Con la sua ultima pellicola, su Netflix a partire dal 15 settembre 2023, Larraín offre una versione comica e grottesca della recente storia del Cile. Insignito del premio per la migliore sceneggiatura all'80esima edizione della mostra d'arte cinematografica di Venezia.
«Perché non riesco a morire?», ripete di continuo il Conte. Dopo Post Mortem (2010), Jackie (2016) e Spencer(2021), Pablo Larraín torna a Venezia con El Conde, una storia soprendente. Si tratta di una commedia nera dalle tinte horror in cui il dittatore Augusto Pinochet è raffigurato nei panni di un vampiro di 250 anni, stanco di vivere poiché impelagato in dinamiche familiari scomode e disonorato per la sua immagine.
Proiettato nel pomeriggio del 31 agosto del 2023 nella bellissima Sala Grande del Lido di Venezia, la pellicola, il cast e il regista sono accolti dalla folla con uno scroscio di applausi. Manca in sala il protagonista, Jaime Vadell nelle vesti di Pinochet. Al suo fianco e nei ruoli principali, Amparo Noguera è Mercedes, Gloria Münchmeyer è Doña Lucía Hiriart e Alfredo Arturo Castro Gómez è Fyodor Krassnoff.
Scritto con Guillermo Calderón, co- sceneggiatore di Neruda, il film è prodotto da Juan de Dios Larraín di Fabula. Distribuito da Netflix, è disponibile su piattaforma a partire dal15 settembre 2023.
El Conde | La trama
Su un luminosissimo sfondo in bianco e nero, il conte si agita scorbutico e svolazzante. Augusto Pinochet, cupa e sanguinaria incarnazione del fascismo, è un vampiro incredibilmente vecchio che ha soltanto voglia di morire. Pertanto, conduce una ferrea astinenza dal sangue per dire addio alla vita eterna. «Preferisco essere ricordato come un omicida e non come un ladro», borbotta al suo fedele domestico Fyodor, nonché vampiro a sua volta.
La dimora in cui vive con la sua famiglia è isolata e fatiscente, le stanze si susseguono austere come la sua malvagità. Moglie e figli fingono di volerlo tenere in vita, ma sono in realtà goffamente interessati soltanto alla sua eredità. L’arrivo di una giovane donna, convocata dai cari del Conte per liberarlo di una papabile presenza demoniaca, scatenerà una serie di eventi atti ad intessere il racconto di ironia caustica e stravaganza.
El Conde | Scacco matto all’immagine di Pinochet
La filmografia di Pablo Larraín parla chiaro. È un regista esperto non solo di biografie o personaggi di spicco, ma anche della cornice storica che ha segnato il loro passaggio nel mondo. La dittatura cilena è per lui un’ossessione. Se con la trilogia composta da Tony Manero, Post Mortem e No – I giorni dell’arcobaleno ha raccontato gli effetti terribili del fascismo, con El Conde guarda dritto in faccia la sua rappresentazione incarnata. E lo fa con una sagacia che colpisce sin da subito lo spettatore, per i guizzi interni alla scrittura, i dialoghi coloriti e gli eccessi visivi che finiscono sotto il cappello dell’horror.
Coraggio e creatività sono elementi di grande pregio insiti nell’idea e della realizzazione di El Conde. Pinochet è morto nel 2006 da uomo libero e nessuno prima d’ora, contrariamente a quanto temuto dal vampiro, si era spinto così lontano con una tale messa in scena. Larraín costruisce una realtà altra, ma ben confacente al nocciolo dei fatti storici: il parallelismo con il vampiro rende bene l’atrocità dei reati commessi da Pinochet e per cui è rimasto impunito.
Il cineasta tira fuori dal cilindro questa immagine “ammuffita” e assai impietosa del leggendario mostro cileno e ci consegna un vecchietto stanco, ingannato dai familiari e orientato a darsi la morte. Ma si tratta di un racconto squisitamente satirico, che tiene fuori dalla scrittura e di conseguenza dalla risposta del pubblico ogni empatia con il protagonista. Un vampiro che non fa paura, un uomo ancora affascinato dalle giovani donne e preoccupato per questioni di assoluta inutilità. Su questi aspetti, l’intreccio narrativo rispecchia il concept iniziale, enfatizzandolo nell’evoluzione temporale della pellicola.
Jaime Vadell si carica sulle spalle questo compito pesante, in una performance credibile soprattutto nelle sue venature comiche.
Una minore carica divulgativa
Il percorso di Larraín nei meandri delle atrocità della dittatura cilena ha avuto fino a questo momento le sembianze di un coltello volto a penetrare nella memoria collettiva per farsi spazio. Con i suoi film precedenti, il regista ha contribuito a tramandare il cinema come forma d’arte di presa sociale. Eppure, con El Conde, non punta a scuotere le menti e a imporsi con la forza di un monito, un ragguaglio autoritario. Il film si dota di un’estetica irresistibile, di una trama di godibile coinvolgimento, ma non attacca lo spettatore per la forza del suo messaggio, seppure è il messaggio che la sorregge.
Inoltre, la voce fuori campo che guida il racconto, a tratti forse “superflua”, trova la sua ragione d’essere nella conclusione del film che coincide anche con il suo massimo rischio. La pellicola si mantiene a galla anche con questo scossone, ma ne risente fortemente. Il pericolo, che sicuramente il regista avrà calcolato, è quello di svuotare la metafora del vampirismo e mettere troppa “carne al fuoco”, lasciando lo spettatore confuso sul piano narrativo, anche se abbagliato da quello visivo.
Appare evidente che Larraín abbia qualcosa da dire, che sappia come farlo e che conservi nel suo fagotto i bagliori della storia del cinema. Attenderemo curiosi i suoi prossimi passi.
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