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Chili Film

‘CHILI’ e Xavier Dolan. Per un Natale diverso da..

Su CHILI i film del grande autore che esplora la famiglia aniconica, il ruolo materno. Spesso dissacrato. Anche attraverso la scelta impeccabile di musiche eccelse. Classe 1989. Canadese. A soli 16 anni Xavier Dolan ha firmato il suo primo film, 'J’ai tué ma mère', come regista, attore e produttore, sbalordendo il mondo per la forza, l'originalità, l'intensità emotiva del suo racconto. Egli fa delle anime ciò che vuole. Da vedere 'E' solo la fine del mondo' e molto altro...

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'ESoloLaFineDelMondo'

CHILI offre gli imperdibili di Xavier Dolan per un Natale diverso da.

Su CHILI gli imperdibili film, per capire il giovane enfant prodige, Xavier Dolan, e il suo rapporto con la famiglia, la madre e le disfunzioni ingenerate da esse con cui, bene o male, tutti si immedesimano.

“Famiglie! Vi odio! Focolari chiusi; porte serrate; geloso possesso della felicità”.

 Andrè Gide

 

La famiglia in Dolan

In tempi natalizi, di raccolta e incontri / scontri familiari, cosa c’è di più costruttivo e interessante che vedere i film del guru della dissoluzione familiare? Colui che assapora ogni singolo poro putrefatto di un’istituzione (il matrimonio) che, solo per sbaglio, riunisce persone che c’entrano uno con l’altro come i cavoli a merenda, che offrono sensibilità diverse e che, fondamentalmente, non si capiscono, anche se stanno assieme da anni.

Ecco, in ogni suo film, a partire dalle controversie con la madre, Dolan si/ci nutre di queste artistiche incomprensioni. Ed è di scena, a Natale più che mai, la famiglia disfunzionale, con tutti i suoi crismi.

In cosa giace la grandezza di Xavier Dolan?

Sembra conoscere bene Gide, il giovane e sorprendente autore che, attorno al focolare domestico, ha raccolto i suoi fan e l’immedesimazione di molti giovani e generazioni diverse con disagi familiari. Parla a tutti del non dialogo e lo fa innanzitutto nella enorme potenza emotiva, supportato dalla profondità abissale del suo sentire.

Poi quella stessa capacità che egli ha di commuoverti, dopo un secondo riesce a deragliare. Dolan ti riprogramma in un attimo e pilota le emozioni buttandole in risata; attraverso un battuta arguta, una canzone riesumata dalle hits di un tempo o un oggetto assurdo. In sostanza egli riesce a giocare a ping pong (o a padel) col cuore dello spettatore. Ti butta giù, poi ti tira su e fa chiaramente di lui ciò che vuole.

Mommy (2014)

Già in Mommy, (scritto a soli 23 anni), c’era tutta la potenza del legame materno che ha valso al film il premio della critica a Cannes. In un immaginario Canada, dove una nuova legge permette ai genitori di abbandonare alle cure del sistema ospedaliero i figli problematici, Die Despres, un’esuberante vedova, cerca di crescere il figlio Steve, un ragazzino affetto dalla sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Mentre entrambi cercano di sbarcare il lunario vivendo sotto lo stesso tetto, la misteriosa vicina di casa Kyla offre loro il suo aiuto. Man mano che la confortante presenza di Kyla diviene sempre più intensa, emergono domande sulla sua vita passata e sul modo in cui il suo destino può essere collegato a quello di Steve e Die.

'ESoloLaFineDelMondo'

‘E’ solo la fine del mondo’. Imparare ad ascoltare.. SHHHH

In ‘E’ solo la fine del mondo’ (2016) tutto il dolore, il silenzio e il non detto della sensibilità di un artista emergono netti. Dopo dodici anni di assenza, un autore torna nel suo paese natale per annunciare alla famiglia una cosa importante. Ne conseguirà una riunione di famiglia in cui prevalgono il non ascolto, la rabbia repressa, le gelosie e soprattutto l’emergere di sensibilità diverse tra i due fratelli.

