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Conversation

‘La lunga corsa’ conversazione con Andrea Magnani

La lunga corsa è una fiaba contemporanea che invita a credere nei nostri sogni. Del film abbiamo parlato con il regista Andrea Magnani

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La lunga corsa è una favola contemporanea che ragiona sul concetto di libertà e sull’importanza del libero arbitrio attraverso il racconto di un viaggio eccezionale. Del film abbiamo parlato con il regista Andrea Magnani.

‘Al cinema con Tucker FilmLa lunga corsa è il nuovo film di Andrea Magnani, nelle sale a partire dal 24 agosto

Come Easy – Un viaggio facile facile anche La lunga Corsa racconta un viaggio. In questo caso però si tratta di un on the road al contrario perché la meta di Giacinto corrisponde al punto di partenza.

Sì, quello per un po’ è anche il senso del film. La corsa ha tante valenze, ma se non sai dove indirizzarla c’è il caso che giri a vuoto, il che è come non correre. Questo lo trovavo perfetto come metafora del percorso esistenziale compiuto da Giacinto.

La lunga corsa è un film circolare sia in termini narrativi che di senso. Lo scopriamo nella sequenza della gara di corsa in cui il gesto atletico non rimane fine a se stesso ma diventa il viatico per nuove consapevolezze e nuove scelte di vita.

Sì, quindi personale e anche universale nel senso che tutti prima o poi dovremmo trovare una nostra strada. Soprattutto in un mondo come il nostro che tende a renderci conformi. Non a caso alla base del messaggio del film c’è proprio quello di renderci conto che il bozzo entro cui viviamo è rassicurante, ci fa sentire a casa ma al tempo stesso impedisce ai nostri sogni di realizzarsi. Per non rischiare di perdere la confort zone scegliamo di non fare questo passo. Partiamo come persone libere ma a volte non lo siamo a causa delle nostre chiusure.

Il personaggio di Giacinto

Giacinto ci insegna che la vera libertà è quella che abbiamo nella testa e nel cuore. A differenza degli altri personaggi che credono di essere liberi vivendo fuori dal carcere, è lui ad essere quello più emancipato. Nonostante abbia scelto di vivere all’interno dell’istituto di pena in cui è venuto al mondo.

Mi fa piacere che tu dica questo perché presentando il film ai detenuti del carcere di Reggio Emilia mi hanno detto che le prigioni mentali di cui parli sono le stesse con cui si sono confrontati loro quando sentivano di essere prigionieri delle loro anime. Hanno inteso come te il messaggio del film e cioè che tutti in qualche modo siamo prigionieri di noi stessi.

La sequenza di Giacinto bambino che corre nei corridoi del carcere e passa attraverso le sbarre in cui gli altri non possono passare anticipa un po’ la scena di Jack piangente sulle ginocchia di Giacinto. La finestra attraverso cui ce lo mostri, simile alle inferiate di una prigione, segna ancora una volta la distanza tra la condizione di Giacinto e quella dell’uomo che lo ha cresciuto, anche lui imprigionato dentro una vita che non lo rende felice.

Esatto. Ho inserito sbarre anche dentro la casa della direttrice. Non a caso il padre di lei per evadere dalla sua condizione di invalidità è costretto a salire sul tetto per riuscire a vedere un orizzonte capace di mostrargli qualcosa di più bello.

La prigione

La scena all’interno della prigione è anche la metafora della mancanza di pregiudizi di Giacinto, quelli che poi creano le barriere tra noi e gli altri. Non a caso la corsa del bambino termina all’interno della cella di Rocky che invece di fargli male come tutti credono lo coccola e poi lo lascia andare.

Esatto, il mostro è quello che dipingiamo e non quello che è. Rocky ha ucciso i propri figli quindi sarebbe la persona meno indicata per smentire il cliché e invece la presenza di quel bambino è una salvezza, permettendole, forse, di mondarsi da quella colpa. In generale cerco sempre di sfuggire gli stereotipi. Qui ne avevo una marea. La lunga corsa è ambientato in carcere ma non è un film carcerario in cui per esempio i detenuti sono sempre maschili. Quindi ho tentato di eliminare certi luoghi comuni e di guardare questa realtà più da vicino per farci scoprire che magari i mostri siamo noi. Penso che nella vita non ci siano solo il bianco e il nero ma che tutti abbiamo una marea di sfumature e di colori. Per capire la gente bisogna andargli vicino. Giacinto lo fa e scopre che Rocky è una persona dolce.

