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Mubi Film

‘The guitar mongoloid’ – Lo straniante esordio di Ruben Östlund

Disponibile su Mubi la prima straniante opera di Ruben Östlund

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The guitar mongoloid è l’opera prima di Ruben Östlund, pluripremiato regista svedese, autore di opere come Forza maggiore, vincitore del premio Un Certain Regard al festival di Cannes del 2014, The square e Triangle of sadness, entrambi vincitori della Palma D’Oro ( rispettivamente nel 2017 e ne 2022).

Il film, uscito nel 2004, è indipendente e a basso budget e mischia la finzione con il documentario. Nonostante gli eventi narrati siano fittizi, gli attori interpretano versioni quasi caricaturali di se stessi.

L’opera ha ricevuto un’accoglienza relativamente positiva, ha infatti vinto il premio FIPRESCI presso la  27ª edizione del Festival cinematografico internazionale di Mosca. Tuttavia, non ha mai ottenuto una particolare notorietà, in particolare al di fuori della Svezia.

The guitar mongoloid è disponibile su Mubi, all’interno della rassegna “Prima i primi“, dedicata alle opere di debutto.

La trama di The guitar mongoloid

The guitar mongoloid presenta una narrazione non lineare, all’interno della quale viene messa in evidenza la pluralità degli eccentrici personaggi che abitano la città di Jöteborg, versione caricaturale di Göteborg.

Il personaggio che viene maggiormente messo in evidenza è Erik, un bambino di 12 anni che passa le sue giornate a suonare la chitarra per strada. Questo vive in maniera completamente isolata dalla società, la sua unica relazione è quello con Ola, giovane adulto che, nonostante la natura del loro legame non sia spiegata, sembra rappresentare, per lui, una figura paterna,

Si contrappongono ai due un gruppo di giovani teppisti, il cui unico impiego è quello di andare sullo skateboard e di distruggere, senza motivo, le biciclette che trovano per strada. Sono inoltre presenti altri personaggi, con un ruolo minore (o presenti solo in una singola scena). Tra questi troviamo una donna di mezza età alla ricerca della sua bicicletta, un gruppo di bambini che giocano ad hockey, tre amici che provano la roulette russa e molti altri, tutti egualmente stranianti e ai limiti della società.

Uno straniante ritratto urbano

The guitar mongoloid presenta uno stile estetico grezzo che ricorda il cinema indipendente degli anni’90 (in particolare quello di Harmony Korine). Le situazioni al limite del surreale e i personaggi decisamente eccentrici, tuttavia, sono osservati da lontano, attraverso una camera fissa che sembra ricercare un punto di vista oggettivo. Il contrasto tra la freddezza dell’osservatore e la stranezza delle situazioni messe in scena genera un’atmosfera paradossale, che rende le situazioni stranianti.

La sensazione di estraneità si sviluppa su due livelli.

In primo luogo abbiamo tutto quello che viene rappresentato nella maggior parte dell’opera: personaggi senza meta, situazioni assurde ed azioni istintive. Ogni cosa è rappresentata alla perfezione dalla banda di teppisti e dalla loro rabbia ingiustificata nei confronti delle biciclette, rabbia che si manifesta con estrema naturalezza e con modi decisamente inusuali. Importante è anche una certa dose di non curanza per le convinzioni, generata, forse, da una genuina incomprensione di esse. Questo elemento è invece riconducibile al personaggio di Erik ed al suo modo di suonare la chitarra, puramente istintivo, a tratti quasi casuale, ma, nella sua spontaneità, decisamente punk.

In secondo luogo abbiamo l’abituale tessuto sociale della città di Jöteborg. Gli abitanti della cittadina, nella loro normalità, diventano privi di un qualsiasi accenno di personalità. Quando sono presenti fanno semplicemente da sfondo alle assurdità dei personaggi centrali e, in alcuni casi, le intralciano o ne diventano vittima. La prevalenza delle azioni inusuali dei protagonisti e il contrasto tra questi e gli altri individui, fa si che i personaggi di sfondo vengano percepiti come estranei, generando anch’essi una sensazione di straniamento. Un esempio, è quello della sequenza iniziale, che parte come un montaggio di spezzoni di programmi televisivi che diventano man mano sempre più distorti, per poi staccare su una lunga inquadratura di Erik che sistema delle parabole su un tetto.

