Connect with us

Interviews

L’idea di un cinema imperfetto a Ultracinema: intervista a Luca Ferri

Dopo la proiezione all’Ultracinema Art Festival, l'autore Luca Ferri racconta il suo cinema tra sperimentazione e imperfezione

Pubblicato

il

Luca Ferri racconta la sua visione di un cinema "ultra", in occasione della prima edizione di Ultracinema Art Festival.

La prima edizione di Ultracinema Art Festival (qui il sito ufficiale), svoltasi dall’11 al 13 dicembre a Ferrara, si è ufficialmente conclusa. L’evento nasce da un’idea del direttore artistico Jonny Costantino, che coinvolge altre realtà bastarde e impure, come la Blow-up Academy. In questo spazio dedicato al cinema sperimentale e alla contaminazione artistica, il pubblico ha potuto scoprire opere che sfidano le convenzioni. Tra queste c’erano i lavori, ovvero i tre corti Ab Ovo, Caro Nonno, Colombi e il film La casa dell’amore, di Luca Ferri, autore che unisce audacia e imperfezione in un cinema fresco, tavolta sfruttando la satira.

Lo abbiamo incontrato per scoprire come concilia la critica con il suo lato più irriverente, per conoscere la sua visione del cinema contemporaneo e raccogliere i suoi consigli per i nuovi cineasti.

L’arte della risata per veicolare una critica

Dopo la proiezione all’Ultracinema Art Festival, l'autore Luca Ferri racconta il suo cinema tra sperimentazione e imperfezione

Luca Ferri a Ultracinema Art Festival. Immagini concesse gentilmente dal festival.

Qual è il modo migliore per far passare una critica attraverso la satira?

C’è uno scrittore austriaco che si chiama Thomas Bernhard e, se non lo conoscete, ve lo consiglio. È una delle persone più feroci e lucide sul nostro tempo, ma lo fa in modo talmente spietato, talmente radicale, che a un certo punto lui stesso dice: “quando voglio ridere leggo uno dei pezzi più disperati che ho scritto e allora li trovo comici.”

Ed è incredibile questa cosa, perché lui parte dalla stima che la comicità non è la buccia di banana su cui uno scivola e picchia la testa. Il comico è veramente nella tragedia. Pensate anche alla condizione umana, alla reiterazione delle cose, allo svegliarsi tutte le mattine. Questo emerge anche in Ab Ovo, quando si dice che la vita è un rituale repellente…

Quindi si fa critica con ferocia, con spietatezza, ma di base, alla fine, la nostra condizione umana è talmente penosa, talmente schifosa, che non si può non provare tenerezza a un certo punto. Jacques Tati, se avete visto i suoi film (se non l’avete fatto, cercate di vederli) è di una lucidità incredibile. C’è un film, Play Time – Tempo di divertimento, che è un film contro la modernità, ma con comunque un non detto. Perché tutto sta nel non detto, alla fine: la ferocia, la critica… Sono evidenti, dette, esplicite. È nel non detto che quella pietà può emergere, in qualche modo.

Le grandi muse ispiratrici di Luca Ferri

Quali sono i tuoi maestri del cinema, della letteratura e in generale delle arti visive?

Il vero maestro di cinema, secondo me, per quella che è la mia esperienza, non è mai nel cinematografo, ma nelle altre arti. E così probabilmente per un architetto non sono gli architetti, per un musicista non sono i musicisti. È come se la materia che tocchi e plasmi tutti i giorni non fosse sufficiente. Per questo mi viene da dire Carlo Scarpa per l’architettura: è il mio maestro di cinema, ed è un architetto. Un altro mio maestro di cinema è Berio, che è un compositore, oppure Luigi Nono. Amo tantissimo anche il teatro di marionette, di pupi: quello è grande cinema. Probabilmente i grandi maestri di cinema sono proprio lì.

Il vero maestro di cinema è tutto ciò che è fuori dal cinema. Il cinema, infatti, rischia di invecchiare se non hai una visione aperta, se non coltivi interessi extra-cinematografici. Non frequento registi: ho amici nel teatro, nella letteratura, nella scrittura. Ho più amici sceneggiatori che registi, perché c’è il rischio, altrimenti, di impoverirsi.

