Un lutto da elaborare, animali fantastici e un vago sentore apocalittico. A Venezia 78, Piedra Noche di Iván Fund apre la diciottesima edizione delle Giornate degli Autori con un immersivo dramma psicologico popolato di presenze latenti, pronte a sconfinare nel reale da tormentate fantasie notturne.
La trama di Piedra Noche
Da meno di un anno il figlio di Greta e Bruno è sparito, inspiegabilmente inghiottito dal mare. I due vogliono vendere la residenza estiva, che affaccia sulla spiaggia incriminata. Lui (Marcelo Subiotto) fa fatica ad accettare la perdita, lei (Mara Bestelli) si fa sostenere dall’amica Sina (Maricel Álvarez), accorsa in aiuto. Intanto, l’intermediario della vendita, Genaro (Alfredo Castro), sembra suggestionato dalle voci riguardanti una strana creatura proveniente dal mare, apparsa dopo l’installazione di una misteriosa piattaforma da parte di una compagnia giapponese. Pacchi e pacchetti sarebbero pronti, ma Bruno sostiene di aver visto qualcosa in mare. Sono vere le leggende locali, o si tratta di segnali dal figlio scomparso? Prodotto da Rita Cine e Insomnia Films, in collaborazione con Globo Rojo Films e Nephilim Producciones.
Tra presenza e assenza
C’è un inestricabile intreccio di realtà e fantasia nell’opera di Iván Fund. Il regista di Buenos Aires, classe ’84, annovera in carriera sia opere di finzione (la maggioranza, tra cui Los Labios del 2010, co-diretto con Santiago Loza e presentato a Cannes), sia co-regie di documentari (Ab, 2013; El Asombro, 2014). Piedra Noche (Dusk Stone) prende il titolo dalla preziosa gemma notturna del videogioco a cui giocava il figlio di Greta e Bruno.
Piedra Noche: il figlio di Greta e Bruno gioca ai videogame
Nella fantasia videoludica, la pietra veniva ricercata da un lucertolone non troppo dissimile da quello evocato dalle leggende del luogo. Nella propria ricerca interiore, Bruno è come intrappolato in un videogame, o mind-game, senza riuscire a passare al livello successivo. Alla moglie dice:
Non so se riesco davvero a spiegare quello che sento, quello che penso. Ma sta lì.
Il lutto è presente in ogni ruga, di espressione o vecchiaia precoce; la creatura fantastica è un’assenza evanescente, pronta a diventare l’ultima trovata turistica in stile Loch Ness. Un ponte invisibile unisce le parole non dette dai genitori in lutto con leggenda mormorata dai pescatori. Così, tra l’impossibilità di esprimere ciò che si sente e il sentito dire, Piedra Noche trascolora in un’atmosfera sospesa, insieme tenera e minacciosa, nel limbo reticente che unifica il dramma privato con la voce del popolo.
Meglio animali notturni che animali fantastici
Va dunque forte quando va lento, il film del regista argentino. E quando non spiega troppo. Le onde del mare sanno apparire ipnotiche. I personaggi, isolati dalle inquadrature, sprofondano assorti in qualche abisso: ci sarà, forse, un mostro nella mente. Le carrellate all’indietro estraniano e immergono allo stesso tempo. Di contro a quest’architettura elegante, alcune scene con camera a spalla, dall’effetto documentaristico riportano brutalmente dall’arena dei pensieri alla rena della spiaggia.
Piedra Noche: l’interminabile spiaggia con lento riflusso delle onde
Audacia sperimentale? Semmai più una certa disomogeneità di stile, consapevole ma irrisolta. Così come la colonna sonora, da drammone anni ’50, rischia di diventare cacofonia sovrapponendosi al flusso dei pensieri.
Di Piedra Noche di Iván Fund, allora, meglio scansare la sostanza dura dello stile esibito o del finale esplicito, per godersi, piuttosto, la notte del non-detto, anche a livello di regia e scrittura: le allusioni, i labirinti della mente, il sonnambulismo sul crinale tra verità e fantasia.
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