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‘Vittorio Gassman 100’, l’attore che non fu mai impallato

Per omaggiare il centenario de "Il mattatore", un approfondimento sulla sua carriera cinematografica e teatrale, dove ha dato corpo a una sterminata galleria di personaggi, molti di essi immortali.

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Vittorio Gassman: Genova 1º settembre 1922 – Roma 29 giugno 2000. Soprannominato “Il mattatore”, dall’omonimo programma Rai del 1959, fu uno dei cinque moschettieri della commedia all’italiana, assieme a: Alberto Sordi (1920-2003), Ugo Tognazzi (1922-1990), Marcello Mastroianni (1924-1996) e Nino Manfredi (1921-2004); ai quali è necessario aggiungere la milady Monica Vitti (1931-2022). Come i suoi illustri colleghi, l’attore ligure fu capace di trasporre al meglio sullo schermo il tipico italiano: spaccone, vigliacco, latin lover, bambinesco, qualunquista, ecc..

Vittorio Gassman, nella sua lunga e prestigiosa carriera, non ha lasciato un segno distintivo solamente al cinema, ma proficuamente anche a teatro, come interprete e regista, e, sebbene soltanto con una manciata di opere, si rivelò altresì un fine scrittore.

A ciò bisogna aggiungere altre due peculiarità: la formidabile memoria (capacità di ricordare un elenco telefonico) e la bravura nel mangiare un creme caramel in un sol boccone. Lo si può vedere ne Il sorpasso (1962) di Dino Risi, oppure nella sua sorniona partecipazione al programma di Rai 3 Perdenti (1997), in cui divora ben due creme caramel, uno di seguito all’altro (con sguardo divertito e sbalordito dei Gloria De Antoni, Oreste De Fornari e Claudio G. Fava).

Leone d’oro alla carriera nel 1996, l’attore morì nel sonno, per un improvviso attacco cardiaco. Sulla sua lapide, molto simile a un libro aperto, oppure alla forma di una carta d’identità cartacea, oltre alla foto e ai dati di nascita e morte, sulla parte destra c’è un epitaffio:

ATTORE

Non fu mai impallato

Una autocelebrazione vanagloriosa, di certo, ma veritiera vista la sua dorata carriera da mattatore scenico, al cinema e al teatro. Fu lo stesso Vittorio Gassman, qualche anno prima, a spiegare il perché ci sarebbe stata questa epigrafe a suggellare la sua figura d’attore:

È un termine tecnico cinematografico: è impallato ciò che si nasconde alla macchina da presa. Io mi sono sempre fatto vedere, mi sono esposto e, a teatro, credo addirittura d’ aver avuto un certo coraggio, che per me, date le premesse, è il massimo

La carriera cinematografica di Vittorio Gassman

Il curriculum cinematografico di Gassman si può dividere nettamente in due periodi. Nella prima parte, iniziata con Incontro con Laura (1945) di Carlo Alberto Felice, l’attore rivestiva ruoli drammatici in storie contemporanee o di costume; nella seconda, avviata casualmente con I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, si trasformò in interprete di personaggi comici e brillanti. Non escludendo, comunque, qualche ruolo drammatico, come ad esempio attesta Profumo di donna (1974) di Dino Risi.

Nel periodo che va dal 1945 al 1957 Vittorio Gassman, aiutato anche da un viso dai tratti da belloccio americano e dalla prestanza atletica (da giovane fu una promessa del basket), interpretò quasi esclusivamente villain, guasconi e avventurieri. Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis e Anna (1951) di Alberto Lattuada, ambedue pellicole di ampissimo successo commerciale e che lanciarono la carriera della maggiorata Silvana Mangano (1930-1989), sono opere che ricalcano i generi americani trasponendoli in un’ambientazione italiana. In queste due pellicole, Gassman ricopriva il ruolo dell’antagonista cattivo.

