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Approfondimenti

‘Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato’ di Rudi Capra, una radiografia al neon

Nel libro edito da Falsopiano, il critico esamina il percorso ancora in evoluzione del regista danese, premiato a Cannes nel 2011 con "Drive", con rimandi alla concezione del destino di Eschilo e una fitta rete di riferimenti dotti per lettori affamati di cultura e sfide intellettuali

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My Life Directed by Nicolas Winding Refn

Non sarà esattamente la classica lettura da ombrellone, ma è meglio così. Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato (Falsopiano Edizioni, ottobre 2022) di Rudi Capra è un libro per tutte le stagioni, scritto con agile stile erudito e leggibile tanto per immersione profonda quanto per occasionale tuffo di consultazione. Delle diverse stagioni creative del regista danese, premiato a Cannes nel 2011 con Drive per la migliore mise en scène, lo studioso rende conto tessendo una rete di riferimenti – letterari, mitologici, sociologici, cinematografici e d’altri nodi disciplinari ancora – ideale per il lettore avido di sfide intellettuali e incline a un’idea aperta e interconnessa di cultura.

Sette idee di lettura

Per fortuna, ad agio della digeribilità di lettura, un’idea centrale c’è, e una rete di atterraggio pure. La traccia interpretativa è subito fornita nell’introduzione (a onor del vero era già nel titolo). Proponendo un ardito parallelismo col drammaturgo greco antico Eschilo, Capra propone di leggere il cinema di Refn all’insegna di una concezione del destino che si manifesta “come una legge ciclica e inflessibile che ha per fine la giustizia e per mezzo la violenza” (p. 12). Quest’ultima – violenza – è una parola che sarà costantemente rievocata, pur nella sua mutevolezza di sfumature semantiche, nell’esplorazione della filmografia del regista, dall’analisi di Pusher – L’inizio (1996, trattato in tandem con Bleeder, del 1999) fino agli interrogativi del capitolo finale, Maniac Cop & Beyond.

E la rete d’atterraggio: “sette categorie che, come sette paia di lenti, orientano l’analisi, l’interpretazione e la lettura” (p. 13). Si tratta di Fatalismo, Mitologia, Feticismo, Cinefilia, Immaginario, Civitas e – manco a farlo apposta – Violenza. Sono sette traiettorie interpretative che caratterizzano, secondo Capra, l’essenza profonda del cinema dell’autore danese. Il lettore può dunque contro-esplorare il libro per labirinti, cioè, film dopo film, o capitolo dopo capitolo, con più traiettorie contemporaneamente, oppure per sentieri lineari, muovendosi di volta in volta lungo il solco di uno degli itinerari.

Le tante strade violente di Refn

Attorno a quel centro, e tra le tante maglie della rete, ci sono quelle che Roberto Lasagna nell’introduzione definisce “le diramazioni di senso del cinema di Refn” (p. 10). Anche qui (ma stavolta involontariamente) il titolo del libro era stato profetico, parlando di vertigine. Non quella del fato, ma quella dei rilanci e dei riferimenti: da Amleto a Baudrillard, da Il Mago di Oz al cannibalismo, da Marx a Edipo. Senza che l’analisi smetta di essere una cuccagna per cinefili. Ad esempio, nel parlare di Fear X (2003) il caleidoscopio delle referenze oscilla – per dirne alcuni – tra Kiyoshi Kurosawa, Kubrick, Dreyer e Lynch.

Per Capra fare critica è una logica dell’accumulazione e del rilancio, che si attaglia sia alla cultura onnivora dello scrivente, sia all’ingordigia del lettore. Ad esempio, non basta citare per Drive (2011) le analogie con Le samouraï (1967) di Jean Pierre Melville, bensì si rimanda anche a The Driver (1978) di Walter Hill e a Strade violente (1981) di Michael Mann.

“Neon-noir”

È anche, beninteso, una forma critica rispettosa della complessità del cinema di Nicolas Winding Refn.Non a caso, è spesso illuminante nel libro di Capra anche la logica del confronto, dell’analogia del contrapposto. Argomentando a scrittura intrecciata sia di Bronson (2008) che di Valhalla rising – Regno di sangue (2009), per esempio, lo studioso scrive dei film come “di due pianeti apparentemente distanti, uniti però da un afflato mitopoietico e da un feticismo della violenza” (p. 51).

In tema di intrecci, funziona per navigare in questa complessità l’attenzione dell’autore, specie nella seconda parte, a legare, a tirar somme, a mappare coerentemente il percorso. Come quando si legge di “un prima e un dopo Drive” (p. 68), eleggendo, dunque, un punto di svolta significativo; o allorché Capra raccorda con attenzione non solo momenti interni alla filmografia di Refn, ma allarga l’indagine alla fenomenologia del cinema contemporanea: la trilogia Drive, Solo Dio perdona (2013) e The Neon Demon (2016) è ricondotta a un’estetica neonista, circa la quale si citano anche Wong Kar-wai e Blade Runner (1982) di Ridley Scott.

Non solo Dio giudica

Se è vero che solo Dio perdona, non è però vero che solo Dio giudica. Di contro a un certo neutralismo politicamente corretto di parte della critica contemporanea (e Dio ce ne scampi), Rudi Capra sa anche sbilanciarsi. Tra i suoi “atti di forza”, figurano l’aperta definizione proprio di Solo Dio perdona come il migliore (“forse”) di Refn, così come l’individuazione senza traccheggi di una gerarchia di qualità artistica, per cui serve molto più spazio per The Neon Demon che per i giovanili Pusher e Bleeder. Il giudizio finale, su libro e regista, spetta al lettore – anche se s’immagina, in tutti i sensi, che il finale resti aperto: “dove ci porterà Nicolas Winding Refn?” (p. 132). Certo, però, che con la giusta dose di punti interrogativi, in un percorso che si destreggia tra mitologie, feticismi e ogni sorta di desiderio del lettore cinefilo, Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato di Rudi Capra riesce illuminante. E fascinoso: come la fredda luce del neon.

(In copertina: Ryan Gosling, a sinistra, diretto da Nicolas Winding Refn sul set di Solo Dio perdona)

EDITORE Falsopiano
AUTORE Rudi Capra
INTRODUZIONE Roberto Lasagna
PAGINE
163
PREZZO 19 euro
COLLANA Cinema
USCITA 2022
EAN 9788893042314

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