Finch è uno dei pochi uomini sopravvissuti a una catastrofe planetaria. All’epoca era un ingegnere robotico, ma oggi si trova a dover vivere in un bunker insieme al Goodyear e a un piccolo robot. Un mondo tutto suo, che è messo a serio rischio ogni giorno da eventi esterni e dalla sua condizione di salute. Per permettere la sopravvivenza del cane, l’unico essere che conta veramente per lui, cercherà di creare un androide intelligente che sappia accudirlo in sua assenza.
Finch, la recensione
“And them good ol’ boys were drinkin’ whiskey and rye. Singin’, “This’ll be the day that I die.This’ll be the day that I die”. American Pie di Don McLean risuona nelle orecchie di Finch (Tom Hanks), che si presenta come se fosse atterrato su Marte. Sabbia, foschia, colori caldi che ricordano un mondo lontano come quello appena visto in Dune. Quell’immagine è in realtà la Terra. Invecchiata un po’ male, a dire il vero.
Ma la verità è che il Pianeta è diventata un’area irriconoscibile, se non fosse per le sagome dei grattacieli che quantomeno ci indicano la città dove risiede. Finch è in cerca di cibo. Per lui? Beh, se anche ci fosse, ancora meglio. Ma ha un solo obiettivo, ed è Goodyear, un cane spassoso, energico, e, bisogna dirlo, geloso di quel minuscolo robot che risponde agli ordini del padrone. Eppure il tempo è sempre scarso. La pressione atmosferica sempre da monitorare. La presenza o meno di sconosciuti, e il continuo formarsi di eventi avversi non fanno altro che rendere la giornata un vero inferno. Per questo il rifugio da lui creato è l’unico posto dove poter mettere ordine alla sua vita, tra cartoline ricordo e mappe segnate di rosso per capire quale sarà la meta nell’immediato futuro.
Un robot, ma perché?
Ma i pensieri spesso non coincidono. La meta si può cambiare. Il corso della vita invece no. E questo Finch lo sa bene quando decide di costruire un robot che sia in grado (sulla carta) di accudire il suo cane quando sarà il momento. Il film da questo punto in avanti comincia a crescere insieme al giovane Jeff, l’ androide che conosce un’infinità di definizioni ma che deve capire ancora come stare al mondo e imparare dai propri errori. Cosa che non si può risolvere inserendo un manuale in un circuito integrato. Ci sono piccoli passi da affrontare, ma il tempo, anche in questo caso, non lo consente.
Il Pianeta, dalle tinte dorate, come nei classici western, soffre in continuazione, e lo esprime innumerevoli volte costringendo Finch e i suoi compañeros a dover rompere quei rari momenti abitudinari in cui, per un solo momento, si pensa a com’era la vita un attimo fa, quando la gente ti serviva il caffè bollente al tavolo, aspettando di ordinare.
L’umanità a rischio
In tutto questo Finch non risulta originale. Film di fantascienza hanno più volte raccontato questa crisi globale causata dall’uomo tradotta sotto forma di mostri o di entità sovrumane. Ma Miguel Sapochnik sceglie di eliminare tutto ciò che per lui è superfluo. Nessun alieno all’orizzonte. Solo Finch, in balìa dei suoi pensieri e dei rimorsi.
Tom Hanks gioca in casa, avendo già interpretato personaggi in crisi, come in Captain Phillips, Sully o Cast Away. La solitudine attorno a sé ha come unica risorsa l’uomo, con le sue scelte adottate in passato che hanno portato a un caos che sembra non avere alcuna uscita. Ma il legame, alquanto insolito, con Goodyear e Jeff è qualcosa di totalmente irrazionale, uno spirito che riesce persino a entrare negli ingranaggi di questo androide, che non ha più solo nozioni, ma una prospettiva tracciata dalla sua breve esperienza con loro, imparando il valore della solidarietà e del vivere comune.
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