Diretta a soli 27 anni, A Swedish Love Story è l’opera prima dello svedese Roy Andersson, vincitore del Leone d’oro per Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza. Datato 1970, il film è nel catalogo MUBI per la rassegna “Prima i Primi”. Nonostante un timido esordio, A Swedish Love Story è diventato un cult del cinema svedese e un simbolo generazionale.
A Swedish Love Story: di cosa parla
Pär (Rolf Sohlman) trascorre l’estate con gli amici (tra cui un giovane Björn Andrésen, prima del suo successo nel ruolo di Tadzio in Morte a Venezia), giocando a flipper e guidando il suo motorino per la città di Stoccolma. Suo padre lavora come verniciatore di auto e sua madre è una casalinga. Durante una visita al nonno ricoverato in ospedale nota una sua coetanea, Annika (Ann-Sofie Kylin), di famiglia benestante. Non si parlano, si incrociano soltanto con lo sguardo. Grazie ad alcuni amici riescono a conoscersi e da lì nasce una complicata storia d’amore, tra piccole ribellioni e tenerezza infantile.
Nell’opera di Andersson gli innamorati vengono visti come bambini vittime di genitori incapaci. Annika viene accudita più dalla zia svampita che dai suoi genitori. Suo padre, uomo d’affari, odia il suo lavoro e sfoga la propria frustrazione inveendo contro la moglie. La madre, invece, vittima costante degli abusi del coniuge, soffre di depressione ed è incurante dei figli. Così Annika passa troppo tempo fuori casa, fumando ed uscendo con persone più grandi di lei.
Nonostante il carattere dispersivo, questo debutto ha dato il via ad una carriera cinematografica all’insegna di surrealismo tragicomico e di un forte desiderio di comprendere la vita. L’aggiunta internazionale di Swedish nella traduzione del titolo originale, En kärlekshistoria (“A Love Story”), mette in risalto il suo valore culturale, in quanto manifesto di una Svezia vicina ai cambiamenti sociali degli anni ‘70.
Cosa significa essere adulti?
La mentalità gregaria rappresenta, in maniera sottile, una delle tematiche principali del film ed influisce non solo sulle interazioni fra le due famiglie, ma sulla formazione individuale di Annika e Pär. Quest’ultimo è figlio del machismo del tempo: simula atteggiamenti ed espressioni e cerca di sentirsi forte indossando una giacca di pelle e fumando in sella alla sua moto. In questo racconto di formazione, il nostro protagonista deve diventare e fare l’uomo. Annika, d’altro canto, tenta di emulare nella relazione il ruolo tipico femminile. Più emotiva, ha bisogno di essere protetta e deve seguire determinate regole socio-comportamentali.
Quest’opera non racconta soltanto i primi batticuori, ma li contrappone ad una critica verso l’amore vissuto nell’età adulta. La situazione familiare fredda e abusiva di Annika, unita a quella all’antica e stereotipata di Pär, influenzano la maniera in cui i due giovani vedono se stessi e l’amore. Per Annika, Pär non è solo un fidanzato, ma una figura che le permette di sfuggire momentaneamente alla dura realtà che deve costantemente sopportare a causa del padre. I genitori di Pär sembrano un po’ più tranquilli, ma la maniera tradizionale in cui vivono i loro ruoli familiari definisce come Pär si comporta con Annika e gli amici.
Gli adulti di Andersson sono più immaturi dei ragazzini che fingono di essere già cresciuti. Ciò che distingue questi ultimi è la naturalezza con la quale si esprimono. Di fatto, nel film l’amore viene rappresentato nell’essenzialità dei suoi gesti e nell’intensità delle emozioni che è in grado di scatenare. Si tratta di un sentimento che non potrà mai essere compreso fino in fondo dagli adulti che vivono secondo regole e ruoli da interpretare. A Swedish Love Story vede l’amore per quello che è e si presenta, così facendo, come un punto di vista nuovo e privilegiato dal quale osservare la vita e le società di ieri e di oggi.
Il potere visivo secondo Andersson
Chi conosce bene il mondo cinematografico di Andersson sa per certo quanto venga valorizzato l’immaginario visivo. Secondo il regista i film sono un gioco di immagini, colori e ambientazioni capaci di esprimere sentimenti e messaggi impliciti irraggiungibili per la letteratura e la musica. Egli drammatizza vividamente la storia d’amore dei due giovani attraverso momenti non detti: uno sguardo, un tocco, un sorriso. La bellezza dell’intimità di Annika e Pär dipinge uno stato di grazia miracolosa, la quale si manifesta prima dei compromessi dell’età adulta.
Il regista li osserva, come due creature ancora innocenti, prima che la maturità li conduca alla mediocrità “dei grandi”. E, nel mentre, coglie i gesti furtivi che esprimono l’amore che provano l’uno per l’altra. A Swedish Love Story contrappone quest’ermetica e idilliaca storia d’amore a un mondo di miseria molto adulta, della quale i due giovani sono ancora ignari. Andersson dipinge un’aura d’innocenza che avvolge il loro rapporto, attraverso il suddetto contrasto con il mondo desolato, tragico e ipocrita della crescita. Così facendo, egli porta in scena, in questo esordio, un racconto delicato dei turbamenti amorosi tipici di quell’età, tra insicurezze, dubbi e frustrazioni. È come se venisse fotografata la quotidianità dei due ragazzi in ogni piccola sfumatura. La cinepresa dà forma ad uno stile quasi minimalista, muovendosi in maniera invisibile tra i protagonisti.
Verso il surrealismo tragicomico
Nonostante sia il suo primo lungometraggio, gli episodi di profonda disperazione vengono già conditi dell’umorismo che lo contraddistingue. L’animo tragicomico dell’artista è, di fatto, già sorprendentemente evidente. Tuttavia, in quanto opera prima, la sua immaturità artistica riesce ad esprimere il senso di assurdità della vita soltanto attraverso una trama accessibile. Inoltre, è percettibile l’influenza del neorealismo italiano che da sempre ispira l’universo di Andersson. Anche se, a lungo andare, le sue opere hanno dato forma ad uno stile individuale e ben distinto. Una delle scene finali, dove i personaggi si addentrano nel fitto bosco di campagna, ne è un esempio. Un’ambientazione neorealista quasi paurosa che, però, sfocia successivamente nella satira più totale. Si preannuncia così quel fare surrealista tipico del regista, poiché i personaggi, perduti nella nebbia, sembrano mimare una sorta di grottesca pantomima.
In questo delicato gioco di equilibri, che mostra il naufragio della vita adulta mantenendo completamente intatto l’ottimismo adolescenziale, Andersson si mostra costante nella sua narrazione. Il minimalismo si avvicina ad una zona d’ombra, senza quasi mai raggiungerla, e documenta le vite sprecate, la mediocrità del quotidiano, ma anche la necessità, nonostante tutto, di non crogiolarsi nella disperazione.
A Swedish Love Story, nella sua innocente e tenera delicatezza, non cade mai trappola degli stereotipi. Anche i personaggi più pietosi non vengono descritti come caricature, ma conservano una tragica umanità. Ed è proprio la loro ordinaria drammaticità a renderli quello che sono, mai limitandoli a simboli di assurdità esistenzialista. In questa luce, Annika e Pär, nel loro rapporto, possono sperare di dare un senso alla loro vita.