In sala, distribuito da Medusa Film, il nuovo film di Neri Parenti Volevo un figlio maschio. Il film, prodotto da IBC Movie e Combo International in associazione con Medusa Film, è una divertente commedia con Enrico Brignano e Giulia Bevilacqua. Del film Volevo un figlio maschio abbiamo parlato con il regista Neri Parenti.
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Volevo un figlio maschio di Neri Parenti: la società di oggi
Rispetto alla tua filmografia Volevo un figlio maschio testimonia un cambio di rotta, frutto del mutamento del nostro tempo. Se i cinepanettoni presentavano una commedia politicamente scorretta, qui la comicità deve tenere conto dei reprimenda in vigore. Parole e immagini sembrano meno libere proprio per rispettare i nuovi canoni di comunicazione.
Sì, assolutamente, i canoni oramai sono questi. Ho nostalgia dei vecchi sapendo che dei 54 film fatti, tutti, tranne l’ultimo, non avrei potuto farli oggi perché, come dicevi tu, erano innanzitutto politicamente scorretti. I cinepanettoni, ma soprattutto Fantozzi oggi sarebbe inconcepibile da raccontare. La moglie brutta con i capelli color topo, la figlia che sembra una scimmia, la Silvani dall’aspetto inguardabile sono cose che non si possono più dire. Non so se sia meglio o peggio. Il cinema, che frequento da molto tempo, ha avuto tanti padroni. Quando ho cominciato io erano i distributori e i produttori, poi lo sono diventati i distributori, poi gli esercenti e adesso a dettare legge sono le piattaforme. Bisogna adeguarsi al gusto imposto da queste ultime.
Mi colpisce la mancanza di eccesso che nei tuoi film dava luogo a un paesaggio di maschere e di caricature capaci di far emergere in maniera macroscopica il malcostume dei tempi. Adesso invece tutto appare normalizzato e regolato all’interno di un contesto acritico.
Innanzitutto è più difficile fare ridere. I comici politicamente scorretti come Checco Zalone si sono fermati, non fanno film e solo a teatro riescono a dire certe cose, tenendo conto che le direttive di queste piattaforme non corrispondono alla realtà. In un film non puoi dire una mezza parolaccia mentre se vai in un bar per ragazzini ti sembra di essere a suburra. Fuori c’è il caos mentre nel racconto televisivo il quotidiano appare calmo e ordinato. Poi magari sempre nella stessa piattaforma ci sono contraddizioni lampanti perchè cambiando canale ti può capitare di vedere ragazzini bruciati nell’olio bollente senza che nessuno dica niente.
La società di cui parli è sempre più vicina a quella vittoriana dove la perfezione della facciata non appartiene a ciò che succede dietro le quinte.
Sì, è così. Sembra tutto una sorta di Downton Abbey.
Ispirazioni e riflessioni di Neri Parenti da Volevo un figlio maschio
Un modello che nel tuo film prendi in giro nel tormentone della figlia del protagonista che impone al padre una pena pecuniaria ogni volta che dice una parolaccia. D’altronde il film è pieno di queste cose, con Alberto che invita i figli a moderare il linguaggio ed è pronto a stigmatizzare quei genitori che insegnano ai bambini a essere più furbi degli altri. I personaggi di Boldi e De Sica non lo avrebbero mai fatto.
Bisogna fare di necessità virtù, nel senso che se certi film non te li fanno fare devi cercare di cambiare qualcosa per continuare a lavorare. Con la dovuta referenza ti dico che per Volevo un figlio maschio l’ispirazione l’ho avuta un pò da Frank Capra. Nel film c’è qualche cosa de La vita è meravigliosa, e di altro cinema americano degli anni ’40 e ’50. Naturalmente ho calcato la mano sui toni comici, ma quel modello mi è sembrato adatto per coniugare fantasy e comicità. Poi naturalmente devi avere attori capaci di far ridere il pubblico.
In effetti Volevo un figlio maschio, nel proporre una comicità tutta italiana, guarda oltreoceano anche per quanto riguarda certe serie anni ’80 tipo La casa nella prateria, ma anche Otto bastano, quest’ultima presente anche nel concetto di famiglia allargata descritta nella scena finale.
