Presentato alla Casa del Cinema di Roma lo scorso 11 maggio, il documentario Hotel Sarajevo sarà trasmesso in seconda serata su Rai 1 domenica 29 maggio 2022.
Nato da un’idea di Andrea Di Consoli, il film Hotel Sarajevo è diretto da Barbara Cupisti che lo ha anche scritto insieme a Natascia Palmieri e Diego Zandel. Prodotto da Clipper Media, Luce Cinecittà e Rai Cinema, in Hotel Sarajevo si muovono personaggi reali quasi tutti protagonisti o testimoni diretti dei fatti narrati, tutti legati all’assedio di Sarajevo durato dal 1992 al 1996.
Hotel Sarajevo, i protagonisti della vicenda
Zoran Herceg aveva tredici anni quando con la famiglia lasciò Sarajevo. All’inizio, ai primi lontani spari e colpi di mortaio, i suoi genitori lo tranquillizzavano. Dicevano, come dicevano tutti, che la guerra non sarebbe arrivata in città. E allora lui tornava a giocare alla console. Quando l’artiglieria cominciò a colpire le periferie, tutti si dicevano che in centro città erano al sicuro, che fin lì non sarebbero mai arrivati. Dopo la strage di civili proprio nella strada sotto casa, la famiglia Herceg lascia Sarajevo. Come altre decine di migliaia.
Poi, Zoran è tornato. Oggi è un artista, scrittore e fumettista. A trent’anni da quei giorni ha il compito di creare un romanzo grafico dalla sua esperienza. Lui non vorrebbe farne solo la sua storia. Dice che ogni abitante di Sarajevo è un romanzo in carne ed ossa.
Boba Lizdek ne aveva ventisei di anni all’epoca. Era un’interprete e mediatrice per la stampa, ruolo essenziale e delicato negli scenari bellici. Il suo ritorno allo storico Holiday Inn, oggi. Hotel Holiday, è per lei non solo un viaggio nel tempo ma uno scavo profondo ed emozionale nella sua vita privata. Qui conobbe, infatti, Paul Marchand, reporter francese compagno di una vita, ferito gravemente durante l’assedio e che anni dopo terminerà la sua vita in circostanze drammatiche. Nonostante il dolore, Boba è ancora una donna sveglia e intraprendente. Sta allestendo una mostra sugli Hotel di guerra e vuole cominciare proprio da un tavolino in marmo dell’Holiday Inn. Qui ha a che fare, e in qualche modo vi si rispecchia, con Belmina Bajrović, la giovane attuale direttrice dell’Hotel, personaggio reclutato dalla regista Cupisti in corso d’opera. Belmina non era ancora al mondo all’epoca dell’assedio. Contribuisce però al racconto aggiungendo il punto di vista della generazione post-assedio. Utile per comprendere dinamiche e sviluppi della convivenza civile di un popolo dilaniato da improvvise guerre civili e secessioni, un popolo ancora incredulo di come ciò possa essere accaduto.

Hotel Holiday, in pochi anni tanta storia
L’Hotel Holiday di Sarajevo ha svolto un ruolo da protagonista durante l’assedio. Si trova in Ulica Zmaja od Bosne, il ribattezzato famigerato Viale dei Cecchini, teatro di tragedie personali e collettive, fonte di innumerevoli lutti per la città martoriata. Nel bene e nel male l’Hotel è sempre stato un simbolo per la città da quando è nato. È stato costruito in occasione dei. XIV Giochi Olimpici Invernali del 1984, orgoglio non solo di Sarajevo ma dell’intera Jugoslavia. Durante l’assedio non ha ospitato solo i numerosi giornalisti giunti da ogni parte del mondo per raccontare e spiegare una guerra che ci appariva tanto atroce quanto incomprensibile. Per qualche tempo ci ha vissuto anche l’ex leader e criminale di guerra. Radovan Karadžić, che da lì governava un paese in preda alle fiamme dell’odio etnico su cui egli stesso soffiava.
Barbara Cupisti (qui una nostra intervista sul suo precedente My America) tesse il racconto con delicatezza, alternando le testimonianze dal vivo, con immagini di repertorio che provengono in gran parte da filmati amatoriali degli stessi abitanti di Sarajevo, evitandoci la rievocazione telegiornalistica da un punto di vista estraneo. Con questi filmati amatoriali è come se la tragedia stessa, fatta persona, ci accogliesse in casa e ci sfogliasse davanti agli occhi l’album di famiglia.
«Gli alberi che sopravvivono ai grandi stress, crescono più in fretta, ma l’anno successivo non danno più frutti».
Le parole che aprono e chiudono il documentario Hotel Sarajevo di certo non sono votate all’ottimismo. Fanno il paio col timore che nasce da una riflessione finale contenuta nel film: l’attuale pace di quei popoli sarebbe solo una condizione di stasi della guerra, un mostro non sconfitto ma tenuto ibernato in una capsula chiamata Accordi di Dayton.