Questo sfocia in una forma di amore malsano che si espleta solo attraverso litigi e urla. Emergono e parlano i risentimenti a fronte di incertezze, solitudine, incomprensioni e incomunicabilità. Intervallati da urla, anteposti ai silenzi che si leggono nei bellissimi occhi blu del protagonista, questo film dice tutto senza dire. Come fa il suo eccelso attore. Il problema è che il 90 per cento dell’umanità non riesce a cogliere le sfumature, così come non le colgono i parenti di Luis (Gaspar Ulliel), soffocando sensibilità e la loro espressione.

Le musiche iconiche. Home is not a harbour, home is where it hurts

La colonna sonora poi e la scelta musicale sono sublimi, originali, spiazzanti. Perfetta per aderire, come carta da parati sui muri, con le potenti tematiche espresse dal film. A partire dal pezzo iconico di apertura di Camille : “Home is where it hurts” (La casa non è un porto, la casa è dove fa male), che entra in testa e la colonizza con la voce drammatica e roca della sofisticata cantante francese, oltre a un un ritmo e un testo che, come un monolite, assurge a constatare con toni, ciò che il film verbalizza con immagini.

Il testo

My home has no door, my home has no roof, my home has no windows. It ain’t waterproof. My home has no handles, my home has no keys. If you’re here to rob me, There’s nothing to steal (A la maison, dans ma maison, c’est là que j’ai peur). Home is not a harbour. Home, home, home Is where it hurts. My home has no heart, my home has no veins. If you try to break in, It bleeds with no stains. My brain has no corridors. My walls have no skin. You can lose your life here ‘Cause there’s no one in. (A la maison, dans ma maison, c’est là que j’ai peur)
La mia casa non ha porte, non ha un tetto, non ha finestre. Non è resistente all’acqua. Non ha maniglie, non ha chiavi. Se sei qui per derubarmi, non c’è niente da rubare. (Nella casa, nella mia casa, è la che ho paura.) La casa non è un porto. La casa è dove fa male. La mia casa non ha cuore, non ha vene. Se cerchi di entrare, sanguina senza macchie. Il mio cervello non ha corridoi. Le mie pareti non hanno pelle. Puoi perdere qui la tua vita perché non c’è nessuno dentro.

La botta di vita con una Hit

Dragostea din tei, degli O-Zone, è una canzone rumena di molti anni fa che racconta l’innamoramento di Picasso, Il tuo viso e l’amore sotto il tiglio(Chipul tău şi dragostea din tei), abilmente riesumata e collocata in cucina, come momento di aerobica e leggerezza, tra madre e figli, volto a rompere la pesantezza di dialoghi e incomprensioni famigliari.

Une miss s’immisce (Una mancanza interferisce) di Exotica

Nato da una rappresentazione teatrale di Lagarce

Diretto, sceneggiato e montato da Xavier Dolan, È solo la fine del mondo riadatta una rappresentazione teatrale di Jean-Luc Lagarce per raccontare la storia di Louis. Autore, dopo 12 anni di assenza, torna al villaggio natale per annunciare alla sua famiglia una notizia fondamentale. Rimproveri e rancori si susseguono nel corso di un pomeriggio, in cui lotte e faide tra i familiari si snodano attraverso diatribe alimentate dalla solitudine e dal dubbio.

Con la direzione della fotografia di André Turpin, le scenografie di Colombe Raby e le musiche di Gabriel Yared, È solo la fine del mondo viene così presentato dal regista in occasione della partecipazione del film in concorso al Festival di Cannes 2016.

