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FESTIVAL DI CINEMA

Middle East Now 2021 Focus sul cinema afgano

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Focus sul cinema afghano

Alla sua dodicesima edizione, il Middle East NowArte e Cultura del Medio Oriente di Firenze (dal 28 settembre al 3 ottobre) presenta un’interessante varietà di film, corti e lungometraggi. Roi Saade, artista libanese e collaboratore del festival, ha parlato del desiderio di “contemplare i nostri bisogni fondamentali dopo un anno in cui il tempo si è fermato ma la Storia ha proseguito il suo cammino incessante”.

Prosegue ma non sempre seguendo processi evolutivi.  Ci siamo voluti soffermare proprio sul focus afghano, non perché i film d’altra provenienza siano di minor importanza, ma perché è giusto diffondere quel cinema che dà voce ai drammi in cui la Storia, in un processo del tutto innaturale, retrocede.

Sono per lo più storie di rifugiati, in Iran, in Turchia, all’interno dello stesso Afghanistan. Immigrazioni recenti e molto lontane, come quella di The Silhouettes, di trentacinque anni fa, con cui iniziamo questa breve rassegna.

THE SILHOUTTES, 2020

Di Afsaneh Salari, Iran, Filippine, 79′

The Silhouettes la trama

Nel 1982, al culmine dell’invasione russa dell’Afghanistan, oltre 1,5 milioni di afgani dovettero trasferirsi in Iran in cerca di una nuova vita. The Silhouettes racconta la storia intima di una famiglia di rifugiati afghani che vive in Iran da oltre trentacinque anni, mentre il loro figlio più giovane affronta coraggiosamente le difficoltà del ritorno in Afghanistan, scelta determinata dalle limitate opportunità che esistono per gli immigrati afgani in Iran. Uno spaccato di vita molto poco conosciuto, che coinvolge ed emoziona (Dal sito ufficiale di Middle East Now).

Focus sul cinema afghano

The Silhouettes di Afsaneh Salari al Middle East Now

“I piedi di un immigrato sono legati”

L’incipit del film vede la famiglia che si prepara per la fotografia (riportata nell’immagine) e sulla stessa foto si posa la macchina da presa nell’ultimo frammento. E noi, in un’ora e venti, abbiamo tutto il tempo di affezionarci. Soprattutto al giovane Taghi, che sembra vivere il conflitto più forte tra rimanere a Teheran, lavorando dalle otto del mattino a mezzanotte (e i diritti negati), o tornare in Afghanistan e far valere i suoi studi, ma con tutte le incertezze che sappiamo. “Sono come un uccello cresciuto nel nido dei vicini”. È la seconda generazione di immigrati ad agire, organizzando il viaggio verso la patria, vissuta con grande nostalgia, pur non avendola mai vista, o forse proprio per questo, come nel film The Forbidden Strings, di cui parliamo dopo.

L’attesa e l’affetto della famiglia

Qui le persone ci somigliano, parlano come noi: sento di essere arrivato a casa”; “La terra è mia, il cielo è mio. Mi sdraio pacificamente sotto questo sole” dice Taghi quando si trova nel suo Paese. Tanto pacificamente no, perché è testimone di una strage durante una manifestazione studentesca. A casa lo aspettano: porta e finestre aperte sul cortile a significare l’attesa infinita della sorella e dei genitori. “Quindici persone in quella casa su tre piani”, che ha “le luci sempre accese, ma non ha radici”, dice Taghi nella prima parte del film. Una famiglia, la sua, in cui circola così tanta affettività nei sorrisi, nelle frasi sommesse, negli sguardi intensi. Nei pasti consumati insieme e in quell’odore di cucina sempre attiva: il modo più rassicurante del prendersi cura reciprocamente. Del condividere l’esilio e il suo dolore.

THE FORBITTEN STRINGS, 2019

Regia di Hasan Noori . Afghanistam, Iran, Qatar, 72’

The Forbidden Strings la trama

Akbar, Soori, Mohammed e Hakim sono figli di genitori afghani fuggiti in Iran, e sono gli unici immigrati del Paese ad aver formato una rock band. Finora è mancata loro l’opportunità di suonare dal vivo e il grande giorno è arrivato. Quando decidono di partire per Kabul i loro famigliari sono contrari e preoccupati, ma i giovani non si fermano, e solo una volta arrivati si rendono conto dei rischi che stanno affrontando. L’Afghanistan, la terra dei loro genitori, è ancora un posto molto pericoloso. Film sorprendente su una generazione che vuole seguire le proprie passioni e rompere con le regole della tradizione, ma si confronta con una realtà inospitale e insicura (dal sito ufficiale di Middle East Now).