In questa fase, tutto sommato meno apprezzata rispetto alla seguente, ci fu anche il tentativo, tra il 1953 e il 1956, di lanciare l’attore a livello internazionale, facendo leva sul successo dei due film sopracitati. Pellicole americane sostanzialmente mediocri, in cui l’attore ligure rivestiva sempre il ruolo del bel guascone. Di questa breve stagione da menzionare Mambo (1954) di Robert Rossen, co-prodotto da Ponti-De Laurentiis, che è una variazione, sempre avente protagonista Silvana Mangano, di Riso amaro; oppure Sombrero (1953) di Norman Foster, in cui vestiva i panni e i baffetti di un ardente messicano.

Vittorio Gassman

Come già accennato, la svolta cinematografica avvenne con I soliti ignoti, che fu come un nuovo esordio per Vittorio Gassman. Fortemente voluto da Monicelli, contro il parere dei produttori che non lo consideravano adatto per il ruolo (volto troppo spigoloso, e ormai legato a ruoli drammatici), il regista la spuntò scendendo a un compromesso: mettergli attorno attori comici, e facendo partecipare Totò: infatti sulle locandine il volto e il nome del Principe De Curtis sono messi in primo piano.

Caper movie (o heist movie) italiano per antonomasia, con due seguiti effettivi (Audace colpo dei soliti ignoti di Nanny Loy e I soliti ignoti vent’anni dopo di Amanzio Todini), è stato rifatto svariate volte senza successo, anche a Hollywood (I soliti ignoti Made in Usa di Louis Malle, del 1984). Questi soliti ignoti, come riporta il trafiletto di un giornale alla fine del film, è una banda di scalcinati ladri di cui Giuseppe Baiocchi, detto “Peppe er Pantera” (Gassman) è il capo (casualmente). Un romano smargiasso balbuziente, già pugile fallito, che si crede un fine pianificatore di furti:

Dobbiamo stare all’erta e fare le cose sc… scientifiche

In un certo qual modo questo Peppe è la parodia concentrata di tutti gli affascinanti personaggi interpretati fino a quel momento da Vittorio Gassman. L’attore si cala perfettamente nei panni di un personaggio semplice, di estrazione popolare, ma il lignaggio interpretativo rimane elevato: la rapidità del cambio del dialetto e la mimica espressiva. Un riuscito battesimo da commediante che da quel momento lo rende fondamentale all’evoluzione dei personaggi della commedia all’italiana.

Vittorio Gassman

Nelle nuove vesti di comico, Gassman inanella una serie di azzeccati ruoli brillanti. Sono tre gli autori a cui si lega maggiormente: Dino Risi (1916-2008), Mario Monicelli (1915-2010) ed Ettore Scola (1931-2016); e benché i film non siano sempre di eccezionale levatura, l’attore ha modo di cesellare personaggi sfaccettati, divenuti spesso mitici per gli spettatori.

Con Risi lavorò in ben 16 pellicole. La collaborazione iniziò con la trasposizione cinematografica de Il mattatore (1960), simpatica commedia in cui Gassman ha potuto dar sfogo al suo fregolismo, ben prima de I mostri (1963), sempre diretto da Risi. Tra i film che seguiranno, da menzionare  Il sorpasso (1962), In nome del popolo italiano (1971), Anima persa (1977) e Caro papà (1979) oltre ai già citati I mostri e Profumo di donna. Opere in cui Gassman sfoggia tutti i registri recitativi, dal comico al drammatico, passando per il grottesco. L’ultimo film con  Risi fu Tolgo il disturbo (1990), malinconica storia senile.

Con Mario Monicelli collaborò in otto pellicole. Di queste otto, tre sono capisaldi della commedia italiana: il già citato I soliti ignoti, La grande guerra (1959) e L’armata Brancaleone (1966). Nel primo fece coppia con Alberto Sordi, e il duo, per antagonismo, gareggia in bravura, e da questo film si può notare il differente approccio che i due attori hanno con i personaggi: Sordi si calava nei personaggi istintivamente, facendo trasparire sempre molto di se; Gassman con la tecnica, che gli permetteva di mimetizzarsi (qui deve interpretare un milanese), e quindi dare maggior varietà caratteriali.

