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Conversation

‘Pacifiction’ conversazione con Albert Serra

In 'Pacifiction' Albert Serra racconta la paranoia di un mondo che ricorda quelli immaginati nei romanzi di William Burroughs

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albert serra

Dal concorso dell’ultima edizione del Festival di Cannes arriva in sala Pacifiction, il nuovo film di Albert Serra, presentato in anteprima nell’ambito della 13ª edizione del Festival Rendezvous con il nuovo cinema francese. Pacifiction ha ricevuto 7 nomination ai premi César, vincendo il Premio per il migliore attore (Benoît Magimel) e la migliore fotografia (Artur Tort). Del film abbiamo parlato con il suo autore, Albert Serra.

Il film è distribuito in Italia da Movies Inspired.

albert serra

Pacifiction di Albert Serra: l’inizio

Nel piano sequenza iniziale, il rapporto tra il primo piano delle architetture industriali e lo sfondo dominato dalla presenza dell’isola ripropone la dicotomia tra civiltà e stato di natura. 

Sì. In questa prima sequenza ritroviamo un po’ la storia del nostro mondo, il contrasto tra un paradiso molto spinto e la presenza umana che esiste lì ormai da molti anni, ma che solo in questi ultimissimi tempi ha avuto delle conseguenze gravi per la popolazione locale. Ho letto l’autobiografia della moglie di Marlon Brando, Tarita, che essendo polinesiana racconta l’evoluzione di quelle zone a partire dagli anni quaranta. All’epoca non c’era ancora il turismo, non c’erano gli americani che andavano a girare i film, ma soprattutto non si erano verificati questi test nucleari. La natura era ancora vergine, incontaminata, potremmo dire, virginale, fino a quando l’uomo non ha iniziato a distruggerla. Il fatto interessante è che si tratta di una colonia dove le persone si dividono tra chi ha il potere di prendere decisioni e chi le deve subire. È una tensione, presente in tutti i paesi occidentali, frutto di un potere sempre più opaco perché non si capisce bene chi ne è il mandante. Oggi mancano quelle connessioni che esistevano prima: non c’è più la borghesia, non ci sono più i funzionari. La mia impressione è che in futuro il mondo diventerà una grande colonia.

Non è un caso che nella scena successiva alla prima vediamo i nativi seminudi al contrario degli occidentali che invece sono vestiti di tutto punto, con le divise pronte a indicare le rispettive posizioni nella scala sociale. Anche questo rimanda al contrasto tra purezza e corruzioni di cui ci parla la sequenza iniziale. La descrizione di questa comunità periferica ricorda da vicino – con le dovute differenze – la Interzone di William Burroughs. Anche qui abbiamo un mondo dominato dalla paranoia e dalla volontà di controllo in cui si muovono faccendieri, agenti segreti e militari dall’incerta identità sessuale.  

Sì, è vero. Si potrebbe pensare a una certa innocenza degli indigeni però poi c’è un personaggio come Shannah dai comportamenti poco chiari e un po’ ambigui, vestita in modo molto elegante e filo occidentale. Le divise rappresentano il potere di chi vuole imporre la propria autorità. In generale penso che il quadro sia meno schematico e più complesso di come appare. Non credo ci siano delle vittime completamente innocenti, ma piuttosto una commistione in cui troviamo colpevoli un po’ ovunque. Il Paradise Night, ovvero il locale dove passano le serate i protagonisti, è l’esempio di questa mescolanza e di come la paranoia nasce e si propaga tra le persone. Una psicosi non legata solo alla minaccia dei test nucleari ma a cose più banali: come succede a un certo punto del film, con la storia delle prostitute che vanno all’interno del sottomarino, costretto a emergere per farle entrare. Si tratta di un’immagine assurda e in gran parte frutto della fantasia.

Dopodiché io me ne frego del lato sociale della questione. Piuttosto mi sono reso conto di aver fatto un film in parte un po’ grottesco. Una volta ho dichiarato di fare cinema per prendere in giro il mondo e questa immagine mi è rimasta addosso. Il soggetto di Pacifiction è legato al mondo contemporaneo ed è vero che racconta di un luogo in cui tutto è possibile. Per questo nel film faccio un po’ quello che voglio. Ho girato in totale libertà, con tre macchine da presa e senza spiegare niente agli attori.

I richiami di Albert Serra

Il tuo film ricorda Burroughs anche nell’uso di un tono grottesco e surreale.

Sì, di William Burroughs nel film c’è innanzitutto la paranoia. Lui affermava che chi comanda nel mondo sono i militari. Considerava i ministeri dell’economia e della finanza alla mercé degli uomini in divisa, che li usavano a scopi propagandistici. Oggi si pensa che la finanza e il denaro controllino il mondo invece sono proprio i militari a garantire la vittoria del denaro.

Nel pensiero di Burroughs ci deve essere qualcosa di vero a proposito dello stato che impone una sottomissione totale ai suoi cittadini.  Pensiamo alla guerra tra Russia e Ucraina: se non ci fosse il problema del nucleare nessuno se ne occuperebbe. Esistono una marea di conflitti nel mondo, ma la presenza del nucleare complica di molto le cose.

Il montaggio

Al montaggio affidi il compito di confondere punti di vista e linee narrative per mettere in scena il crollo delle certezze dell’uomo di stato interpretato da Benoit Magimel. Il rapporto tra figure e paesaggio contribuisce a raccontare stati d’animo ed esistenze. Così lo è il campo lungo con la macchina che scompare gradualmente dalla nostra vista per essere inghiottita nel paesaggio naturale, metafora del protagonista, fagocitato dai propri fantasmi. 

Per me il montaggio è una forma di scrittura. Le sceneggiature mi servono per trovare i finanziamenti, per fare dei sopralluoghi e individuare le scenografie. Quella di Pacifiction prevedeva settanta scene ma alla fine della lavorazione ne ho girate centosettanta per poi montarne il numero stabilito in partenza. Non è stato un lavoro inutile perché metterle insieme tutte e poi tagliarle in buon numero mi è servito per capire meglio quelle che potevano restare e quelle che invece non funzionavano. C’erano delle scene molto affascinanti che approfondivano la figura del proprietario del bar ma una volta assemblate non funzionavano. D’altronde è difficile decidere a priori le immagini destinate a entrare nel film. Per quanto mi riguarda le scelgo giorno per giorno, secondo la mia intuizione. Lo stesso dicasi per gli attori e per il tipo di scena da girare. Trovo che anche la lavorazione, in particolare l’atto di filmare, siano una piccola forma di scrittura ma quella vera rimane il montaggio. È lì che si scoprono le immagini più intense e affascinanti. Sarebbe impossibile farlo leggendo solo la sceneggiatura.

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Pacifiction

  • Anno: 2023
  • Durata: 163'
  • Distribuzione: Movies Inspired
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Francia, Spagna
  • Regia: Albert Serra