Focus sul cinema afghano

The Forbidden Strings di Hasan Noori al Middle East Now

Un documentario struggente sull’amore per la musica e per le origini

Bella la maniera in cui vengono descritte e narrate le vite dei quattro ragazzi. In una sorta di lenta immedesimazione che rende il documentario un convincente docufilm. Costruito sulla recitazione di Akbar, Soori, Mohammed e Hakim nel ruolo di loro stessi, riproducendo momenti di quotidianità al lavoro, in famiglia, nel gruppo.

Il loro amore per la musica prima di tutto. Ciascuno racconta come l’ha incontrata e il valore che ha occupato nelle proprie giornate. Insieme, provano i pezzi scritti da loro, canzoni rock molto libertarie, e progettano il viaggio in Afghanistan, a Kabul. Fino a Bamyan, dove possono partecipare a un festival musicale e, finalmente, esibirsi. L’Afghanistan così unisce musica e attrazione per le origini, la realizzazione di un sogno condiviso.

Al pari di The Silhouettes, The Forbidden Strings testimonia come anche la seconda generazione di rifugiati viva una condizione insopprimibile di esilio e nostalgia, che può attenuarsi soltanto con un ritorno, se pure provvisorio.

KABUL CITY IN THE WIND, 2018

Regia di Aboozar Amini. Afghanistan, Paesi Bassi, 88′

Kabul city in the wind  la trama

Afshin (dodici anni) e suo fratello minore Benjamin (sei) vivono su una collina fuori Kabul. La violenza è diventata parte della loro innocenza. Quando il padre è costretto a partire per l’Iran per questioni di sicurezza, per Afshin finisce l’infanzia e all’improvviso diventa il capo famiglia. Abbas è un autista di autobus con una doppia personalità, un padre affettuoso che però perde spesso l’autocontrollo. Il film è un ritratto intenso e intimo di Kabul, vista attraverso la vita quotidiana di due bambini e di un autista di bus, che raccontano al regista i loro sogni e le loro paure, sullo sfondo di una città distrutta dal potere politico e religioso. Vincitore del Premio della Giuria Miglior Opera Prima al festival IDFA di Amsterdam (dal sito ufficiale di Middle West Now).

Focus sul cinema afghano

Kabul city in the wind  di Aboozar Amini al Middle East Now

La sabbia di Kabul

Il vento del titolo non è qualcosa che ripulisce, bensì un trasportatore di sabbia, che si deposita sulla mela di Afshin mentre l’addenta, sulle cose e sulle case, minacciate dalla quantità di sabbia e di sassi che potrebbero seppellirle. Così Afshin, capofamiglia a dodici anni, è costretto a spazzarla via insieme al fratellino di cui ha piena responsabilità. L’acqua che scorre dalla collina trasforma la sabbia in fango: nel fango e nella sabbia i bambini camminano, mano nella mano. Giocano a calcio con un barattolo e buttano sassi a nemici immaginari, che tanto immaginari non sono perché la paura degli attentati suicidi è fortissima.

Il fango entra anche negli incubi dell’autista dell’autobus (storia parallela con la stessa ambientazione): “Penso a un pantano che possa ingoiare me e la mia famiglia. È spaventoso!”. E le sue figlie, giocano con lui a shangai, in una rara scena felice, ma poi lavorano al telaio come da noi nell’Ottocento.

Le infanzie negate

Hanno dell’incredibile queste infanzie negate! Il piccolino di sei anni si esercita a contare, enumerando le lapidi al cimitero; il carro armato, sepolto a metà dalla sabbia, diventa piattaforma per giocare. Il tetto di casa: è il luogo della fantasia di Afshin e Benjamin. Con Benjamin che si muove sempre vicino al bordo, così come nella strada scoscesa è pericolosamente prossimo al dirupo. Un confine labile, quello della salvezza.

A JOURNEY INTO ZERO SPACE, 2017

Regia di Dawood Hilmandi. Afghanistan, Olanda, 64′

A journey into zero space  la trama

Il film è un trittico al confine tra finzione autobiografica e saggio di cinema sperimentale, che indaga e rivive archivi del passato riflettendo su di essi e sull’attualità. Il montaggio e l’autoproiezione del regista, giovane talento afgano, sono usati per mettere in discussione le nozioni di autorità, storia, immaginazione e casa (dal sito ufficiale del Middle East Now).

Colori e bianco e nero, realtà scambiabili

Un bianco e nero dai contorni netti e decisi all’inizio di questo film molto sperimentale che comincia con il mare. Il mare torna in altri momenti; l’onda che arriva e poi la risacca, le presenze umane che sfilano silenti come un funerale, oppure anche no. Solo l’onda che viene e che va. Altre scene solo a colori, ma quasi sfocate, e confuse. Manifestazioni politiche a colori, giochi violenti assurdi in una sorta di rito demenziale collettivo, in bianco e nero.

