Red Africa (2022) di Alexander Markov, in concorso nella competizione internazionale dell’UnArchive Found Footage Fest, riporta fuori dall’oblio materiale filmico prezioso del passato. Per comprendere – più lucidamente – il passato, ma anche per riflettere –meglio – sul presente.
Filmati d’archivio realizzati da operatori russi, tra il 1957 e il 1990, e commissionati dal Partito Comunista russo per mostrare che cosa ha fatto l’URSS nell’Africa da poco decolonizzata dallo schiavismo economico e umano europeo. Ma dietro la forma di professionali reportage, si cela il filmato definibile “Product Placement”, perché sono smaccati lavori di propaganda con cui l’Unione Sovietica ha pubblicizzato i supposti benefici portati nel continente nero.
Ma attenzione! Red Africa non è Africa addio (1966) di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi. Sebbene nel montaggio di Markov ci siano anche scene leggere in cui vediamo i prodotti russi utilizzati dagli africani, Red Africa non cerca il sensazionalismo, ma vuole mostrare il grottesco e il tragico di quel materiale ritrovato.
Il lavoro di Markov è stato molto laborioso. Non ha dovuto soltanto fare un’esatta e sintetica cernita del materiale ritrovato, ma anche ripulire l’audio originale. Tutti i filmati avevano uno speaker che commentava, ma più esattamente decantava l’operazione filantropica sovietica in Africa.
Da colonialismo schiavista a colonialismo socialista
Il 1960 è l’Anno Domino per l’Africa contemporanea, perché ha inizio la decolonizzazione. Diciassette stati ottennero l’indipendenza, per procedere verso un’emancipazione totale. Un passaggio da lungo atteso, proteso verso un futuro migliore, ma che non fu totalmente compiuto.
Pier Paolo Pasolini, inizialmente entusiasta di questo avvio alla libertà dei popoli africani che si sarebbe esteso a tutte le realtà del cosiddetto Terzo Mondo, nel 1962 scrisse Il padre selvaggio. Dapprima sceneggiatura per un film film, e poi rimasto su carta e quindi trasformato in romanzo.
In quel testo, in bilico tra reportage e narrazione, Pasolini già mostrava che quelle speranze sarebbero state effimere, perché il popolo non avrebbe preso totalmente coscienza delle possibilità presentatesi, e sarebbe caduta in una nuova (auto) dittatura.
Il continente nero, prima ancora di essere terra di uomini, è terra di conquista, come si può anche constatare nella cartina geopolitica mostrata in Red Africa. Continente ricco di materie prime, che spinsero i paesi ricchi ad appropriarsene, piantando la loro bandiera nazionalista.
Dominazione europea e sovietica
L’avvio all’indipendenza del 1960 è stato momentaneo, perché da un lato il potere è stato preso da dittature interne, attraverso guerre civili o colpi di stato; dall’altro con un colonialismo più subdolo, fintamente misericordioso.
La politica coloniale gestita dagli stati europei (e dagli Stati Uniti) era di depredazione delle ricchezze e sottomissione violenta. L’insediamento sovietico è stato più scaltro: portare in visione il benessere dell’Occidente (auto, gioielli, stole di pelliccia, macchinari agricoli, ecc.) e in cambio creare una proficua partnership.
Una manovra non dissimile da quanto fece Cristoforo Colombo con gli indigeni: perline colorate in cambio di materie preziose (e schiavi).
E anche l’Università russa dell’amicizia tra i popoli, fondata dall’URSS nel 1960, e rinominata l’anno seguente a Patrice Lumumba (1925-1961), dietro i lodevoli intenti filantropici (dare possibilità di studio ai poveri giovani del Terzo mondo), perpetuava un settaggio nelle menti del popolo.
L’istruzione impartita, sebbene di alto livello, si rifaceva alle dottrine comuniste leniste. Far credere a questi giovani, probabilmente futuri leader dell’Africa, che il socialismo sovietico è l’unica forma giusta e buona.
Però questo do ut des superficiale, come si vede chiaramente in Red Africa, è vantaggioso soltanto per i leader africani, che firmano i trattati, o per meglio dire i contratti. I beni capitalisti portati in mostra saranno utilizzati soltanto da loro, mentre il popolo rimarrà schiavo: dei propri dittatori e della Russia.
E scorgere in Red Africa anche una fugace presenza di Fidel Castro, anche lui firmatario di accordi con l’Unione Sovietica, fa tornare alla mente il documentario El caso Padilla (2022) di Pavel Giroud, anch’esso al Found Footage, vediamo il Lider Maximo godere dei privilegi sovietici.
Caduta dell’Unione Sovietica, ma non caduta del colonialismo
Con la morte di Leonid Brežnev (1906-1982), di cui vediamo i mastodontici funerali a cui partecipano tra gli altri Castro, Arafat e Wojciech Jaruzelski, l’impero dell’Unione Sovietica comincia sgretolarsi.
Il periodo di Michail Gorbačëv (1931-2022), simbolo – non totalmente apprezzato – del rinnovamento sovietico (Perestrojka e Glasnost), termina rapidamente, e si fanno avanti i nazionalismi dei singoli stati che fino a quel momento hanno composto e sorretto la grande Russia.
Un’indipendenza similare a quella degli stati africani, che stanchi del giogo dittatoriale centrale (Mosca), chiedevano a gran voce la loro indipendenza, che sarà avviata nel 1991. Anche in quel caso, un’emancipazione effimera, perché ogni stato avrà poi una propria dittatura. E il legame (economico-sociale) con la Russia è ancora ambiguo.
Il continente africano continua con i suoi problemi, economici e sociali. Guerre civili, fame, arretratezza culturale, scaturite anche da quegli aiuti pubblicizzati dall’Unione Sovietica. Tra gli scambi commerciali, ci sono state anche le armi, come si vede in Red Africa, che hanno alimentato le guerre civili. Adesso la Cina esporta il suo aiuto al popolo africano. Stessa mano tesa di quella dei colonialisti prima, e dei sovietici poi.