Al Festival il film vinse il premio del pubblico. Scritta e diretta dallo spagnolo Marcel Barrena, prodotta tra Grecia e Spagna, la pellicola è il racconto realistico del fondatore dell’omonima ong che soccorre uomini e donne in mare.
Nelle recensioni cinematografiche, da anni a questa parte, si ripetono strilli del genere: «un film necessario», «un film di cui avevamo bisogno»… È il tipo di commento che quest’opera meriterebbe, ma la retorica si è già presa tutto. Si può ancora scrivere, d’altra parte, che il film è una rappresentazione fedele; la vicenda raccontata è eccezionale e, proprio perché fuori dal comune, nella sua umana chiarezza, altrettanto drammatica.
Non c’è racconto più urgente di questo, non c’è forma che possa avere la priorità su di un tale contenuto; la riflessione estetica passa in secondo piano, oppure si conforma alle nuove priorità. E se, con questa candidatura, la stessa Festa del Cinema avesse assunto una posizione?
La trama di Open Arms Mediterráneo
La storia coincide con la vita di Óscar Camps (Eduard Fernández), il capo di una squadra di bagnini. Nel 2015, vedendo l’immagine di Ailan Kurdi, il bambino annegato e rinvenuto sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, Óscar chiede ai suoi di offrirsi volontari per soccorrere i siriani che approdano a Lesbo, in Grecia. «Questa resta qua» dice ai colleghi, appendendo la fotografia in ufficio «nessuno la tocchi». Soltanto sua figlia Esther (Anna Castillo) e Gerard (Dani Rovira) rispondono alla chiamata.
Giunti nell’isola, incontrano l’ostilità della polizia locale e di alcuni abitanti; al contempo, qualcun altro offre collaborazione e solidarietà: sono la proprietaria di un piccolo albergo, un fotografo spagnolo e una dottoressa siriana (Melika Foroutan), ai quali si aggiungono altri due colleghi bagnini; ovvero il nucleo originario di Open Arms, attivo ancora oggi.
Nel racconto, dopo aver superato molte resistenze, Óscar accetta di rilasciare una videointervista in cui racconta ciò che sta accadendo a Lesbo; quando la giornalista gli chiede se il loro lavoro non costituisca un fattore di attrazione per i migranti, lui risponde di non essere un politico ma un essere umano; un fattore di attrazione, ricorda, è l’Unione europea che vende armi alla Siria; e la mancata risposta delle istituzioni? «l’Ue non esiste, c’è ancora il Mercato comune»; rispetto all’accusa di violare la legge, Óscar osserva che «la legge del mare obbliga a difendere la vita».
C’è qualcosa di ossessivo in questo personaggio, ex alcolista che guarda il mare e crede di vedere persone che affogano. E c’è in lui qualcosa di tragicamente lucido, perché ogni volta vince la tentazione della bottiglia, e mantiene gli occhi aperti su ciò che il resto dell’umanità ha smesso di guardare.
«Se non porgi la mano a chi sta affogando, non è passività, è inazione deliberata, è omicidio».
Óscar
L’intervista al regista Marcel Barrena
Mediterráneo contiene molta cronaca. Perché avete scelto un film di finzione, per quanto ispirato a fatti reali, e non il genere documentario?
Il documentario è il mio genere preferito, però in questa occasione non era lo strumento migliore, né per raccontare la storia a modo mio, né per la durata del film. Avevo già visto due documentari su questo argomento, Astral e To Kyma, due lavori straordinari, però volevo ambientare il film in un momento concreto, raggiungere il massimo numero possibile di persone in tutto il mondo, e la finzione mi dava questo vantaggio. Quando vediamo film di finzione ci immedesimiamo nel personaggio in modo quasi irrazionale, è il miglior veicolo per trasmettere emozioni; e la finzione ci offre un tipo di produzione e una dimensione sociale non raggiungibili con il documentario. La finzione non ha confini e questo è un argomento che tutti devono conoscere.