Funziona così anche con la parte algoritmica dei social e con la società della tecnica. Ti arriva sempre chi la pensa come te, chi fa le stesse cose che fai tu. Ma se io e te vediamo le stesse cose e ci nutriamo delle stesse cose, non facciamo uno scatto significativo. Mi arricchisco quando incontro qualcuno che mi aiuta a vedere uno spazio urbano in modo diverso. Per comodità, invece, cerchiamo sempre di circondarci di figure del nostro stesso ambito. Io vivo il cinema quasi per disperazione. Volevo fare l’architetto, il drammaturgo, lo scrittore, il paesaggista, il fotografo. Ho capito che il cinema è un contenitore in cui possono confluire tutte queste cose.

Il suono al centro del cinema

Dopo la proiezione all’Ultracinema Art Festival, l'autore Luca Ferri racconta il suo cinema tra sperimentazione e imperfezione

Luca Ferri a Ultracinema Art Festival. Immagini concesse gentilmente dal festival.

Le voci, i suoni e la musica: come ti approcci al sound design? Che importanza riveste all’interno dei tuoi lavori?

Oggi è stata presentata solo una piccola parte dei miei lavori, ma sono un po’ vecchietto e quindi ho fatto tanti film. Io parto sempre dall’idea che il male assoluto del cinematografo oggi sia la musica usata come stampella narrativa.

È come una situazione di thriller, una situazione di tensione che ha bisogno banalmente di quel tipo di suono. Quando un regista adopera quel cliché, mi sta dicendo che usa un alfabeto limitato. Forse lo è anche lui, ma è soprattutto una grande debolezza della scrittura, perché non hai bisogno di usare la musica come stampella del racconto: sembra quasi che tu non sia capace di raccontare quella situazione senza.

Le immagini, di per sé, non hanno bisogno di musica. La musica è importante nei film, ma perché ti offre un’altra chiave di lettura, ti dà una dimensione diversa. Alla fine ha la stessa dignità delle immagini.

L’importanza dei valori e dell’etica

Parliamo ora di Bianca, la protagonista del tuo film La casa dell’amore, proiettato qui ad Ultracinema. Qual è la lezione più importante che hai imparato da lei?

La lezione di Bianca è tutta fuori dal film. È un film che sembra un documentario, ma in realtà segue un’idea di cinema molto precisa. La lezione arriva dopo il “fattaccio” ed è legata all’integrità che Bianca ha mantenuto. È una persona valoriale, che nonostante tutto quello che ha passato ha mantenuto un’integrità. Oggi c’è bisogno di figure così, integrali, non compromissorie, perché la realtà ti spinge continuamente a mediare.

Faccio un esempio legato a un altro film: abbiamo ottenuto quasi un milione di euro di finanziamento dopo quattordici anni. Ci è sempre stata contestata la mancanza di una motivazione chiara, perché il protagonista è in fuga e noi non vogliamo spiegare il perché. Per noi non è importante cosa abbia fatto, ma seguire un uomo in fuga e vedere cosa succede da lì in poi. È una scelta precisa. Ci hanno chiesto più volte un compromesso, dicendoci che bastava spiegare il motivo per ottenere i soldi, ma abbiamo preferito mantenere la barra dritta.

La coerenza, oggi, è un principio spesso calpestato. Molti accettano compromessi pur di fare un film, convincendosi che non siano così gravi. Su alcune cose può starci, ma sui principi fondanti no. Bianca, secondo me, rappresenta proprio questo tipo di coerenza.

Ultracinema Art Festival: una settima arte che non accetta compromessi

Dopo la proiezione all’Ultracinema Art Festival, l'autore Luca Ferri racconta il suo cinema tra sperimentazione e imperfezione

Luca Ferri e Jonny Costantino a Ultracinema Art Festival. Immagini concesse gentilmente dal festival.

Come ti sei trovato a questa prima edizione di Ultracinema?