The guitar mongoloid

Un’incomprensibile realtà altra

L’unione delle due realtà rappresentate da The guitar mongoloid genera un senso di dissonanza. Entrambe, infatti, non riescono a comprendere e a comunicare con l’altra. Simbolo di ciò è l’evocativo finale, ma anche la scena in cui Erik cerca di interagire con due ragazze su un autobus. La comunicazione tra le due parti è impossibile, entrambe percepiscono il comportamento dell’altra come fuori luogo.

Ruben Östlund crea quindi due mondi inconciliabili, riuscendo, però, a metterci nei panni di quello apparentemente più strano e paradossale. Il tema dell’ incomprensibilità è messo in scena più volte, le vere motivazioni dei personaggi (se presenti), sono di natura complessa e difficilmente inquadrabile. La stessa natura del rapporto tra Erik e Ola è poco spiegata, ciò che sappiamo è solo che i due condividono parte della loro routine e che il più grande sembra prendersi cura del più piccolo. Quello che rimane sempre evidente è solo la spontaneità e l’ingenuità del loro modo di interagire, caratteristica mai giudicata dall’autore, che si limita ad osservare.

Incomunicabilità ed incomprensione si estendono, concretizzandosi anche nei confronti del valore della vita stessa. È qui che si colloca la straordinaria scena della roulette russa, sicuramente tra le più riuscite dell’opera.

 

The guitar mongoloid e le altre opere di Östlund

The guitar mongoloid è sia portatore di molte delle caratteristiche che contraddistinguono il cinema di Östlund e sia lontano da alcune di esse.

Primo elemento di contatto è lo stile registico. L’opera prima, seppur in modo decisamente più grezzo, porta all’estremo la tendenza dell’autore di utilizzare la camera fissa. Lo scopo rimane, in ogni caso, quello di cercare una certa oggettività che crei distanza tra lo spettatore e i fatti narrati. Il risultato, qui, è un estraniamento dalla realtà messa in scena, mentre, nelle opere successive, in particolare The square, e una riflessione da lontano su elementi che contraddistinguono una realtà vicina allo spettatore.

Tipico del cinema di Ostlund è la ricerca di una crescente sensazione di disagio e “fastidio”. Semplice esempio è la prima parte di Triangle of sadness. Le azioni sono spesso accompagnate o interrotte da elementi di disturbo, i difetti vengono messi in evidenza e le numerose situazioni sgradevoli vengono lasciate scorrere senza filtri davanti agli occhi del pubblico.

The guitar mongoloid mette in scena tutto ciò in maniera più semplice ed esplicita, sicuramente meno efficace ma radicalmente diversa. Gli elementi di disagio e disturbo, infatti, non vanno a completare la scena, ampliandone il senso, ma, al contrario, sono i protagonisti di essa. Il risultato è un mondo estraneo ed incomprensibile.

 

Conclusione

The guitar mongoloid non è sicuramente un’opera perfetta. L’esordio di Ruben Östlund, non è esente da difetti, e sicuramente, non raggiunge gli apici toccati dalle opere più recenti dell’autore. Tuttavia si configura come un’esperimento riuscito, una piccola perla dal linguaggio sperimentale che riesce a mettere in scena un mondo estraneo, riflettendo, contemporaneamente, su quello che ci circonda.

L’opera è sicuramente consigliata a tutti coloro che sono in cerca di una visione fuori da ogni convenzione ed altamente autoriale o a chi, più in generale, vuole scoprire le origini dello stile inconfondibile di Östlund.

 

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The guitar mongoloid

  • Anno: 2004
  • Durata: 89'
  • Nazionalita: Svedese
  • Regia: Ruben Östlund
  • Data di uscita: 01-October-2004