La pellicola, in bilico tra commedia e dramma, si aggiudicò, ex aequo, il Leone d’oro con Il generale Della Rovere (1959) di Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. Le due pellicole diedero avvio a una breve rinascita del cinema resistenziale. Il film confermò Gassman abile per i ruoli drammatici, mentre per Sordi fu la pellicola che gli fece siglare il contratto capestro con Dino De Laurentiis: 5 anni; che comunque non gli impedì di interpretare ottimi e validi film, tra cui Una vita difficile (1961), in cui Gassman fece un cameo nel ruolo di se stesso.

L’armata Brancaleone (1966), è una commedia immersa nel Medioevo, in cui gli strambi personaggi parlano una lingua che è un mix di latino maccheronico e dialetto. Brancaleone da Norcia (Gassman), assurto a capo di questa scalcinata combriccola diretta nel sud Italia per acquisire un maniero, è un cavaliere miserabile, a cui nemmeno il cavallo Ronzinante presta ascolto. Una variazione picaresca de I soliti ignoti, con il leitmotiv musicale divenuto un classico, e il cui titolo è entrato nell’uso comune, per descrivere una brigata incapace.

Con questo bislacco personaggio, Vittorio Gassman evidenzia ancor maggiormente il suo istrionismo, unendo la comicità bassa (Brancaleone è un fesso) alla sapienza di una recitazione ricercata, vocalmente ed espressivamente (a volte lambisce la recitazione teatrale). Ultimo film realizzato assieme a Monicelli, fu I picari (1987), tentativo fallimentare di riprendere la comicità di Brancaleone. Nel film i protagonisti sono Enrico Montesano e Giancarlo Giannini, e Gassman ha soltanto un ruolo di comprimario: Marchese Felipe De Aragona.

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Con Ettore Scola fece 9 film. Il loro rapporto era già iniziato ai tempi di Risi, poiché Scola iniziò come sceneggiatore, e tra i tanti script, c’erano appunto Il sorpasso e I mostri. L’esordio registico di Scola avvenne con l’episodico Se permettete parliamo di donne (1964), avente come one man show proprio Gassman, e rifacendosi, nell’umorismo degli sketch, a I mostri.

Sotto la regia di Scola Gassman ha avuto modo di interpretare personaggi ormai maturi, divenuti meditabondi e sentimentalmente fragili. La boria e la prestanza fisica è ormai alle spalle. C’eravamo tanto amati (1974), La terrazza (1980), La famiglia (1987) e La cena (1998), sono quattro film corali con cui il regista ha voluto descrivere, con piglio ironico e amaro, l’Italia. E in questo quartetto di film Gassman, in ruoli borghesi e intellettuali, ha rappresentato la figura di quello dubbioso, insoddisfatto della vita.

Il Gianni Perego di C’eravamo tanto amati, un idealista della resistenza che poi cede – consapevolmente – alle lusinghe della ricchezza, è uno dei personaggi più azzeccati della filmografia di Gassman. Mentre in La cena, ultimo film con Scola e penultimo film dell’attore, è un pungente anziano osservatore della fauna di commensali che popola il ristorante dove suole cenare.

Vittorio Gassman

Di un certo peso anche le sporadiche partecipazioni di Gassman a produzioni straniere dopo il 1960. Particolari quelle in Pelle di sbirro (Sharky’s Machine, 1981) di Burt Reynolds, in La tempesta (Tempest, 1982) di Paul Mazursky e ne Il potere del male (Paradigma, 1985) di Krzysztof Zanussi; di grande riverenza, invece, quella in La vita è un romanzo (La vie est un roman, 1984) di Alain Resnais.