E solo la fine del mondo

La parola a Dolan su la genesi di ‘E’ solo la fine del mondo’

«Poco dopo J’ai tué ma mère ero con Anne Dorval, seduto al bancone della sua cucina, dove di solito passiamo tutto il tempo a parlare, riguardare foto o stare in silenzio. Mi raccontò di una pièce straordinaria che aveva avuto la fortuna di interpretare. Mi disse che mai aveva portato in scena un’opera pensata e scritta con un linguaggio di tale particolare intensità. Era convinta che dovevo assolutamente leggere il testo, che aveva conservato nel suo ufficio con tutte le annotazioni di dieci anni prima: note, posizioni di scena e altri dettagli scritti a margine.

A essere onesto, ho provato sentimenti opposti, una sorta di disinteresse e forse avversione per il linguaggio. Guardavo la storia e i personaggi con un certo blocco intellettuale che mi ha impedito di amare la pièce tanto decantata dalla mia amica. Probabilmente ero troppo impaziente di rimettermi a lavorare a un nuovo progetto o troppo impegnato con altro per rendermi conto della profondità del testo a una prima lettura. Ho messo il testo da parte e non ne ho mai più parlato con Anne.

La svolta

Dopo Mommy, ben quattro anni dopo la prima lettura, ho ripensato a quel testo con la copertina blu che avevo riposto in biblioteca sul ripiano in alto. All’inizio di quell’estate, l’ho ripreso in mano e riletto o forse letto per davvero per la prima volta. A pagina 6 sapevo già che sarebbe stato il mio prossimo film. Ne ho capito finalmente le parole, le emozioni, i silenzi, le esitazioni, i nervosismi e le imperfezioni dei personaggi. In mia difesa posso dire che quattro anni prima non sono riuscito a capire il lavoro di Jean-Luc Lagarce. Il tempo aiuta a capire le cose. Anne, come sempre o quasi, aveva ragione».

‘E’ solo la fine del mondo’, la locandina

'ESoloLaFineDelMondo'

In Matthias e Maxime (2019): la storia di due amici d’infanzia

Quel ruolo inutile o inesistente di madre, in questo caso persino alcolista, una che crea solo problemi, anziché risolverli esiste, ma è più a latere. Il mai focus del film cioè la famiglia, qui diventano gli amici, veri soccorritori di un’anima, quella di Dolan che è anche attore, che soffre per incasellare e comprendere la propria identità sessuale.

Diretto e sceneggiato da Xavier Dolan, Matthias & Maxime racconta la storia di due amici d’infanzia che, per esigenza di un cortometraggio amatoriale, si baciano. Il gesto, all’apparenza innocuo, scatena in loro dubbi sulle loro preferenze e sulla loro identità sessuale, sconvolgendo l’equilibrio della loro cerchia sociale e, in ultima analisi, delle loro stesse vite. In Matthias & Maxime Dolan riveste anche i panni di Maxime, uno dei due personaggi principali. Matthias ha invece il volto di Gabriel D’Almeida Freidas, giovane attore canadese al suo primo ruolo cinematografico, ma con alle spalle diverse esperienze nel mondo delle serie televisive. Il film è un pò meno intenso degli altri, ama è utile a capire lo sviluppo, le incertezza del crearsi di un’identità, anche sessuale, soprattutto quando è diversa.

Il peso dell’amicizia sulla crescita di un individuo in Matthias & Maxime. Dolan lo racconta così in occasione della partecipazione in concorso al Festival di Cannes 2019

“Trovare il proprio posto nel mondo è qualcosa che, immagino, accada per tutti durante i primi vent’anni d’età. Ho fatto per amore o per rimediare a qualcos’altro delle scelte non spesso giuste. Il successo, come nel mio caso, è stato accompagnato dalla solitudine. Senza che me ne rendessi conto, ho vissuto i miei primi venticinque anni per tre quarti da solo. Negli ultimi anni, però, nel mio cammino ho incrociato alcune persone che sono diventate per me dei fari, dei punti cardine. Le ho lasciate entrare nella mia vita e non le ho più fatte andare via. Posso quindi affermare che negli ultimi tempi ho riscoperto un’umanità che mi ha permesso di essere, prima che regista o sceneggiatore, me stesso. Grazie a loro ho ritrovato l’amore che avevo dato in passato e spesso anche perduto. Credo che in fondo, più che fare film, nella seconda metà della mia ventina ho fatto amicizie. Matthias & Maxime parla di amicizie come le mie che hanno però luogo in un altro mondo e sono al centro di un’altra storia. Parla di giovani di diversa estrazione sociale, di classi diverse, che sono oramai arrivati a una certa età. Di fronte a cambiamenti epocali e grandi domande si chiedono, come ho fatto io, quale sia il loro posto nel mondo”.