Richiami tra i due film di Andrea Magnani

Come in Easy anche qui l’inizio è all’insegna dell’alienazione. Scenografie, messinscena e modalità di ripresa fanno sì che Giacinto sembri uscire non da un carcere ma da una specie di Area 51. Lui è alieno al mondo come alieni sono le persone all’interno dell’istituto detentivo. I colori e gli ambienti interni al carcere, i suoi recessi richiamano anche cinematograficamente il genere in questione.

Sì, con quel grigio scuro così dominante. Con scenografo e costumista, coadiuvati dal direttore della fotografia, Yaroslav Pilunskiy, abbiamo cercato di capire nella palette di colori quale potesse essere il riferimento perfetto per raccontare il dentro e il fuori. Se il mondo esterno per come lo vede un bambino di pochi anni è caratterizzato da colori pastello, il carcere è definito con tonalità scure e monocromatiche che però Giacinto non legge come tali. C’è per esempio il rosso della realtà esterna al carcere che ritorna nel colore delle sbarre.

Del carcere nel mondo esterno ritroviamo anche il blu e il rosso delle chiavi delle diverse celle. Il primo è il colore del pulmino della guarda penitenziaria, il secondo del vestito e della macchina della direttrice del carcere.

Se ci pensi, quando lei esce quella macchina è come se fosse un’estensione dell’istituto.

Il film circolare di Andrea Magnani

La circolarità di senso del tuo film la ritroviamo anche nella diversità che contraddistingue la prima e l’ultima immagine del film. Simili nell’inquadratura e nel contesto, a distinguere le fotografie dei due penitenziari è che mentre il primo è un bunker chiuso alla vista del mondo esterno, il secondo ripristina quelle caratteristiche di normalità architettonica e di apertura visiva che permettono di vederne gli interni; con questo alludendo alla stabilità raggiunta da Giacinto al termine della sua lunga corsa.

Esatto. Il film finisce con il personaggio finalmente davanti a un orizzonte. Come lo affronterà questo fa parte del suo percorso e non del nostro che ci alziamo dalla sedia e lo lasciamo lì. Nelle immagini finali invece ho cercato di ridare dignità a quei luoghi e alle persone che ci vivono, quindi anche agli agenti e agli educatori, attraverso un’istantanea capace di restituirgli autenticità attraverso l’unico punto di vista da cui potevo vederli; che poi è lo stesso di qualunque cittadino. Mi sembrava doveroso far vedere le differenze rispetto alla descrizione favolesca che ne avevo dato nel film. Poi, in verità non avevo fatto caso al fatto che ci si potesse guardare dentro, dunque la tua osservazione è molto calzante.

D’altronde la favola di Giacinto ci insegna a non costruire muri ma ad abbatterli. L’immagine finale con la vista sull’interno del carcere restituisce in pieno lo sguardo del protagonista.

Sì, chiudendo il cerchio con la sequenza del piccolo Giacinto che passa attraverso le sbarre del carcere.

Dicevamo della corrispondenza tra lo sguardo di Giacinto e la naitività del mondo esterno. Così succede anche nelle sequenze che ci mostrano le strade interrotte per lavori in corso e la panoramica sulla città in costruzione, con i cantieri e le gru pronte a restituirci un disagio che Giacinto non sente all’interno del carcere.

Quel mondo interrotto corrisponde alla sua esistenza ancora da costruire. Un po’ c’era anche la voglia di dire che abbiamo ancora tanto da fare per creare un mondo perfetto.

La corsa finale

Tornando alla scena della corsa finale, a un certo punto Giacinto arriva davanti al traguardo e invece di fare quello che tutti vorrebbero, e cioè superarlo e vincere la gara, sceglie un’altra strada, arrivando a trovare le sua verità con un percorso del tutto personale. Un esito che ci invita a credere di più in noi stessi senza farci omologare da modelli di vita precostituiti e impersonali.