Ben incasellato invece nei due lavori con Robert Altman: nel corale Un matrimonio (A Wedding, 1978), in cui era fiancheggiato da Gigi Proietti (1940-2020), attore poliedrico, artisticamente suo erede; e nel fantascientifico Quintet (1979). La grandezza di Gassman è visibile anche nell’ossequio che gli rende Barry Levinson, che lo scelse per la parte dell’anziano boss King Benny in Sleepers (1996),

Vittorio Gassman

Vittorio Gassman e il teatro

Di ugual livello, se non superiore, il lavoro di Vittorio Gassman nel teatro. Non solo abile interprete, ma anche “spericolato” allestitore di spettacoli che sono entrati nella storia teatrale italiana. Questo caparbio lavoro di attore-regista-autore lo rese molto simile all’autore-regista-attore Edmund Kean (1787-1833), e non a caso Gassman fece un allestimento scenico su di lui.

Gassman studiò all’Accademia nazionale d’arte drammatica, dove conobbe e divenne amico di Adolfo Celi e Luciano Lucignani, ed esordì come attore proprio sulle tavole del palcoscenico. La carriera teatrale ha sempre viaggiato in parallelo con quella del cinematografo, e da un certo punto di vista si potrebbe definire come un modo per ripulirsi dal “vile” sfruttamento in pellicole commerciali.

Nel 1949 Gassman entrò a far parte della rinomata compagnia di Luchino Visconti, dove ebbe modo di partecipare, come protagonista, alle trasposizioni di Un tram che si chiama desiderio (Tenessee Williams), Come vi piace (Luigi Pirandello), Oreste (Vittorio Alfieri) e il Peer Gynt (Henrik Ibsen). Adattamenti molto raffinati e colti, come di consuetudine per Visconti, dove Gassman diede sfoggio della sua capacità attoriale di passare da ruoli drammatici a personaggi grotteschi. Ruoli difficili anche perché a volte erano fisici, come ad esempio il manesco Kowalski.

Ha interpretato anche un Amleto (1954) per la regia di Luigi Squarzina, e nel medesimo anno si cimentò, per la prima volta, con la regia teatrale. Esordì con Kean, tratto da Alessandro Dumas padre e filtrato dalla trasposizione di Jean Cocteau. Con questo allestimento Gassman mostrava già le sue intenzioni di regista, con un approccio sperimentale lontano dai classici teatrali del tempo.

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Fondamentale fu anche l’allestimento dell’Orestea di Eschilo, tradotto per l’occasione da Pier Paolo Pasolini. La messa in scena, curata da Luciano Lucignani, si svolse il 19 maggio del 1960, al Teatro greco di Siracusa, dalle 14:00 fino al tramonto. Spericolata trasposizione (di scrittura, regia e interpretazione), questa Orestea, che fu molto applaudita e incensata da gran parte della critica (mentre molti rimasero indignati poiché non rispettava i canoni classici) è alla base di molte messe in scena teatrali a venire (tra cui quelle di Mario Martone).

La collaborazione tra Gassman e Pasolini sarebbe dovuta proseguire con l’allestimento della commedia latina il Miles Glorius di Plauto, tradotto in romanesco da Pasolini e re-intitolato Il vantone. Il protagonista della vicenda è la figura primitiva di tutti gli spacconi contafrottole delle future commedie italiane, tra cui molte aventi come protagonista proprio Gassman. L’allestimento non si concretizza per questioni non precise, ma la traduzione di Pasolini fu pubblicata in volume.

Però Gassman attinse nuovamente da Pasolini, quando decise di mettere in scena Affabulazione. Questa pièce fa parte di quei sei abbozzi di tragedie che Pasolini scrisse di getto nel 1966, nel periodo di convalescenza dopo l’emorragia da ulcera che lo colpì in primavera. Le altre tragedie abbozzate erano: Orgia, Pilade, Porcile, Calderón, Bestia da stile.

Stando a quanto afferma lo stesso attore, in un’intervista che rilasciò a Paese Sera il 14 gennaio 1986 (“Nascosto nei versi del poeta”), Gassman s’innamorò di Affabulazione mentre era in aereo per andare a New York. Sebbene Gassman avesse rilevato nel testo delle cadute di stile e degli inutili ghirigori espressivi, ne apprezzava l’asperità dei dialoghi, oltre alla scandalosa tematica affrontata: il rapporto edipico tra padre e figlio.

