Il documentario Against the tide di Sarvnik Kaur, presentato al Rome International Documentary Festival, si colloca sul versante opposto di Seaspiracy (2016) di Ali Tabrizi. Dove quest’ultimo mostrava ferocemente le conseguenze della pesca intensiva, il primo racconta l’attività della pesca nella sua accezione ancestrale e come questa si leghi alla comunità indiana Koli, custode di un antico modo di pescare che segue i cicli della luna e delle maree.
Il giovane pescatore Rakesh abbraccia in pieno lo spirito della tradizione, mentre il suo amico Ganesh, consapevole dell’impatto dei cambiamenti climatici sull’oceano, è rivolto al futuro, proiettato sulle nuove tecnologie. Tra scene familiari intime e battute di pesca, il documentario è un flusso di immagini significative attraversate dalla luce dell’alba, il momento migliore per prendere il mare.
L’incanto di una tradizione lontana

Against the tide
Un Koli non ha paura dei venti che ululano, delle maree che cambiano
Il pianto di un bambino invade i titoli di testa: è il figlio di pochi mesi del giovane pescatore Rakesh. La madre di famiglia con nenie rituali lo inizia alla comunità Koli. Anche lui è destinato a diventare pescatore. Il film seguirà la sua crescita, fino a vederlo muovere i primi passi sulla barca del padre. La fotografia di Ashok Meena incornicia il corpo di Rakesh sulle rive dell’oceano indiano, mentre si dirige all’alba verso la sua barca come se si apprestasse a uno sbarco lunare, su una distesa acquitrinosa e desertica.
La regia è molto attenta a mostrare le varie fasi di una battuta di pesca, da quando si gettano le reti in mare, alla pulizia del pesce, da parte delle donne, prima di immetterlo nel mercato locale. Molto forte è il ruolo delle donne Koli, timorose di perdere il loro marito o figlio in mare e al tempo stesso caparbie nel compito di portare avanti la comunità.
Lo spettro dell’inquinamento
Già dalle prime scene, tra una pesca e l’altra, emerge la problematica dell’inquinamento dei mari. Come se nulla fosse, Rakesh scosta una busta di plastica dalla cesta del pescato giornaliero. In una particolare sequenza, un movimento di macchina repentino sposta l’attenzione dal concitato agire di un gruppo di pescatori su una barca alle reti che sono state gettate in mare. Qualche pesce si avvicina ma quello che più salta all’occhio è la quantità di plastica radunatasi vicina alla superficie.
Against the Tide: la tradizione controcorrente
Al centro del documentario c’è il confronto tra Rakesh e il suo amico fraterno Gamesh. Entrambi pescatori, ma con due diversei approcci sul futuro di questa attività secolare. Mentre Gamesh ritiene necessario che si debba passare a un’evoluzione tecnologica, Rakesh difende la tradizione a tutela dell’ambiente che con l’avvento di nuove tecniche può subire gravi danni. Le scelte di regia e montaggio evidenziano il loro diverso stile di vita. Mentre Rakesh vive in povertà in una casa di cemento con le lamiere, Gamesh conduce una vita più agiata in un palazzo cittadino. Against the Tide riesce a sensibilizzare su un tema ambientale senza essere retorico. Al didascalismo preferisce il sentimento, come quello racchiuso nelle parole della madre di Rakesh che parla del suo mare poco profondo come di un vecchio amico.