Sì, e anche un po’ a La vita è meravigliosa quando lui torna a casa e pensa di essere morto e invece trova la famiglia ad aspettarlo.
Società e struttura delle commedie
Così facendo però la società italiana di fatto è diventata irrappresentabile.
È finta. Tieni conto che il film è stato scritto un anno e mezzo fa, quindi non contiene spunti derivati dall’attualità. Però poi guarda tutti i discorsi sulla natalità e sullo spot pubblicitario della pesca. Il film vi fa riferimento senza che noi abbiamo fatto nulla per cavalcarne l’onda.
Nelle commedie italiane emerge sempre più il concetto che la felicità sia una cosa impossibile da raggiungere senza un intervento esterno e miracoloso. Per certi versi anche Io Capitano di Matteo Garrone fa la stessa cosa, affidando alla favola e non alle umane possibilità il compito di riuscire a fare l’impresa. Mi chiedevo se si tratta di un espediente narrativo oppure di una visione negativa del mondo?
Penso che il paragone con Garrone sia un po’ ardito perché quello è un film di denuncia sociale mentre, per me, il fantastico è stato un espediente narrativo più che una maniera per dire che le cose succedono solo per miracolo.
Volevo un figlio maschio è costruito su una dialettica di segno opposto. Lo è nella struttura, suddivisa tra la narrazione del femminile prima e del maschile poi. Lo è anche nei singoli fatti in cui, per esempio, la filosofia vegetariana entra in conflitto con la dieta tradizionale a base di carne, e ancora nel modo in cui Alberto tratta i propri figli: ansioso con le femmine e permissivo con i maschi.
Di solito questa è una cosa che ha sempre funzionato e che si può ancora fare. Quello che dici lo abbiamo messo in scena anche nel carattere dei figli, facendo corrispondere alla bambina appiccicosa una controparte maschile violenta e distante. Sono stratagemmi molto usati nella narrazione cinematografica.
In questo senso Volevo un figlio maschio abbraccia in pieno lo spirito del tempo facendo una sintesi tra maschile e femminile che rispetta le parti dopo averne messo in campo pregi e difetti. Voglio dire che in Volevo un figlio maschio la questione di genere è salvaguardata e anche quella correttezza di cui parlavamo.
È stato anche un percorso un po’ obbligato perché a un certo punto ci siamo chiesti che fine avrebbero fatto tutti questi figli. Gioco forza è stato naturale farli ritornare non scontentando nessuno, accompagnando l’unione finale con la canzone di Cat Stevens.
Un sequel?
Senza svelare troppo, il finale lascia intendere la possibilità di un seguito.
Il finale aperto testimonia quanto ci sia piaciuto fare questo film, tant’è che il soggetto per un eventuale seguito lo abbiamo già scritto. Se poi si farà dipenderà dagli esiti degli incassi. Con il caldo di questi giorni non nutro molte speranze. Tieni conto che molto spesso contano solo i risultati della piattaforma e non del botteghino. Mi è capitato di non capacitarmi di come per certi film andati male in sala si facesse un seguito, poi mi hanno spiegato che il successo sulle piattaforme era stato decisivo per metterne in cantiere un altro.
Caratteristiche di Volevo un figlio maschio (e non solo) di Neri Parenti
Caratteristica delle tue commedie è che i protagonisti maschili incarnano vizi, difetti e luoghi comuni del maschio italiano. Qui più di tutti c’è la paura – simile a quella presente nei film di Lando Buzzanca – della sottomissione al gineceo.
Ma, sai, torniamo allo stesso discorso di prima. Sono film che non si fanno più. La commedia comica oramai è scomparsa. A differenza della famiglia di Alberto, nelle altre raccontate dal cinema italiano si litiga molto e i problemi non sono all’acqua di rosa. Guarda gli ultimi due film di Massimiliano Bruno ed Edoardo Leo. La tendenza è di andare più nel sociale invece, come dicevi tu, nei film che facevo io le storie erano uno specchio del tempo presente, tanto è vero che i grandi successi sono venuti nel periodo del berlusconismo, in un momento dove c’erano più persone che stavano bene. C’erano i programmi televisivi pieni di donne con il sedere di fuori, dove l’imperativo era quello di trasmettere un’immagine di benessere. Io penso che a far cambiare le cose abbia contribuito il covid perché improvvisamente la gente si è intristita. L’unica cosa che non mi spiego è quando questi film, oramai vecchi di vent’anni, vanno in televisione continuando a riscuotere grande successo. La gente del mio quartiere mi riconosce, i ragazzini mi fermano per strada, però questi film hanno successo tra una generazione che non va più al cinema. Oggi un ragazzo tra i quindici e i ventidue non lo vedi più entrare in sala mentre in altri tempi era il contrario.