Vittorio Gassman

Affabulazione, che esordì al Teatro tenda di Roma nel novembre del 1977 con grandissimo successo di critica e pubblico (sold out fisso), è probabilmente il capolavoro teatrale di Gassman regista-attore. Nel cast c’era anche Attilio Cucari, che interpretava il doppio ruolo di prete e commissario. Cucari è divenuto cinematograficamente popolare poiché Vittorio Gassman in La raccomandazione, secondo episodio de I mostri (1963), lo raccomandava telefonicamente  a un altro regista teatrale.

Gassman riprese poi il testo di Pasolini, ri-arrangiandolo nuovamente, nel 1986, con una versione ancor più moderna e scarna: meno attori, e la presenza del figlio Alessandro. Ultimo colpo di coda, nella prima metà degli anni Novanta, la messa in scena di Ulisse e la balena bianca (1992), tratto dal suo omonimo testo. In questa ultima fase teatrale, che fu molto più soddisfacente rispetto alle offerte cinematografiche che riceveva, Gassman si cimentò anche con la lettura della poesia, e magistrali sono le sue letture della Divina commedia, da cui attingerà anni dopo Roberto Benigni.

Una capacità di lettura ammaliante e divulgativa, in cui Gassman mostrava definitivamente le sue capacità vocali, di perfetta calibratura di tono e intonazione. Seriose letture che poi lo stesso Gassman, nel programma di Rai 3 Tunnel, auto-parodiava, leggendo bollette o menù come fossero testi sacri.

Vittorio Gassman

Le regie cinematografiche di Vittorio Gassman

Anche Vittorio Gassman non è stato esente dal vezzo – egocentrico – di vestire i panni di regista. Rispetto al collega Alberto Sordi ha diretto molti meno film, e su cinque pellicole, quattro sono co-dirette con altri registi. Opere piene di difetti, che evidenziano anche l’aspetto auto-referenziale dell’attore, ma che si discostano dagli usuali temi e personaggi interpretati dal Gassman attore per altri registi.

Kean – Genio e sregolatezza (1956), fu il tentativo di portare al cinema, con un linguaggio cinematografico, l’eclatante trasposizione teatrale svoltasi un paio di anni prima. La pellicola condensa già in sé quelle qualità e quei difetti del Gassman regista cinematografico, benché sia stata diretta per gran parte da Francesco Rosi (regista ombra), poiché il produttore Franco Cristaldi voleva essere sicuro della riuscita tecnica del film.

L’alibi (1969) è stato co-diretto insieme ad Adolfo Celi e Luciano Lucignani, e si potrebbe definire come un “Un grande freddo” ante-litteram. La vicenda è incentrata su Vittorio, Aldo e Luciano, che interpretano loro stessi, ex allievi dell’Accademia d’arte drammatica che si incontrano nuovamente molti anni dopo.

Un re-incontro amichevole, in cui i tre riesaminano la loro vita (lavorativa e privata), ma che dà sfogo anche a livori, passati e presenti. Tutti e tre hanno avuto carriere ben avviate: Celi è un attore molto famoso in Brasile; Gassman è uno dei massimi divi italiani, e Lucignani è un apprezzato regista teatrale impegnato, ma in loro c’è insoddisfazione. Una pellicola che vorrebbe essere sincera, ma che invece diviene auto-incensante.

Vittorio Gassman

Senza famiglia, nullatenenti cercano affetto (1972) è l’unico lungometraggio diretto dal solo Gassman. Sceneggiata da Age-Scarpelli assieme allo stesso attore, è certamente la sua regia più riuscita, benché non esente da caricamenti recitativi e un ritmo non proprio adeguato. Una commedia grottesca che fa il verso ai romanzi strappalacrime, tipo Cuore di Edmondo De Amicis, il film è anche uno dei pochi, tolta la saga di Fantozzi, in cui Paolo Villaggio ha un bel ruolo: Agostino, un ragazzo ormai cresciuto (nella realtà aveva 41 anni) caparbiamente in cerca della propria famiglia.

