Ryusuke Hamaguchi: il regista prima di ‘Drive my car’
Dopo il successo planetario di ‘Drive my car’, Ryusuke Hamaguchi propone alla Mostra del Cinema di Venezia la sua nuova produzione, ‘Evil does not exist'
Ryusuke Hamaguchi rientra dopo il successo indiscusso del – probabilmente ineguagliabile – Drive my car e presenta a Venezia Il male non esiste.
Grave, riflessivo, emotivamente disturbante. Propone relazioni impossibili, mette in discussione anche gli amori più vicini alla perfezione. Non si amareggia di fronte alle risposte scomode, né alle situazioni assurde, anzi le cerca con ossessione perché la sua priorità è indagare l’essere umano.
E per questo, è anche un grande estimatore del sentimento e della relazione. I suoi personaggi sono fascinosi e misteriosi, anche quando si raccontano, e meritano tutta l’empatia dello spettatore.
Eppure, esiste anche un Ryusuke Hamaguchi del prima, prima del successo planetario del suo film Premio Oscar Drive my car.
Un regista giapponese che si è fatto strada con un linguaggio propriamente inserito nella cinematografia asiatica degli ossequiosi silenzi e dei ritmi melliflui. Che ha lavorato con l’attore e per l’attore, sia esso un professionista o meno, creando una sinergia comunicativa unica. Che si è fatto conoscere nei festival e tra i cinefili, prima di diventare un oratore in cima al podio degli Academy Awards.
La carriera filmica, le produzioni che precedono i suoi film acclamati internazionalmente (probabilmente a partire da Happy Hour del 2015), sono parte di un percorso di riconoscimento autoriale: da una parte la voce narrativa e dall’altra il metodo, imprescindibile per l’ottenimento di quel linguaggio e di quei messaggi che attraversano tutti i suoi, diversi quanto incredibilmente omogenei, film.
Ryusuke Hamaguchi, le prime e più importanti produzioni
Sono quattro i lavori principali attraverso i quali Ryusuke Hamaguchi stesso ama raccontare la propria carriera prima del suo film Premio Oscar.
Nel 2008 esordisce con Passion: è il suo lavoro di laurea, in cui ancora cerca il linguaggio con cui poi si distinguerà nei film successivi. Ma questa produzione è fondamentale individuare alcuni degli attori feticcio, che torneranno anche nelle ultime pellicole.
Del 2012 è un lavoro che nasce da una residenza teatrale speciale, Intimacies. Hamaguchi è invitato ad insegnare ad un gruppo di aspiranti attori e rimane con loro tre mesi. In quel periodo si rende conto come l’indagine di un personaggio transiti anche per l’individuo-attore, quanto sia imprescindibile la personalità per quel caratterista che si sta interpetrando. Si spende quindi per esplorare la scelta di questi partecipanti al corso, cercando di capire perché questi siano stati spinti alla carriera attoriale. E così anche l’elemento temporale gli si rivela come una chiave fondamentale nell’approccio registico. Ed è la ragione per cui il film, mantenuto nella sua struttura complessiva, ha una durata di 255 minuti ed entra ed esce dalla scena. È un lavoro in bilico tra fiction e non-fiction, dal momento che addirittura gli attori interpretano personaggi che portano il loro stesso nome.
Fatto tesoro dell’esperienza di Intimacies, Hamaguchi crea in collaborazione con Kô Sakai, la Trilogia di Tohoku: una raccolta di testimonianze dai territori del Giappone orientale colpiti dal terremoto e dallo tsunami del 2011. Il trittico comprende The Sound of Waves, Voices from the Waves e Storytellers, con l’ultima parte pubblicata ben due anni dopo. L’esperienza di questo complesso documentario lo avvicina all’ascolto: scopre come i testimoni coinvolti si trovano a regalare molto di più ai registi che la sola testimonianza dei traumi del terremoto. Le loro storie fluiscono in maniera proporzionale alla disposizione all’ascolto che gli autori dimostrano.
È forte di queste competenze che Ryusuke Hamaguchi arriva a Happy hour: 5 ore di fiction realizzate da attori non professionisti che si immettono nella recitazione con modalità peculiari e conducono lo spettatore in un percorso di immedesimazione e drammatizzazione che è quasi educazione teatrale. Il rispetto dello spazio dedicato a tutti i personaggi è un elemento chiave per Hamaguchi in questo film.