Due parole su Xavier Dolan

Nato a Montreal nel 1989, Xavier Dolan è figlio di un’insegnante e di un attore e cantante di origine egiziana (Manuel Tadros). Ha mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo da bambino recitando in diverse pubblicità e prendendo parte a qualche film. Il suo nome è però balzato all’attenzione della critica cinematografica nel 2009 quando, poco meno che ventenne, ha diretto J’ai tué ma mère. L’opera prima è stata selezionata dalla Quinzaine des Réalisateurs.

Da allora, il Festival di Cannes ha quasi sempre ospitato i suoi lavori assegnandogli nel 2014 il Premio della Giuria per Mommy. Ex aequo con Adieu au langageAddio al linguaggio di Godard. Nel 2016 il Grand Prix per È solo la fine del mondoLaurence Anyways, opera terza diretta nel 2012 dopo il buon riscontro di Gli amori immaginari, è stato invece selezionato nella sezione Un certain regard. Con Tom à la ferme nel 2013 è stato selezionato in concorso al Festival di Venezia, dove ha ottenuto il prestigioso premio Fipresci. Matthias & Maxime è il suo ottavo film.

Subito dopo e non contento dirige anche l’elegante videoclip Hello di Adele.

 

La mia vita con John F. Donovan (2018)

La mia vita con John F. Donovan è poi il  suo primo progetto tratto da un libro inglese, in cui approda ad Hollywood. Anche in questa pellicola l’intensità di racconto prevale sul resto che, rispetto agli altri film, delude.

L’emotività, le scelte sessuali, la solitudine di un artista, quella dell’attore Jhon F. Donovan e il bambino con cui egli si apre, ancora una volta, reiterano le tematiche che circolarmente ritornano in tutti i film del giovane regista, ma da punti di vista diversi, stimolando lo spettatore a farsi delle domande importanti.

Rupert Turner (Ben Schnetzer), giovane attore, decide di raccontare la vera storia di John F. Donovan (Kit Harington), star della televisione americana scomparsa dieci anni prima, che in una corrispondenza epistolare gli aveva aperto le porte del cuore, svelando i turbamenti di un segreto celato agli occhi di tutti. Ne ripercorre così la vita e la carriera, dall’ascesa al declino, causato da uno scandalo tutto da dimostrare.

La mia vita con John F. Donovan parla anche di come i bambini si approprino dei codici culturali che vengono loro instillati, non solo nei momenti di disperazione o solitudine, ma anche quando raggiungono un certo grado di maturità psicologica. Verifica la consistenza delle nostre prime fantasie, quelle che a volte sono accolte con disprezzo o minimizzate, se confrontate con la cosiddetta normalità. Esprime la difficoltà di essere se stessi in un mondo di finzione. Parla del disperato desiderio di ciascuno di integrazione. O di come spesso si preferisca piacere agli altri piuttosto che a se stessi, rinunciando alle più profonde convinzioni per bisogno di amore e riconoscenza. Peccato che, nel farlo Dolan si avvalga di quella patina superficialotta e americana che, di solito, il suo cinema rifuggeva.

Si domanda il regista e con lui, tutti noi

La mia vita con John F. Donovan risponde a un solido principio di partenza: sarebbe piaciuto al bambino che ero e che in parte sono ancora?

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  • Distribuzione: CHILI
  • Nazionalita: Canada
  • Regia: Xavier Dolan