostrare che l’unione degli opposti potesse diventare la loro forza. In questo senso, partendo da un assunto tipico delle commedie romantiche, abbiamo lavorato con l’idea di andare oltre ai codici di genere.
Il teorema che Margherita cerca di dimostrare fin da subito la metafora di un punto di vista sul mondo e del tentativo della protagonista di controllare la realtà, di darle senso restituendole le certezze venute meno dopo l’abbandono del padre. C’era questa intenzione?
Il rapporto di Margherita con la figura paterna sottintende questo. Si sente che Margherita è stata abbandonata dal padre e che la matematica l’ha protetta da questo trauma. È come se il calcolo numerico la proteggesse dal mondo esterno e dalle sofferenze che da esso derivano. È la matematica ad aiutarla a razionalizzare emozioni e sentimenti. Fin dal principio Margherita è una persona che combatte con i propri errori e le proprie vulnerabilità. Questo le permette di stare di fronte a ciò che non funziona nella sua vita per poi potersene emancipare. Senza questo processo non sarebbe potuta diventare la grande matematica che alla fine è.
Richiami e paragoni per il film di Anna Novion
Per la deriva delle sue ossessioni il personaggio di Margherita mi ha ricordato quello di PI Greco di Darren Arnofosky. Dall’altra parte quello di Good Will Hunting per il modo in cui non dà possibilità al suo ragionamento di rafforzarsi attraverso la vita vissuta. Sono dei paragoni plausibili?
Ho visto tutti i film che parlano di matematica. Pi greco è interessante così come Good Will Hunting ma non mi sono ispirata a loro. Stranamente il film parla piuttosto del rapporto con il mio mestiere. Questo è un film estremamente personale perché quando ho incontrato Ariane Mézard, la matematica che ha ispirato questo film, mi sono resa conto che parlava di passione, abnegazione, rischio della ricerca. I matematici passano anni a cercare teoremi senza essere sicuri di trovare qualcosa e questo rischio mi ha interessato. Si tratta di un approccio che ha echi con il mio mestiere di regista perché alla fine c’è come un fondo interiore comune. Credo sia stato davvero questo ad avermi aiutato a scrivere il film. Alla fine Il teorema di Margherita fa una comparazione tra la creazione matematica e quella artistica arrivando a dire che a unirle è la necessità, concetto, questo, che costituisce senza dubbio l’originalità del film. Credo che questo rapporto tra matematica e arte sia qualcosa di inedito. Come lo è il punto di vista femminile sulla questione. Di solito questa è sempre ad appannaggio della controparte maschile.
Il mentore e padre putativo
Il trauma di Margherita non è tanto il cattivo esito del seminario quanto la decisione del professore di smettere di lavorare con lei. Werner, il personaggio interpretato da Jean-Pierre Darroussin, non è solo un mentore, ma una sorta di padre putativo. Il fatto di non volerla più come assistente fa rivivere a Margherita la sofferenza provocatole dall’abbandono del padre.
Il personaggio di Jean-Pierre Darroussin rappresenta una figura paterna e anche una figura di potere. Nei fatti è proprio quello che il professore esercita su di lei a innescare il processo di emancipazione, quello che le dà la forza di trovare fuori dall’università la maniera di fare matematica. A muovere Margherita è anche l’idea di vendetta nei confronti del professore sul quale ha investito troppe emozioni e sentimenti. Dimostrargli di essere una matematica, indipendentemente dal riconoscimento scolastico, le permette di prendere le distanze da lui. Werner non sopporta l’idea di essere una sorta di padre putativo. Nel corso della storia è lui a dirle più volte che la matematica deve essere svincolata dai sentimenti. Il professore rappresenta troppe cose e il percorso compiuto da Margherita è anche un modo di emanciparsi da lui e di uccidere la figura paterna. Per farlo dovrà dimostrargli di avere un posto nel mondo grazie alla matematica.
Il lavoro di Anna Novion per arrivare alla creazione di Margherita
Ella Rumpf è abituata a interpretare ruoli fuori dagli schemi. Quello di Margherita però rispetto agli altri è fisicamente molto più misurato, permettendole di esplorare un tipo umano diverso dai precedenti. Cosa la rendeva adatta al tuo personaggio e come avete lavorato per farla diventare Margherita?
È vero, è la prima volta che Ella Rumpf face un personaggio in cui il corpo conta meno della componente cerebrale. A dire la verità non mi sono posta la questione su cosa avesse fatto in precedenza, non mi interessava. Sapevo che era una brava attrice e che non aveva mai interpretato un ruolo da protagonista. Quando ci siamo incontrate c’è stato qualcosa di ipnotico, l’ho guardata e ho sentito la forza che sprigionava. Parlandole davanti a un caffè mi sono resa conto che aveva qualcosa di molto vicino a Margherita, un concentrato di quello che cercavo. Ho avuto coscienza di questo prima di lei. Le ho detto subito che la volevo per interpretare la protagonista e all’inizio ha avuto paura di non riuscire a entrare nel ruolo di una grande matematica. Per riuscirci abbiamo mescolato le nostre visioni facendo di Margherita l’insieme delle nostre idee. Abbiamo discusso su ogni sfumatura del personaggio e a poco a poco ci è apparso.
Un ruolo enorme lo ha avuto Ariane Mézard che ci ha aiutato a scrivere tutte le formule che compaiono nel film. Oltre a lei Ella ha incontrato anche altri matematici, un aspetto fondamentale per farla entrare nel personaggio. Il suo è stato un lavoro di osservazione e ripetizione. La vedevo camminare nel mio appartamento, lavorare sulla postura, sullo sguardo, sulla voce. Questo le ha permesso di risultare un personaggio forte e in qualche modo indimenticabile.