È uno spazio privilegiato. Ve lo dico francamente: siete molto fortunati ad essere qui, perché il contesto fuori non è più così. Io ho avuto la fortuna di andare a Locarno tre volte, a Venezia, con film molto difficili. Probabilmente oggi quegli stessi film, rifatti vent’anni dopo, non andrebbero nei festival più importanti del mondo, perché il contesto è cambiato. Quello che stanno portando avanti qui è oggettivamente un unicum. In Italia ci sono pochissime realtà simili. Ce ne sono alcune molto preziose, ma sono sempre meno.

In qualsiasi campo umano c’è ricerca: nella medicina, nei materiali, in tutti gli ambiti. Non capisco perché nel cinema e nelle arti la ricerca debba sempre pagare il prezzo dell’impegno, perché tutto deve essere fruibile, godibile, pop. Ultracinema, invece, è uno spazio fuori da queste logiche. Anche per quello che mi è stato raccontato della Blow-Up Academy, degli autori che fanno vedere, è una fortuna. Essere qui è un premio. Perché fuori, purtroppo, le cose non stanno così.

Ferrara, la città del cinema

Cosa ne pensi di Ferrara come città artistica e nell’ambito cinematografico?

È una città bellissima e, lo ripeto, siete fortunati. Io vivo a Milano, ma sono di Bergamo, e sono cresciuto in un contesto molto simile a Ferrara. Una dimensione più piccola, più umana, con un forte senso della bellezza. Ferrara è una città storicamente importante, anche per il cinema, e questa è una grande fortuna.

Quando vivi in una grande città ti rendi conto che la provincia è una risorsa enorme. Le persone più conformi le ho conosciute in città. Se guardiamo alla storia del cinema, i grandi autori sono quasi tutti provinciali: Pasolini, Tretti, Piavoli e potremmo continuare a lungo. Essere provinciali non è una vergogna, dovrebbe essere un vanto. La provincia ti permette di concentrarti di più perché hai meno distrazioni. La genialità nasce spesso dai limiti. Vale per il cinema, per l’architettura, per la musica. Oggi, con gli strumenti che abbiamo, è bello essere provinciali, se hai la testa giusta.

Avere meno stimoli non significa non averne affatto. Significa viverli meglio, prepararsi, approfondire. Invece di consumare tutto in fretta, ti prendi il tempo. E questo, secondo me, non è un problema.

Il futuro di chi stringe i denti e prosegue dritto

Dopo la proiezione all’Ultracinema Art Festival, l'autore Luca Ferri racconta il suo cinema tra sperimentazione e imperfezione

Jonny Costantino, La Papessa e Luca Ferri a Ultracinema Art Festival. Immagini concesse gentilmente dal festival.

Qual è il consiglio che daresti alle nuove generazioni di cineasti?

Parlo personalmente e rispondo francamente. Avete due possibilità: investire tempo ed energie in qualcosa che comporta compromessi, come fanno in tanti, oppure scegliere un’altra strada. La mia paura è che, se fai quella scelta, prima o poi il prezzo arriva. La coscienza ti rimanda indietro ciò che hai fatto.

Io parto dall’idea che non è detto che ci sia ancora domani e questo mi aiuta a considerare ciò che faccio come un testamento, non solo come utilità o posizionamento sociale. È un bivio personale: se scegli la radicalità, devi sapere che c’è tanta infelicità, tutto è contro. Ti passano davanti persone senza merito o talento che vanno avanti per contatti. Radicalità non vuol dire estremismo, ma non tradire se stessi, essere aderenti alla propria essenza. Se sei così, te la fanno pagare, ma il tempo è galantuomo.

Dipende dalla coscienza, è una questione personale. Io faccio anche un altro lavoro perché col cinema non ci vivo. Questo mi permette di dire: se mi chiedi un compromesso, preferisco non fare il film. Luigi Tenco, con La ballata della moda, racconta meglio di me cosa succede a chi pensa di essere più forte delle mode e poi si trova a fare i conti.

 

Un ringraziamento speciale a Daniele Nizzoli, Letizia CeneriniRiccardo FortiEleonora PianaGiorgia FaiettiMiriam Casadio e a tutto il team di Ultrapress, coordinato da Ylenia Politano, di Ultracinema Art Festival.