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‘No End’ , una disperata vicenda di libertà

Nell'Iran contemporaneo, dominato dalla vessazione religiosa imposta dal regime degli ayatollah, un uomo rincorre la sua coscienza

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La dettagliata estensione delle emozioni, fin là dove i confini dei sentimenti rivaleggiano con lo sperduto mistero della condizione umana, padroneggia la macchina da presa di Nader Saivar , che con l’amico Jafar Panahi firma anche la sceneggiatura,  rendendo unica l’identità di un dramma dei giorni nostri. La sua pellicola, con grande efficacia di scrittura e di composizione visiva, revisiona il clima oppressivo e intimidatorio di un paese, l’Iran, che, nella deriva autoritaria, trova nel suo popolo il coraggio di non rinunciare alla propria dignità. Prodotto dalla ArtHood Films, No End era in concorso nella sezione Panorama Internazionale del Bif&st 2023.

No End, trama e dintorni

Ayaz è un funzionario comunale che svolge un’esistenza abbastanza abitudinaria soverchiata dalla paura atavica, tragicamente trasmessagli, di non avere più una casa per sé e la sua famiglia. Con la sua sposa vive nell’abitazione del cognato, momentaneamente all’estero e sempre nel mirino dei servizi segreti. È lo spunto per l’idea giusta. Così Ayaz finge di subire una perquisizione in modo da spaventare il cognato e rimandarne il ritorno. Un espediente che gli si ritorce contro quando la notizia giunge realmente ai servizi segreti.

La tensione della macchina da presa

L’abilità in regia di Nader Saivar è tale da rendere i movimenti classici e lineari della macchina da presa un ensemble inarrestabile di tensione montante che, lentamente, s’insinua fino a pervadere l’intera storia. Uno svolgimento che favorisce la chiara emersione dei punti di svolta, imprescindibili autocrati atti a governare l’evoluzione della coscienza del protagonista. In un contesto filmico, molto vicino al piglio del cinema francese classico, la macchina da presa di Saivar incide i silenzi e scolpisce le asperità di un’ambientazione greve e desolata, quasi fosse un’anima da ridestare.

I have to turn my head until my darkness goes

James Joyce, Ulysses

No End

Senza fine è la tragedia di un popolo oppresso, senza fine è l’angoscia di non riuscire a trovare la via giusta per ribellarsi. Senza fine è la paura che si impadronisce dell’uomo, fino a catturarne le viscere e ogni lembo della mente. Senza fine è la disperazione di voler fare e di non potere, senza fine è la dignità dell’esistenza che reclama il suo pegno. La disperazione, subdola e  matrigna compagna della condizione umana, aleggia, presenza oscura e maligna, nella storia diretta da Saivar. Il protagonista la subisce per poi restarne completamente pervaso. Diviene un’anima di conflitto capace di generare riscatto, di adulare il coraggio, di impugnare la paura, di lasciare spazio al giudizio implacabile della coscienza. Devo girare la testa fino a che la mia oscurità se ne va.

 

Vahid Mobasseri

Una parte del merito della riuscita della pellicola diretta da Nader Saivar va attribuito senz’altro al protagonista. La scelta non poteva rivelarsi più felice con Vahid Mobasseri perfetto, sia dal punto di vista della fisicità espressa che nell’interpretazione dei dialoghi. Mobasseri riesce a essere lui stesso sceneggiatura e scenografia tenendo il suo personaggio ben stabile nella realtà della storia, basculando tra il diegetico e l’extra diegetico. Il racconto cinematografico si fa verità e trascende la finzione ostracizzandone l’artificio e conclamandone la consapevolezza. Ogni primo piano di Mobasseri è un pensiero diretto. Senza filtri, angoscia e tensione, sorelle dal legame indissolubile, s’impadroniscono progressivamente della scena come fossero la naturale epidermide del protagonista.

 

 

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  • Anno: 2022
  • Durata: 112 minuti
  • Genere: dramma poliziesco
  • Nazionalita: Germania, Iran, Turchia
  • Regia: Nader Saeivar