Sì, secondo me in ognuno di noi c’è un momento in cui sei chiamato a fare quel tipo di scelta. Ci sono dei passaggi in cui ti domandi se stai conducendo l’esistenza che sognavi o se vivi quella in cui ti hanno spinto gli altri. Nella scena in cui incontra per la seconda volta i poliziotti Giacinto guarda il cartello che mostra un bivio dovuto all’interruzione della strada. Non è stata una scelta casuale ma il modo per ragionare su quei bivi esistenziali che la vita prima o poi ci propone. Lui lì sceglie quello che l’istinto gli ha sempre detto, ovvero di tornare in carcere per preservarsi. Poi in realtà davanti al pupazzo che gli indica di tagliare il traguardo della corsa si fa più domande e io penso che compia la scelta giusta.

Gli interpreti

I tuoi film sono popolati di corpi la cui bellezza è diretta conseguenza della mancata omologazione al modello dominante. Così era quello di Nicola Nocella, così è quello di AdrianoTardiolo, che tu racconti in continuità con quanto visto in Lazzaro Felice.

Guardando Lazzaro Felice ho capito che Adriano poteva essere perfetto per questo ruolo. Lui non è un attore professionista e La lunga corsa rappresenta la sua seconda esperienza nel cinema. Di fatto è uno studente di economia che vorrebbe fare anche altro nella vita e perché no, di diventare un professionista della recitazione. All’inizio ho cercato di provinare altri attori della sua età molto talentuosi, ma Adriano aveva nello sguardo una mancata consapevolezza di sé che lo faceva sembrare catapultato da un’altra dimensione.

Come se fosse un alieno.

Esatto. Mi sembrava potesse volare talmente alto e fino a un punto di vista di cui non era consapevole. Un po’ come se fosse spettatore del suo stesso percorso.

Nel tuo film lo sguardo in macchina di Adriano mi ha ricordato Buster Keaton nella meravigliosa e meravigliata espressione che regala a Giacinto.

Sono completamente d’accordo con te. Ricordo il primo provino che gli abbiamo fatto e di come siamo rimasti ammutoliti davanti alla visione del suo sguardo. Gli abbiamo chiesto di dirci qualcosa di sé e lui ci ha risposto come se non fosse lì, con i suoi grandi occhioni rivolti in camera. Non riuscivamo più a dare lo stop per via di questo sguardo disarmante.

Una dedica speciale

La dedica a Libero De Rienzo con cui avevi anche lavorato sul set di Easy ha ancora più valore perché a me sembra che la purezza di Giacinto e il suo essere fuori dal coro ci sia molto della sua personalità.

Prima ancora come persona che come attore è qualcuno che manca. Avrebbe dovuto fare un piccolo ruolo anche qui. Ci eravamo sentiti due settimane prima che ci lasciasse ed era molto contento di poter conoscere l’Ucraina dove abbiamo girato una parte del film. Effettivamente Picchio all’interno della categoria degli attori era un outsider. Faceva sempre quello che non ti aspettavi. Raramente ho visto degli attori che lavoravano come lui al bene del film. In Easy arrivò a tagliarsi delle battute perché a suo dire avrebbero tradito la verità del testo. Io attori così ne ho conosciuti pochi.

Il cinema di Andrea Magnani

Ne La lunga corsa ho trovato molti riferimenti al cinema di Wes Anderson. Da lui parto per chiederti del cinema che preferisci.

Ciò che mi piace è in continua evoluzione. Tra i punti fermi per me che sono riminese c’è Federico Fellini, una guida per il suo surrealismo e la sua poetica come pure per la linearità del racconto e penso soprattutto ai suoi primi lungometraggi. Non dimentico Monicelli e la sua grande Commedia. Con il cinema americano invece ci sono cresciuto ed è quello che mi ha più influenzato. Wes Anderson per questo film è stato una grande fonte di ispirazione: soprattutto per quanto riguarda il concetto di simmetria, quello che pone il protagonista sempre al centro dell’inquadratura per dividere idealmente il mondo in due parti: il giusto e lo sbagliato, il dentro e il fuori.  La ritengo un’idea perfetta per questo tipo di racconto, così come l’uso dei colori. Entrambi sono aspetti che fanno parte del cinema di Anderson.

La lunga corsa di Andrea Magnani Favola surreale sulla libertà

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La lunga corsa di Andrea Magnani

  • Anno: 2023
  • Durata: 88'
  • Distribuzione: Tucker Film
  • Genere: commedia, drammatico
  • Nazionalita: Italia, Ucraina
  • Regia: Andrea Magnani
  • Data di uscita: 24-August-2023