La poetica
Regista responsabile, l’atteggiamento che Ryusuke Hamaguchi mostra verso l’attore rivela quanto siano i moti dell’animo umano ad interessarlo ed accattivarlo. Lascia ai propri collaboratori il tempo di esprimersi, di aprirsi, garantendogli quell’ascolto fondamentale di cui si parlava in precedenza. L’ambiente implacabile del set cinematografico, lo rende pienamente cosciente di quanto, in un certo senso, anche la fortuna sia una parte determinante il successo di un progetto. E il tempo: la relazione che ha con il tempo, non solo il tempo narrativo ma anche il tempo produttivo, è un tutt’uno con la sua dialettica.
If you’re unlucky, it means that the project can be such a difficult process and you can’t pull out everything you want to. The project depends on luck. That means that us filmmakers, we are in a situation where the result is not guaranteed only by our own ability.
L’analisi dell’essenza umana la realizza con una matrioska di tecniche: c’è sempre un film dentro al film nelle sue narrazioni, piani di lettura sovrapposti che si abbracciano come donne destrutturate dei quadri klimtiani. Siano esse scelte registiche (le elissi, gli episodi, lo spettacolo teatrale), siano evoluzioni dei protagonisti (la duplicazione, la simulazione, il ripensamento), Hamaguchi destruttura e moltiplica. Questo rende la visione una indagine profonda che tollera il ripensamento, ammette il sospeso, e racconta del represso. Solo così pare potersi avvicinare a quella essenza tanto bramata, la verità delle relazioni e dei sentimenti.
Non a caso, sono continuamente presenti nei suoi film, i riferimenti soprattutto geografici, alle tragedie. Ovvero quelle occasioni dove la reale natura umana emerge (e su questo Ruben Ostlünd sarebbe d’accordo). Un’intera trilogia siede esattamente nelle zone devastate dal terremoto, ed è lì infatti che comincia anche l’indagine sulla natura di Hamaguchi, che lo porterà dal non-fiction alla fiction di Happy hour con la stessa enorme disposizione all’ascolto.
Quasi facile accostarlo quindi ad Eric Rohmer, il suo mito. Ma non è l’unico regista contemporaneo asiatico che si perde in indagini puntigliose: Hong Sang-soo e Lee Chang-dong sono davvero la sua controparte coreana, tanto quanto Wang Quan’an o Tsai Ming-liang potrebbero essere quella cinese.
Il successo internazionale e le opere più mature
Da ciò la forza di, Asako I & II (2018), la storia di una donna che si confronta con due versioni opposte dell’uomo che ama: così scostante e incapace da sostenere, perché l’amore è unico. E se invece così non fosse, come gestirla… Così si interroga, ma il suo è più un lavoro con l’attore per andare a scoprire dentro di sé le possibilità di una risposta. Altrettanto emotivamente insolente si dimostra Il gioco del destino e della fantasia(2021), Leone d’Argento a Berlino: un film diviso in tre storie brevi, dove il primo capitolo emerge egregiamente e con una classe unica. Tornano gli attori storici dell’universo Hamaguchi, già visti addirittura in Passion, e qui dentro i panni di personaggi conflittuali, contraddetti, torturati da equilibri emotivi insoliti: c’è il triangolo amoroso, c’è la crudele storia di avance, e un amore adolescenziale mai rivelato.
Il film esce lo stesso anno della sua opera omnia e si tuffa a seguire il trionfante anno di premi che Drive my car conquisterà, facendone incetta in tutti i continenti.
È con questa opera, infatti, che Ryusuke Hamaguchi riesce davvero a consolidare la sua dialettica visiva e narrativa. Inoltre, Drive my car mostra un lato di genialità umana nell’avvicinarsi all’universo della comunicazione in modo inusuale, inaspettato: perché agglomera creatività artistiche diverse e le sublima nella settimana arte, e utilizza idiomi differenti pur esprimendosi con la stessa forza.
Ryusuke Hamaguchi ci offre un viaggio intimo, mellifluo, a tratti difficile da sostenere perché spudorato, fuori dalle convenzioni e dagli affanni di un mondo in corsa costante. Ma per questo introspettivo e terapeutico.