Presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma 2023 nella sezione Freestyle e distribuito nelle sale in 23, 24, 25 ottobre, Jeff Koons – Un Ritratto Privato racconta il grande artista rintracciandone le linee di ispirazione connessa all’interno di un’esistenza lontana dagli stereotipi dell’artista maledetto.
Nella sezione Freestyle della Festa del cinema di Roma 2023 c’è anche Jeff Koons – Un ritratto privato di Pappi Corsicato. Il film è distribuito da Nexo Digital.
Jeff Koons – Un ritratto privato di Pappi Corsicato
Lungi dall’essere un semplice preambolo, la sequenza iniziale di Jeff Koons – Un ritratto privato introduce da subito l’elemento essenziale per capire il personaggio e la sua arte, ovvero la connessione tra le opere di Koons e il contesto famigliare a cui il protagonista si rivolge per ispirare la componente creativa.
Avevo conosciuto Jeff Koons anni fa nel corso di una mostra organizzata a Napoli. Il primo impatto fu quello con una persona molto riservata, quasi fredda, abituata com’è a ragionare in termini concettuali e astratti. Essendo interessato a capire come si arriva a tradurre la vita in arte rivolgo il mio sguardo a vite emblematiche, capaci di essere ispirazione anche per le persone che non hanno a che fare con l’arte. Di Koons ho trovato interessante la connessione tra questa e il contesto famigliare, con l’infanzia a fare da motore per l’ispirazione delle opere. Ricordando che come i grandi artisti anche Koons ha la caratteristica di essere sempre connesso con la propria essenza e con la precisa idea degli obiettivi da raggiungere. Parlo di vite molto focalizzate sul proprio lavoro, di quelle ogni volta disposte a mettersi in gioco.
Penso che come regista sia così anche per te. D’altronde anche i tuoi personaggi danno l’impressione di essere immersi in maniera totalizzante in ciò che fanno e ancora, alla pari di Jeff Koons, anche tu riempi le scene con un’oggettistica che nei colori e nelle stilizzazione ricorda l’arte di Koons.
Sì, assolutamente. Ciò che mi intriga e mi ispira in personaggi come Koons è di riconoscervi un’affinità anche in termini di atteggiamento verso la vita e il lavoro. Parliamo di un’attitudine che può essere declinata anche in altre vite, non per forza solo nel campo creativo e artistico. Come dicevi, anche io sono un po’ così. D’altronde nel ritrarre questi artisti faccio come si fa nei film di finzione: seleziono le peculiarità che a me interessano di più. Non invento nulla perché si tratta di persone reali, ma mi servo della loro vita per costruire un percorso umano esemplare.
Le opere di Jeff Koons come quelle di Pappi Corsicato
Peraltro anche i tuoi lavori, come quelli di Koons, sono caratterizzati da un’idea del mondo scanzonata e variopinta e dall’obiettivo di suscitare nello spettatore una meraviglia derivata dalla trasfigurazione surreale di oggetti tratti dal quotidiano. La visione dell’uovo gigante de i buchi neri è solo uno degli esempi possibili presenti nel tuo cinema.
Nel caso di Jeff Koons e talvolta anche nel mio c’è sempre un atteggiamento adolescenziale, infantile, in cui tutto è visto con la meraviglia tipica dei bambini. I suoi Ballon altro non sono che i giocattoli con cui si divertiva da ragazzino, riproposti in scala gigantesca proprio per corrispondere all’immagine che ne aveva da bambino, quando ogni cosa sembra più grande di quello che è. In lui ritrovo la predisposizione a creare storie capaci di sorprendermi e di farmi divertire in maniera fanciullesca. Lui attinge fondamentalmente dal suo mondo adolescenziale per riproporre quel tipo di meraviglia, quel tipo di stupore che non è dato soltanto dal gesto in sé, ma dalla volontà di ridimensionare la propria esistenza. Quella di Koons è un’invocazione a ritornare un po’ fanciulli per avere un atteggiamento più leggero verso la vita. Lo stupore che c’è nei miei film vuole essere la stessa cosa.
Succede così anche nei tuoi film, nel senso che anche tu metti lo spettatore nella condizione di emozionarsi come gli succedeva quando era bambino. Entrare nei tuoi mondi provoca da subito sbalordimento e meraviglia.
Quando scrivo la storia di un film anche io torno a cose che appartengono al mio passato. È un processo istintivo che fa tornare a galla dettagli del passato che mi sorprendono come lo fanno di solito le epifanie. La mia sorpresa diventa quella dello spettatore. Almeno spero.
Il protagonista
Jeff Koons – Un ritratto privato è costruito tenendo conto di ciò che dice il protagonista a proposito dell’arte, vista come strumento di connessione tra le persone e in particolare tra il passato e il presente della sua famiglia. Da qui il fatto di mostrarlo per lo più in relazione a un gruppo di persone, intercalando le immagini del presente con i filmini super8 che lo mostrano ancora bambino. La prima sequenza è esplicativa di come hai costruito il film.