Mi sembra si sia persa una caratteristica che era parte integrante del tuo cinema, ovvero il piacere e il divertimento di ridere di sé stessi per esorcizzare i lati più oscuri della nostra personalità.
Questo c’era soprattutto in Fantozzi. Nei cinepanettoni invece prevaleva il concetto di imitazione, derivato dal fatto che al pubblico sarebbe piaciuto essere al posto dei personaggi che erano tutti ricchi, con belle mogli e belle case. E poi facevano dei viaggi meravigliosi. Lo spettatore pensava a cosa poteva accadere se ci fosse stato lui al posto di Christian De Sica. In più c’era anche un po’ la voglia di scoprire qualcosa che adesso tutti conoscono come capitava quando i nostri andavano in vacanza in India.
Non solo risate
Lo stesso atteggiamento si aveva rispetto alle vicende di Berlusconi che sotto sotto in molti avrebbero voluto imitare avendone la possibilità.
Esatto. D’altronde nessuno diceva di votare Berlusconi poi però lui aveva sempre oltre il cinquanta per cento dei voti; così come nessuno diceva di andare a vedere i miei film anche se poi questi facevano sempre registrare cifre record ai botteghini.
Il cambiamento di clima all’interno dei tuoi film lo dimostra la prima scena, ambientata in camera da letto. Volevo un figlio maschio vi ritorna spesso, ma questa non è più l’alcova, piuttosto una sorta di ventre materno. Il sesso vi è bandito e la moglie di Alberto, Giulia Bevilacqua, è sempre molto vestita.
Sembra un po’ una seduta psicanalitica. Del sesso non si sa nulla tanto che uno si chiede come abbiano fatto a concepirlo un figlio.
I loro sketch in camera da letto mi hanno ricordato quelli di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello.
Però qui c’è un avvenimento forte come la nascita di un figlio, lì invece l’innesco era dato dal farsi un caffè, dalla cameriera che se n’era andata. Insomma da avvenimenti quotidiani.
I doppi sensi
Nel film utilizzi ancora il doppio senso, ma lo fai in maniera molto più edulcorata. Penso alla scena del piercing che nei tuoi film precedenti avrebbe dato vita a reazioni molto più calcate mentre qui tutto si risolve con maggiore raziocinio.
Anche se noi sappiamo di cosa si parla, ovvero alla prima volta della figlia con un altro uomo. E comunque anche lì bisogna stare attenti. Abbiamo evitato che da parte del padre ci fossero reazioni forti. Al massimo si gioca con il nome del presunto amante declinandone il nome con superlativi e diminuitivi: da Robertino a Robertone. Essendoci di mezzo la figlia non potevamo usare un linguaggio più esplicito per mostrare lo sgomento del padre nell’apprenderne seppure erroneamente la notizia.
Una scena che ricorda il tuo cinema precedente è quella ambientata all’auditorio dove Alberto guarda di nascosto la partita ed esulta mentre la figlia esegue Brahms. Mi sembra un frangente molto fantozziano.
Molto. Una volta ci sarebbe stata la corazzata Potemkin. Quel film non era mio ma di Luciano Salce. Lì loro volevano vedere la partita e invece erano costretti dal datore di lavoro ad assistere alla visione del film russo portandosi però dietro radio e televisione per seguire la partita.
La casa è protagonista del film. Non si tratta di un semplice condominio, ma di una villa immersa nel verde, una sorta di casa nella prateria, ovvero un luogo fuori dal tempo e dallo spazio dove tutto può accadere.
Esatto, proprio come la serie americana. Quella è stata anche una scelta di economia narrativa. Se avessimo messo una famiglia di quattro figli in un condominio avremmo aggiunto altri personaggi e il film sarebbe dovuto durare quattro ore. C’era già tanto da raccontare di loro che aggiungere anche il vicino di casa e il portiere sarebbe stato troppo.