Il desiderio di sovvertire le regole

Al regista Dawood Hilmandi piace mettere in discussione le certezze tradizionali, affidarsi all’immaginazione e creare prodotti oltre modo liberi. È un artista multimediale e  fotografo, per cui si sofferma sui volti e sulle inquadrature. Diremmo a scapito del racconto, ma diremmo anche che questa è la sua forma di racconto. Ha già vinto alcuni premi, collaborato con Jim Jarmusch e Robert Wilson ed è stato riconosciuto come un giovane talento dell’Afghanistan. Certo, nessuna ricerca del coinvolgimento emotivo degli altri film visti al Middle East Now, bensì un effetto straniante come pochi. La sua maniera, tutto personale, di parlarci del suo Paese.

ANGELUS NOVUS, 2015

Regia di Aboozar Amini. Afghanistan, Paesi Bassi, UK, 25 minuti

Angelus novus la trama

Cosa significa per i bambini essere costretti a lasciare la propria casa? Ali e suo fratello minore fuggono dall’Afghanistan in giovane età per costruire una nuova vita in Turchia con la loro famiglia e molti altri rifugiati. I ragazzi si guadagnano da vivere lucidando scarpe, ma quando un giorno il loro posto è stato preso, la loro già fragile esistenza è appesa a un filo. Il dramma realistico illustra la dura vita e gli ostacoli quotidiani dei rifugiati mediorientali visti attraverso gli occhi dei bambini (dal sito ufficiale di Middle East Now).

focus sul cinema afghano

Angelus novus di Aboozar Amini al Middle East Now

Angelus Novus: il desiderio di andare o rimanere

In realtà il corto afgano inizia quando i bambini sono già in Turchia, ma fantasticano insieme alla madre di un viaggio per raggiungere Kayaki (il fratello?), partito per l’Europa. Sono arrivati da poco, quanto basta per sperimentare i primi grossi problemi di sopravvivenza. Il loro lavoro di sciuscià permette di pagare l’affitto: un soldino nel salvadanaio per la casa, un soldino in quello del viaggio. Casa e viaggio, fermarsi e andare, ma i due salvadai simmetrici hanno forme di piccole casette di legno, quasi a dire che il desiderio di rimanere prevale.

Come i bambini perdono in fretta l’innocenza

Angelus novus ha già vinto il premio del pubblico sempre allo stesso festival, nel 2015, l’anno della sua uscita. Purtroppo i problemi afghani non sono stati risolti e continuano a far male. E fa molto male vedere gli occhi dei bambini perdere l’innocenza.

THREE SONGS FOR BENAZIR, 2021

Regia di Elisabeth Mirzaei e Gulistan Mirzaei. Afghanistan, USA, 22 minuti

Three songs for Benazir la trama

Commovente documentario corto che accende i riflettori sulla vita dei rifugiati in Afghanistan attraverso la storia di un giovane, Shaista. Da poco sposato con Benazir, vive in un campo per sfollati a Kabul, e lotta per bilanciare il suo sogno di essere il primo della sua tribù ad arruolarsi nell’esercito nazionale afgano, con la responsabilità di mettere su famiglia. Anche se l’amore di Shaista per Benazir è palpabile, le scelte che deve fare per costruire una vita con lei hanno conseguenze profonde (Dal Cinema La Compagnia).

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The songs for Benazir di Elisabeth Mirzaei e Gulistan Mirzaei al Middle East Now

La mancanza di futuro dei giovani afghani

Le canzoni del titolo sono quelle che il giovanissimo innamorato canta alla giovanissima Benazir. Afghani fuggiti da Helmand, vivono in condizioni di estrema povertà: una casa che è poco più di una grotta e tanta preoccupazione per il futuro della famiglia. Benazir è incinta e Shaista vuole toccarle la pancia, lei si ritrae e ridono. Il corto inizia con questo gioco amoroso, e con un altro gioco amoroso termina.

In mezzo, la decisione del ragazzo, tra mille difficoltà, di arruolarsi nell’esercito, contro il parere dei parenti. Qualcuno deve garantire per lui e se disertasse ne sarebbe responsabile. A questo prezzo non vuole farlo nessuno,  nemmeno il padre. I talebani ci faranno a pezzi, dice. Il dramma vuole essere contenuto, nel racconto, dall’incipit e dall’epilogo tenerissimi, ma la mancanza di orizzonti per i giovani afghani stringe comunque il cuore.

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