Il film è un on the road curioso, in bilico tra il favolistico (come evidenziano i titoli di testa e il trucco di Villaggio) e la cruda realtà italiana: spazzatura, lotte di borgata, menefreghismo. Non è errato vederlo come una variante del coevo In nome del popolo italiano. Nel film, Gassman si ritaglia il ruolo del mago straccione Armando Zavanatti, detto Mister X, che aiuta Agostino.

Di padre in figlio (1982) co-diretto assieme ad Alessandro Gassman, è un film composto in gran parte dai filmini amatoriali che Vittorio Gassman cominciò a realizzare dal 1974 su suo figlio. Una storia che vorrebbe essere una riflessione su due generazioni a confronto, ma che diviene prevalentemente un ritratto amorevolmente paternalistico sul giovane Alessandro. La pellicola fu accolta malissimo.

L’altro enigma (1988), co-diretto con Carlo Tuzii, è la versione cine-televisiva di Affabulazione di Pier Paolo Pasolini. Gassman, per la terza volta, riprese il testo e, basandosi sulla messa in scena del 1986 (con il recupero di un paio d’attori), cercò di dargli una forma visiva e narrativa cinematografica. Nel cast, per dare un richiamo maggiore, ci sono Fanny Ardant e la partecipazione “citazionistica” di Ninetto Davoli.

Tre pellicole fondamentali

La carriera attoriale di Vittorio Gassman è composta di circa 120 film. In ogni pellicola, anche la meno riuscita, è riscontrabile sempre almeno un piccolo guizzo recitativo del nostro. Però, tre pellicole sono la summa recitativa di Gassman. Interpretazioni perfette, senza sbavature, divenute modelli per tutti gli altri attori.

Il sorpasso (1962)

Pietra miliare della commedia all’italiana, Il sorpasso è un eccellente Road Movie ambientato a Ferragosto sulle strade italiane. I due protagonisti, sono due italiani agli antipodi: il giovane e timido studente Roberto Mariani (Jean Louis Trintignant) e il maturo e cialtrone Bruno Cortona (Vittorio Gassman). Sin da subito divenne un cult, tanto che ispirò Dennis Hopper per il suo Easy Rider – Libertà e paura (Easy Rider, 1969).

E a pensare che inizialmente il soggetto, scritto da Rodolfo Sonego, era per Alberto Sordi, e come titolo aveva Il diavolo. Probabilmente sarebbe stato comunque un film interessante, ma con la fisicità e l’intonazione vocale di Gassman il personaggio di Bruno diviene indimenticabile, esempio inappuntabile dell’italiano “vantone”. Loquace e sicuro su tutto ciò che afferma, maschilista e qualunquista, il protagonista forse acquisirà maturità soltanto nel finale.

È tramite Il sorpasso che Gassman si affermò definitivamente come eccellente interprete del tipico italiano smargiasso. Ma al contempo, divenne per lui una “iattura”, poiché i produttori gli offriranno, almeno per un decennio, personaggi caratterialmente simili. Film come Anima nera (1962) di Roberto Rossellini, Il successo (1963) di Mauro Morassi, La congiuntura (1965) di Ettore Scola, Lo scatenato (1967) di Franco Indovina, Il tigre (1967) di Dino Risi, La pecora nera (1968) di Luciano Salce, o Il divorzio (1970) di Mino Guerrini confermano questo sfruttamento.

Vittorio Gassman

I mostri (1963)

Il film è composto da 20 episodi molto brevi, che ironizzano sul boom economico e sociale dell’Italia e il cinismo (mostruosità) degli italiani. Gli episodi divengono una gara di bravura istrionica tra Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, che recitano assieme soltanto in quattro episodi. La pellicola di Risi è fondamentale anche perché, nei suoi intenti comico-descrittivi, è seminale, tanto che Risi cercherà vanamente di ripetere – qualitativamente – i risultati con altre pellicole episodiche a venire; e tutti gli altri film episodici prodotti in Italia, per almeno un ventennio perseguiranno questo gusto grottesco.