I personaggi
Enrico Brignano prende in eredità la maschera sordiana che a suo tempo era stata di Christian De Sica. È così oppure no?
Secondo me è una via di mezzo tra Sordi e Manfredi perché a volte ha questi silenzi, queste controscene mute molto più manfrediane. Secondo me è un bel mix di tutti e due.
Con Alberto ti diverti a metterlo nella condizione di farlo sentire in ogni occasione fuori posto. È da lì che si innescano le situazioni più divertenti.
Beh, questo è un po’ l’abc della comicità, quella di mettere in difficoltà il protagonista. Se gli va tutto bene non si producono le necessarie reazioni comiche. Il personaggio in difficoltà è quello che fa più ridere di tutti.
Hai avuto a che fare con i grandi attori della commedia italiana. Brignano a che posto lo metti e che tipo di interprete è?
Lo metto in una buonissima posizione. È un attore molto bravo e intelligente, capace di percepire se c’è la possibilità di migliorare una scena. Io non sono un regista permaloso per cui accetto volentieri questo tipo di suggerimenti. Lui ha una caratteristica: di solito per i campi e i controcampi si tende a fare prima il protagonista e poi il comprimario. Lui invece vuole si faccia il contrario perché rivedendoli gli può venire in mente qualcosa da aggiungere o cambiare per far venire meglio la scena. Come attore di teatro ha una prontezza che gli permette di improvvisare rimanendo nel giusto. Devo anche dire che pure Giulia Bevilacqua è stata molto brava, soprattutto nel sintonizzarsi sulla comicità di Brignano.
Ne poteva uscire vampirizzata invece non è stato così.
È riuscita a non farsi relegare a un ruolo di servizio.
Il modo di girare
Tu muovi poco la mdp. Lo fai per risparmiare tempo o per essere coerente alla leggerezza del contesto?
Penso che per far ridere sia meglio stare fermi invece che correre o camminare. Nei film oggi c’è un uso smodato della famigerata steady cam. È una cosa che distrae. Peraltro campi, controcampi, carrelli e primi piani richiedono un tempo e un impegno maggiore. E poi è anche un fatto di ambienti perché se stai in una stanza non c’è bisogno di muovere la mdp. Se stai in un parco è un conto altrimenti è inutile. Hitchcock per me era il regista che girava meglio e se ci pensi nei suoi film non c’erano dei grandi movimenti.
Per te è anche funzionale alla semplicità della comunicazione, nel senso che tutto deve restare concentrato sulle battute e sui corpi degli attori, evitando altre distrazioni.
È assolutamente così. Poi lì c’è un altro vantaggio fondamentale per i film comici e cioè che girando così poi puoi intervenire nel montaggio tagliando o accorciando talune scene. Girando inquadrature tradizionali, fatte di totali, campi e controcampi, hai l’occasione di accorciare una scena se questa ti viene troppo lunga oppure se hai bisogno di migliorare un tempo comico.
Nella tua come in altre commedie la fotografia non è mai contrastata. È perché non ci devono essere segreti e tutto deve rimanere bene in vista?
Intanto la fotografia è molto cambiata da quando c’è il digitale. Se devi fare un tipo di fotografia contrastata con il digitale è molto più complicato che con la pellicola. Poi secondo me quando ci sono scene in cui gli attori si parlano devono essere a fuoco tutti e due. Per far sì che sia così devi usare un tipo di diaframma che produce l’effetto di cui mi chiedevi. È la comicità che esige tali espedienti.
Il cinema di Neri Parenti oltre Volevo un figlio maschio
Parliamo del cinema che ti piace.
Sono sempre stato appassionato di film d’avventura. Indiana Jones e All’inseguimento della pietra verde erano un po’ i miei punti di riferimento. Parliamo di un’avventura un po’ scanzonata. Fin da bambino con Il corsaro dell’isola verde ho avuto questa passione che in Italia è un genere impraticabile, sia per i costi, sia perché non ci credi a un attore italiano che fa Indiana Jones. Poi mi piace un po’ di tutto. Se vogliamo trovare una sintesi onnicomprensiva a questo discorso è che mi piacciono i film belli. Questo per me è fondamentale.