Il protagonista è un uomo ossessionato dalla necessità di salvare le vite. Qual è il rapporto tra il fondatore di Open Arms e il protagonista del film? Cosa avete voluto riportare fedelmente, cosa è finzione e quale peso avete dato ai due elementi?
La coincidenza tra l’Óscar Camps di finzione e quello reale è totale. O perlomeno è la visione che ho di lui. E la sua stessa famiglia dice che è tale e quale, quindi deve essere così. Le sue motivazioni, la sua convinzione, la sua vocazione, le sue debolezze, la sua fragilità, la sua genialità e le sue imperfezioni sono le stesse del personaggio reale. Tutto quello che si vede nel film, sebbene trasposto nella finzione e con una struttura da film mainstream, è accaduto nella realtà, anche se ovviamente ci sono piccole differenze. Cambi di nomi per proteggere la privacy e qualche cambio temporale o di circostanza; per esempio, il personaggio di Rasha [la dottoressa, nda] è una personificazione di vari siriani che conobbi, e il personaggio di Nico rappresenta il gruppo di soccorritori che in un primo momento non era a Lesbo ma che ha poi dedicato la propria vita alla missione. Sono piccole concessioni per permettere che il messaggio realmente importante arrivi. La cosa più importante era essere giusti, rigorosi e seri con un argomento così complicato e complesso e, allo stesso tempo, dare dignità ai rifugiati, spiegare la loro storia, i loro dolori da un punto di vista realistico e umano.
Mediterráneo va interpretato come film politico, è d’accordo? Cosa è per lei un film politico?
Mi piacerebbe che non lo fosse, però ha una posizione chiara (posicionamiento), sebbene mi piacerebbe che non fosse una posizione. Perché la politica deve lavorare per il bene delle persone, e questo film tratta solo di persone che salvano persone. Non ci dovrebbe essere politica in qualcosa di così basilare. Un naufrago si deve salvare, la legge dice così. La legge del mare e la legge dell’umanità. Per questa volta, la legge e l’umanità coincidono. Se la politica s’intromette, male. Per me un film politico è quello che tratta un’ingiustizia, una causa sociale, e che cerca di far conoscere e rafforzare un’idea. Per cui, Mediterráneo soddisfa tutti i requisiti, perché c’è chi s’impegna a creare un dibattito che non dovrebbe essere politico.
Come si rappresenta la tragedia dei profughi? Quale riflessione è stata fatta prima e durante le riprese?
Si può rappresentare con rigore, con rispetto e accettando che il tuo punto di vista è sempre una condizione privilegiata. Così facendo, bisogna cercare il modo di rompere muri e distanze, creare la massima empatia (empatizar al máximo), di dargli voce propria, non come mero ornamento o sfondo, bensì dando loro un nome. Su tutto questo abbiamo riflettuto in ogni momento, dalla ferrea decisione di riprendere veri rifugiati, alla documentazione sul campo, alle migliaia di ore impiegate per comprendere la contrapposizione (conflicto) con la maggiore quantità possibile di punti di vista.
Quale potrebbe essere la reazione della destra italiana, di quei partiti che hanno chiuso i porti, alla visione di questo film? Se lo è chiesto, presentando questo film a Roma?
Suppongo che sarà la stessa che in Spagna. Però non la «destra», bensì l’estrema destra, che è molto diverso. Non è un film di sinistra, non è un film di destra. Né di centro. È un film sull’umanità, e l’umanità è in ogni partito e posizione politica. O perlomeno nella maggior parte. In Spagna, l’estrema destra ha boicottato il film, incitando le sue truppe (tropas) a odiarlo, a valutarlo negativamente sulle pagine, a diffamare gli attori, me e – da anni – Open Arms e Óscar Camps. Lui è abituato, io no. Al momento, non smette di stupirmi l’odio che loro sono in grado di provare per qualcosa che non hanno visto né vedranno; però il loro meccanismo funziona così, creare l’odio verso «l’altro» (el otro) e verso ciò che non conoscono. Dopo, così facendo, le loro truppe attaccano senza farsi domande. Fanno la cosa più banale e prevedibile. Certo, a qualcuno il film non piacerà; però lo guardino, prima di giudicarlo.
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