Effettivamente sì. Ambientarla nella casa dei nonni mi serviva a mettere in campo la memoria da cui Koons attinge per creare le opere. Il parallelismo tra le due versioni di Koons, con l’immagine di oggi, collegata a quella di lui bambino, mi serviva per dire di come le sue opere non siano altro che la riproposizione di esperienze vissute nei primi anni di vita, viste però dagli occhi di un adulto: dunque sì, la prima sequenza è il riassunto di quello che ho cercato di fare e cioè di entrare nel privato di questa persona per conoscerla meglio. Non mi interessava realizzare un documentario didascalico, perché quelli già esistono. Da parte sua c’è stata massima generosità perché mi ha permesso di entrare nella sua vita nonostante la diffidenza verso il mondo esterno che gli aveva provocato la lunga causa con Ilona Staller per l’affidamento del figlio. Mi ha ospitato per molti giorni a casa sua permettendomi di raggiungere gli obiettivi che mi ero posto. Per questo non posso fare altro che ringraziarlo.
Rispetto a Julian Schnabel, protagonista del precedente “ritratto”, Koons appare un personaggio meno eccentrico, a cominciare dall’aspetto esteriore, esente da qualsiasi tipo di stravaganza o tendenza modaiola.
Questo è un aspetto che trovo molto interessante perché va contro l’abitudine di pensare che gli artisti debbano essere per forza. Stravaganti, mentre non è questo a renderli speciali. Julian, per esempio, è un tipo molto estroverso, a partire dal suo abbigliamento. Koons, al contrario, esprime un understatement inversamente proporzionale alla vistosità delle sue opere. Lui si mostra attraverso la straordinarietà del suo lavoro.
Altrettanto controcorrente è la mancanza di quel maledettismo che di solito fa da contraltare al successo artistico. Quella di Koons, infatti, è stata un’esistenza felice fin dagli inizi, con i genitori pronti a incoraggiarlo e a sostenerne il percorso artistico. Da qui l’autostima e la fiducia in sé stesso che lo ha aiutato a emergere dai momenti più difficili della sua carriera.
Sia Julian che Jeff vengono da famiglie che non ne hanno mai ostacolato il percorso. La mancanza di condizionamenti gli ha trasmesso la sicurezza necessaria per risorgere dai propri fallimenti. Peraltro sono ancora sulla breccia e anche questo vuol dire qualcosa in termini di fiducia nel proprio lavoro e in quella capacità di mettersi in discussione che ti fa rimanere sempre giovane e al passo con i tempi. Molti artisti dopo un grande exploit si fermano. Loro sono ancora lì.
Accettazione di sé
Un altro passaggio importante del film riguarda le considerazioni sull’accettazione di sé stessi e della propria natura che Koons fa commentando gli scatti relativi agli amplessi con la ex moglie Ilona Staller. Come artista Koons non si pone limiti per portare avanti le sue idee, anche a costo di rendere pubblico il suo privato.
Quelle foto fecero scandalo. Molti parlarono di pornografia non capendo che mostrare i corpi nudi colti nell’atto amoroso era la quintessenza del discorso sull’accettazione della propria natura rispetto all’intima massima tra due persone. Per far passare il messaggio usa una forma un po’ scandalistica, ma in questo c’è anche il proposito di trasmettere un po’ di leggerezza e un invito a lasciarsi andare e a godersi la vita con la dovuta allegria.
Il suono
Sul piano formale mi ha colpito l’uso del sound design. In una delle prime scene, mentre Koons parla dentro una stanza della fattoria, in sottofondo riusciamo a sentire il cinguettare degli uccelli. La stessa cosa succede nell’inserto in super8, di cui sentiamo il suono della mdp. Ti chiedo se alla pari dell’arte di Koons, questo fosse un modo per connettere il film agli elementi che lo compongono?
Direi che non c’era da parte mia una volontà precisa in questo senso. Prima di conoscerlo non immaginavo che lui avesse questa propensione per il mondo di campagna. Ho pensato fosse più intellettuale, propenso a vivere in città mentre invece passa molto tempo in campagna insieme alla sua famiglia.
La colonna sonora riproduce una dimensione senza tempo che in qualche modo rispecchia il pensiero dell’artista proiettato verso il futuro, ma con un occhio rivolto al passato.
Ho chiesto al musicista di realizzare musiche che avessero arie classiche con una commistione di strumenti molto moderni, perché secondo me lui è un tipo classico, ma con uno sguardo verso il futuro, verso il moderno. Basti pensare ai palloni della serie Equilibrium, sospesi all’interno della teca in una maniera che, anche guardandoli oggi, non smettono di sbalordire, portandoci su una dimensione fantascientifica. Questo nonostante siano stati realizzati trent’anni fa. Oppure alla plastilina gigante, ispirata a quella vista tra le mani del figlio, riprodotta aumentandone le dimensioni. La musica per me doveva racchiudere la poliedricità della sua personalità.
La conclusione di Jee Koons – Un ritratto privato di Pappi Corsicato
La conclusione del film sembra voler chiudere il cerchio con la scena iniziale. Ancora una volta ritroviamo Koons in una location bucolica, ancora una volta lo vediamo in un contesto conviviale, mischiato con le persone venute per vedere un’esposizione delle sue opere. Se la prima approfondiva l’origine dell’ispirazione creativa, l’ultima sequenza rappresenta una sorta di ultima tappa, quella in cui l’idea diventa realtà attraverso la presenza dell’opera d’arte.
Chiudere il film in quel modo mi serviva per ricordare come Koons non smetta neanche un attimo di pensare alla sua arte. Una dimensione che è presente tanto nel suo privato, con le esperienze che prendono forma in termini di idee da realizzare, quanto nel pubblico, in cui l’incontro con gli appassionati rappresenta nel concreto quella connessione tra le persone che modella la sua arte.