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‘L’uomo che vendette la sua pelle’ di Kaouther Ben Hania, il rifugiato che cercava il visto per l’amore

Il film della regista tunisina è una storia di riconquista della libertà, anche di amare, da parte di un rifugiato siriano che per disperazione si trasforma in opera d'arte. Spunti di denuncia umanitaria, ma vince la love story

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L'uomo che vendette la sua pelle: Sam venduto all'asta

C’è chi vende l’anima al diavolo, chi la pelle. Il protagonista dell’ultimo film di Kaouther Ben Hania forse le ha vendute entrambe. Ispirato alla storia di Tim, tatuaggio vivente che nel 2008 fu venduto dall’artista Will Delvoye, L’uomo che vendette la sua pelle è una storia di riconquista della dignità da parte di un rifugiato siriano disposto a farsi tatuare la schiena da un noto artista, mutando, con tanto di contratto, in opera d’arte: da esporre, da mettere all’asta, da cedere a un collezionista. In cornice, l’accenno satirico al sistema dell’arte contemporanea, così come la critica, pennellata con poche sfumature, all’emergenza umanitaria dei rifugiati.

Ma il quadro – questo è il bello – non è poi così cerebrale: perché c’è di mezzo soprattutto una storia d’amore, con complicazioni di distanze e classi sociali. Sarà per l’abbinamento tra tono impegnato e tono narrativo che L’uomo che vendette la sua pelle si presenta nelle sale dal 7 ottobre, distribuito da Wanted, dopo aver convinto quasi tutti. Compresa l’Academy, che l’ha candidato agli Oscar come miglior film straniero.

Il trailer

La trama

L’incipit è asettico. Nel bianco vagamente ospedaliero di una galleria, un piano sequenza ci porta alle spalle di un gentleman – l’artista – che contempla un’opera d’arte. Per converso, Sam Ali (Yahya Mahayni) appare nel nero più totale: il recesso ombroso del carcere, dove è rinchiuso per un equivoco politico. Costretto a una fuga frettolosa dalla Siria verso Beirut, Sam deve rinunciare ad Abeer (Dea Liane), la donna che ama – ricambiato – ma che non può sposare perché lei appartiene a una classe più elevata.

L'uomo che vendette la sua pelle: Sam durante un interrogatorio

L’uomo che vendette la sua pelle: Sam (Yahya Mahayni) durante un interrogatorio

Ha classe da vendere, e sa vendersi benissimo, l’artista di fama mondiale Jeffrey Godefroi (Koen De Bouw), nel quale Sam s’imbatte durante un vernissage. Mentre Abeer, per obbedienza alla famiglia, sposa un diplomatico, Sam accetta d’impulso di farsi tatuare sulla schiena da Godefroi l’immagine di un visto Schengen. Complice un complicato contratto e la regia della platinata e gelida gallerista Soraya (Monica Bellucci), ora sì che Sam viaggerà: di galleria in galleria. Ma il pensiero vola sempre agli occhi azzurri dell’amata.

L’uomo che veniva dal lato sbagliato

Non era agevole, per Kaouther Ben Hania, tessere una trama narrativa in grado di tenere assieme i diversi fili tematici. Il racconto ruoterebbe attorno all’umanità offesa di Sam, di passaggio attraverso tutti i gironi della discriminazione: da quella politica a quella sociale, fino al grado zero della propria umanità. Ceduto il proprio corpo all’exploitation del sistema dell’arte, diventa un graffito ambulante. Lo script, allora, sceglie in maniera forse didascalica di esplicitare la denuncia sul piano diegetico, inserendo le figure dell’ambasciatore siriano e dei gruppi di protesta a favore dei rifugiati. Ma il tema, di fatto, è già squadernato a intervalli regolari, con una premessa concettuale pungente che emerge nel primo dialogo tra Sam e Godefroi:

Sam: da dove vieni?
Godefroi: vengo dal Belgio. E sono anche un po’ americano.
Sam: allora sei nato dalla parte giusta del mondo.