Come ne Il sorpasso, anche in questo caso il film inizialmente doveva essere interpretato dal solo Sordi, ma a causa del contratto capestro con De Laurentiis, dovette rinunciarvi. Occasione persa che l’Albertone cercherà di rifare ne Il disco volante (1964) di Tinto Brass, in cui interpreta ben quattro stravaganti personaggi.

Con I mostri Gassman ha la possibilità di poter manifestare, come aveva già mostrato ne Il mattatore, il suo gigionismo. Nel film interpreta anche un ruolo en-travesti, nell’episodio La musa, dissacrante parodia sul premio letterario Strega. In questa folle galleria, resta indimenticabile il protagonista di Che vitaccia!, dove interpreta un baraccato che si lamenta degli stenti della vita, ma che poi va allo stadio, e quasi muore per lo sfegatato urlo al gol della Roma.

Divertente, poiché semi-autobiografico, il già citato episodio de La raccomandazione, e quasi auto-parodici, in riferimento a Bruno Cortona, gli sketch de Il sacrificato e La strada e di tutti. Nel primo è un uomo sposato che scarica la giovane amante, con discorsi ampollosi di marito rinsavito, perché ha già un’altra partner; Il secondo lo vede prima come pedone che inveisce con i maleducati della strada e poi, appena entra nella sua auto, trasformarsi in un pirata della strada.

Assolutamente perfetto, invece, il ventesimo sketch, La nobile arte. Tognazzi e Gassman interpretano due pugili che hanno preso talmente tanti pugni da esser diventati di faccia dei veri mostri, oltre che babbei. Un episodio in cui i due mattatori sono mostri di bravura, che viaggia tra il puro demenziale e il sottotesto drammatico, come evidenzia la scena finale. Diego Abatantuono ritiene, a ragione, che a questo episodio dovrebbero dare annualmente un Oscar.

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Profumo di donna (1974)

Tratto dal romanzo Il buio e il miele (1969) di Giovanni Arpino, il film di Dino Risi poggia completamente sull’interpretazione di Vittorio Gassman, che vinse a Cannes il premio per la miglior interpretazione maschile. Agli Oscar, il film ebbe le nomination: per miglior film e miglior sceneggiatura originale. Scent of a Woman – Profumo di donna (Scent of a Woman, 1993) di Martin Brest e con Al Pacino, è il vituperato remake americano. Pacino vinse – meritatamente – l’Oscar, ricalcando l’interpretazione di Gassman, mentre il film è ritenuto un’emerita americanata.

Il capitano Fausto Consolo è un militare in pensione, rimasto cieco e monco a causa dello scoppio accidentale di una granata. Sebbene leso fisicamente e nell’orgoglio, ha ancora un carattere strafottente, poiché tratta gli altri come se fossero inferiori. Il viaggio che intraprenderà assieme alla giovane recluta Giovanni (Alessandro Momo) fino a Napoli, è un percorso/confronto tra i due non dissimile da quello de Il sorpasso.

Gassman ha riportato con maniacalità tutti i deficit che potrebbe avere un non vedente (in primis la fissità dello sguardo), e vocalmente ha evitato ogni flessione dialettale. Profumo di donna ha l’andamento di una commedia, ma nel finale sterza verso il tono drammatico, e quella strafottenza si trasforma in fragilità. Un cambio che l’attore ha saputo esprimere magistralmente, con l’espressione del viso.

Per Risi, anche questo film divenne, nella sua filmografia, “seminale”, poiché inaugurava la sua fase “autunnale” e letteraria. Nella manciata di pellicole che seguiranno, fino a Fantasma d’amore (1981), il regista ha cercato di ricalcare atmosfere e temi di Profumo di Donna, utilizzando Gassman oppure Tognazzi o Mastroianni.

Con Gassman fece il plumbeo Anima persa (1976), diretto tentativo di bissare Profumo di donna, poiché anch’esso tratto dall’omonimo romanzo di Arpino; e il generazionale Caro papà (1979), in cui Gassman recitava, nella seconda parte del film, la parte di un invalido. Questa interpretazione gli valse il David di Donatello come miglior protagonista

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