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Approfondimenti

‘Il cinema di Paul Verhoeven’, Pettierre e Zanello alla scoperta dell’olandese che ama il proibito

Per Falsopiano Editore, un libro plurale ed esaustivo sull'opera del regista, tra gli altri, di 'Robocop, 'Atto di forza' e 'Basic Instict'. Tra erotismo e violenza: dagli esordi in Olanda, col film dei record 'Fiore di carne', al recente 'Benedetta' presentato a Cannes

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Rimettere in gioco Paul Verhoeven: questa l’idea di Antonio Pettierre e Fabio Zanello, curatori del bel volume sul regista olandese, edito da Falsopiano. Il cinema di Paul Verhoeven si propone infatti come “contributo critico a un regista, almeno in Italia, ampiamente sottovalutato, prima sconosciuto e poi relegato a creatore di prodotti mainstream” (p. 11). Come a dire: prima troppo outsider, poi troppo dentro al gioco dell’industria, per generare un giudizio equilibrato. Di qui, la necessità di un’opera, a detta degli ideatori, “risarcitoria”, che metta ordine nel tempo, secondo un fil-rouge cronologico, e nelle idee, sia pure nella pluralità dei saggi. Valeva la pena scriverlo, vale la pena leggerlo. Per lo stesso motivo: perché oltre a Basic Instinct c’è molto di più.

Un fior d’autore

Al grande pubblico, il cinema di Paul Verhoeven è noto soprattutto per le alterne fortune del periodo americano: da Robocop (1987), Atto di forza (1990), Basic Instinct (1992), per citare le opere più acclamate, al flop di Showgirls (1995), poi cult dell’home video, fino al controverso ma già sdoganato Starship Troopers – Fanteria dello spazio (1997), e oltre. Ma prima dell’industria a stelle e strisce, c’era il successo nazionale. Pettierre e Zanello segnalano in prefazione come Fiore di carne (1973) sia tuttora in testa alle classifiche degli incassi in Olanda. Nella transizione dai graffianti esordi in patria, al mainstream americano, fino alla più rada fase ultima (quattro film in venti anni, da Trickled a Benedetta), è costante il riconoscimento da parte dei curatori di un’innegabile autorialità (p.12):

Verhoeven è autore, al tempo stesso, per lo stile ironico e scabro, la capacità di modellare i generi alla sua visione della realtà, dove il sesso è il sangue, la carne e la vitalità, la morte e la vita sono mostrati senza reticenza alcuna.

Un fior d’autore, poco propenso ai compromessi e persino scomodo, di cui già l’introduzione a quattro mani delinea efficacemente le inclinazioni più spinte. A meglio intendersi, come ribadirà Giuseppe Gangi in uno dei saggi critici prendendo in prestito una dichiarazione dello stesso Verhoeven: sesso e violenza.

Ogni benedetta pellicola

Nel ricostruire una poetica così attenta agli istinti basici, Pettierre e Zanello non rinunciano all’aspirazione della completezza. Pur profilandosi come primo organico recupero in Italia del lavoro del regista, Il cinema di Paul Verhoeven appare infatti di avanzata compiutezza. Basti pensare ai sigilli d’apertura e di chiusura del libro. Nel primo saggio a firma di Mario A. Rumor, ad esempio, si riesce a rintracciare il gustoso esordio televisivo dell’autore con la serie tv Floris (1969), successo senza precedenti in Olanda e primo spartiacque della carriera di Verhoeven. Nell’ultimo saggio, invece, si accenna a Benedetta, film pressoché inedito – Cannes a parte – al momento della stesura del libro: Fabio Zanello vi ricama attorno un discorso sul cinema del proibito oggi.

Benedetta: una giovane donna e una suora

Benedetta (2021) di Paul Verhoeven: un fotogramma con Daphne Patakia e Virginia Efira

In mezzo, i diciotto saggi degli autori vari sui film vari – proprio tuttie a conclusione, gli utili apparati filmografici e bibliografici. Con una chicca: l’intervista al compianto Rutger Hauer da parte di Francesco Saverio Marzaduri al Lucca Comics del 2019. L’attore di Utrecht, notissimo soprattutto per Blade Runner (1982) di Ridley Scott e Ladyhawke (1985) di Richard Donner, fu lanciato da Verhoeven e con questi collaborò per anni, fino a L’amore e il sangue (1985). Dalle risposte di Hauer, fiutiamo che non amasse parlare del proprio rapporto col regista olandese. Se ne prende nota, tra le tante curiosità del libro.

Verhoeven oltre Verhoeven

Si scopre davvero tanto, in effetti, dalla lettura de Il cinema di Paul Verhoeven. Questo perché, oltre alla lettura filmica, c’è in molti saggi un’attenzione documentaria alle vicende produttive. Su Robocop, ad esempio, Antonio Pettierre riporta che fu la moglie Martine a convincere l’autore, inizialmente scettico, a incaricarsi della regia. In più, rischiando anche qualche ripetizione, diversi contributi si organizzano fluidamente per contestualizzazione e cucitura. Come quando, nel parlare di Elle, Ilaria Dall’Ara collega il profilo della protagonista (una glaciale Isabelle Huppert) ad altri personaggi femminili dell’opera di Verhoeven: donne volitive, determinate, a volte ambigue, sicuramente dalle tante sfaccettature.

Elle: Michèle (Isabelle Huppert) fissa un'arma da taglio

Elle (2016) di Paul Verhoeven: una scena con Isabelle Huppert

Un altro esempio è nell’analisi che Giuseppe Gangi riserva a L’uomo senza ombra (2000). Vi compare, in apertura, un riassunto del periodo hollywoodiano del regista, che diventa anche un recap, o recall, dei capitoli precedenti, corroborando la coesione di un libro così plurale. Vario anche nelle direzioni: perché il lettore finisce già oltre i singoli film, orientato lungo la rotta di percorsi tematici. Tra questi: la donna mantide nel neonoir, il kitsch e il camp, il cinema del proibito. Il ritratto è quello di un cinema sfrontato: provocatorio nelle idee, provocante nella carne. Per i cinefili, è vietato perdersi l’amplesso con un volume dal così generoso corpo cinematografico.

EDITORE Falsopiano
AUTORI AA.VV.
CURATORI Antonio Pettierre, Fabio Zanello
PAGINE 220
PREZZO 20 euro
COLLANA Falsopiano/Cinema
USCITA luglio 2021
ISBN 9788893042147

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