Il lato sbagliato – della società, del globo, dell’umanità – viene evocato di continuo: dai racconti della madre di Sam, agli inserti dei reportage di guerra, fino alla frustrazione auto-inflitta dell’uomo. Sam è un bugiardo cronico, quasi volesse costruire l’identità alternativa di chi ce l’ha fatta. In questo senso, l’outsider per eccellenza: fuori da tutto, in lotta per riprendersi il lato giusto. Quello umano, dove lo aspetta anche l’amore.

Nel quadrato dell’arte

Il paradosso ambizioso de L’uomo che vendette la sua pelle è nell’operazione illusoria per cui Sam rilancia la considerazione della propria esistenza attraverso l’arte. Negando esattamente ciò a cui ambiva: lo statuto di essere umano. Anche qui, perdonabile, è un mezzo spiegone a chiarirlo, allorché l’artista teorizza smaccatamente di fronte allo schermo di una telecamera:

Ho appena reso Sam una merce, una tela. Perciò ora può viaggiare nel mondo. Perché di questi tempi, la circolazione delle merci, è molto più libera di quella degli umani.

Mercificato, dunque, per diventare libero. Per giunta, con un’operazione artistica, la cui fastidiosa ipocrisia rende di seducente ambiguità sia la mercante d’arte, Monica Bellucci, che l’artista, Koen De Bouw. Ma il punto è questo: nonostante alcune trovate visive ricordino The Square di Ruben Östlund, non c’è un vero affondo sulla definizione dello scenario dell’arte contemporanea.

L’uomo che vendette la sua pelle: Sam (Yahya Mahayni) esposto come opera d’arte

L’arte non è un tema del film: è implicata per raccontarlo meglio, è l’arena del dramma. E nel racconto, alla fine, a prevalere non è nemmeno più la questione umanitaria, così artatamente – da exploitation? – costruita. Perché alla lunga per Sam la libertà è libertà d’amare, e L’uomo che vendette la sua pelle converge verso il filone delle storie d’amore impossibili.

Omnia vincit amor

Nel congegno narrativo de L’uomo che vendette la sua pelle c’è dunque una finezza quasi manipolatoria, ma indubbiamente godibile di testa e sentimento. E di sguardo: perché il film, come il precedente La bella e le bestie, manifesta un’identità visiva vigorosa, fondata per lo più sulla spazialità del piano sequenza e sull’uso a volte alienante del fuori fuoco, che isola i personaggi. Vi si aggiunge anche un talento nello splittare in maniera naturale le immagini per raccontare la distanza o la doppiezza: Sam e Abeer che si parlano da stanze diverse, oppure Sam seduto al capo opposto di un tavolone con Soraya.

L'uomo che vendette la sua pelle: Sam e Soraya seduti al tavolo

L’uomo che vendette la sua pelle: Sam (Yahya Mahayni) e Soraya (Monica Bellucci) seduti al tavolo

Una bella superficie cinematografica, quella de L’uomo che vendette la sua pelle, ma nessuna contestabile superficialità, nonostante la scelta astuta, quasi scaltra, d’intavolare il proprio background ideologico e sociale, per poi far trionfare, a livello narrativo, la vecchia e affidabile love story. Se l’ultimo rifugio di Sam è il cuore della sua donna, è naturale addolcire lo spettatore e vantare allo stesso tempo l’aura del film impegnato. Si può palare, benignamente, di equilibrio cinematografico. Tanto più che, se anche fosse cinismo calcolato, come dice Godefroi, l’artista: “non sono cinico: il mondo lo è”.

L'uomo che vendette la sua pelle

  • Anno: 2020
  • Durata: 104'
  • Distribuzione: Wanted
  • Genere: Drammatico
  • Regia: Kaouther Ben Hania
  • Data di uscita: 07-October-2021