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Figari international short film festival

“Quello che è mio” La recensione del cortometraggio di Gianni Cesaraccio

Un film di denuncia che getta luce sulle tragiche conseguenze che hanno colpito oltre 4000 soldati italiani nell'arco degli ultimi 50 anni, a causa dell'esposizione a materiali tossici presenti negli armamenti militari.

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Quello che è mio” è il nuovo cortometraggio del regista e sceneggiatore di Sassari, Gianni Cesaraccio che abbiamo visionato grazie al Figarti International Short film fest.

Il regista é già noto per le sue opere precedenti, tra cui “Valerio“, che ha vinto il premio Visioni Sarde nel 2020, e “Noi siamo il male“.

CHEMIOTERAPI(N)A

Quello che è mio“, si apre con una scena all’interno di una Panda rossa, un cuore in movimento che palpita, descrivendo allo stesso tempo un momento di fragilità e determinazione dei suoi quattro occupanti, come un pendolo che oscilla tra la malattia e la sete di vita.

All’interno di quelle quattro porte, ci sono oggetti apparentemente opposti che raccontano due dimensioni essenziali del vissuto dei protagonisti, due facce di una stessa medaglia, a testimonianza del loro passato e del loro presente, di ciò che sono stati e di ciò che sono diventati. Pistole, una granata, flebo e respiratore è tutto quello che sono.

CARPE DIEM

In “Quello che è mio“, possiamo tracciare un parallelo con il film “In Time“, di Andrew Niccol.

Nella pellicola sopracitata, tutti cercano di accumulare il tempo come una risorsa preziosa per prolungare la loro vita, mentre i protagonisti di “Quello che è mio“, cercano di rubare ogni attimo di vita rimasto sottraendolo alla malattia, colpo dopo colpo, fino all’ultimo respiro.

Entrambi i contesti mettono in evidenza il concetto di “rubare” il tempo come una sfida contro un destino avverso, sia esso rappresentato da un sistema sociale o da una malattia.

Emblematica la scena di Giuseppe, che punta la sua pistola contro una donna anziana ma senza sparare. Egli vive, in quel momento, una presa di coscienza profonda, capendo che la malattia gli ha già sottratto l’opportunità di invecchiare e di godere degli ultimi anni di vita che una persona sana potrebbe avere.

SULLE STESSE PIETRE

Quello che è mio” ci mostra nella sequenza finale, i quattro rapinatori che si ritrovano senza vie di fuga, intrappolati in una zona di campagna, mentre sono parcheggiati di fronte a un tumulo di pietre che si erge come un altare silenzioso.

Su quelle pietre sono incise simbolicamente, le tracce del loro cammino accidentato e delle loro scelte, rappresentando anche il peso delle loro azioni.

Qualche istante prima della fine, Giuseppe scende dalla macchina e pone una borsa di soldi ben nascosta vicino a quella piramide di pietre, come lascito per sua moglie e sua figlia ancora nel grembo.

Tornato nell’auto, Giuseppe insieme ai suoi compagni, decide di mettere fine alla loro fuga usando una granata. Questo gesto estremo è la loro volontà di andare oltre i limiti imposti dalla malattia, un atto di autodeterminazione, un potente simbolo di liberazione e di sfida all’inevitabile.

In sintesi, “Quello che è mio“, racchiude molteplici significati, tra cui la difesa e la rivendicazione della propria vita, lasciando al centro della storia come fosse un cuore pulsante, l’importanza di ciò che lasciamo di noi al mondo, nonostante le avversità che incontriamo lungo il cammino.

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