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Conversazione con Valeria Bilello, protagonista di Security. Il coraggio di mettersi in discussione

Security di Peter Chelsom è l’occasione per incontrare Valeria Bilello. In esclusiva su Taxidrivers

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Prodotto da Indiana Production e Vision Distribution l’uscita di Security di Peter Chelsom, visibile su SKY Cinema, è l’occasione per un ritratto a tutto tondo di Valeria Bilello, protagonista del nostro cinema ma allo stesso tempo capace di costruirsi una carriera internazionale lavorando tra gli altri con le sorelle Wachowski in Sense8 e per ultimo con Liam Neeson in Made in Italy, da Luglio nelle sale italiane.

In attesa di vedere Made in Italy, film in lingua inglese in cui sei accanto a Liam Neeson, i frutti del  tuo lavoro sono visibili su Sky, dove è  da poco uscito Security di Peter Chelsom e su Netflix dove è possibile ritrovarti tra i protagonisti di Curon, miniserie diretta da Fabio Mollo. Prima di invitarti a parlarcene, volevo tornare agli inizi della tua carriera fatta di esperienze sul campo che presuppongono un talento innato e con questo mi riferisco agli esordi su MTV e All Music. Questi esordi ti hanno lasciato alcune caratteristiche propedeutiche a ciò che avresti fatto dopo: la prima di queste è la capacità di sapere improvvisare adattandoti alla libertà narrativa e agli imprevisti tipici di quei programmi come poteva accadere interagendo  con persone comuni 

Dici una cosa molto giusta, a cui pensavo anche di recente. Parliamo di due mestieri che in apparenza hanno poco da spartirsi, avendo quello dell’attrice poco a che vedere con il ruolo di presentatore. Però se intendiamo quel periodo della mia vita trascorsa nelle tv musicali come un percorso di formazione – all’epoca del mio lavoro su MTV ero ancora minorenne – in cui uno può imparare a fare delle cose e a esplorare se stesso, allora il discorso è diverso. Io partivo dall’essere una persona introversa, quasi timida; dunque  ho sicuramente imparato a stare al centro dell’attenzione, in un certo modo, è cioè con dei contenuti e un’interazione con persone di altre culture, il che mi ha permesso di imparare altre lingue. Quindi sicuramente tutto questo mi è servito. È vero quello che dici tu: l’improvvisazione nel cinema è ascolto degli attori che ti stanno attorno e di quello che ti succede in scena. Per quanto uno possa essere bravo o talentuoso, se non si è capaci di rispondere a quello che succede sul set non si diventa mai bravi attori.

Il cinema come risultato di un lavoro collettivo hai avuto modo di sperimentarlo fin da subito con Happy Family, in cui dividevi il set con Fabio De Luigi, Fabrizio Bentivoglio, Diego Abatantuono e molti altri. In quel caso il dialogo e l’ascolto degli altri attori penso sia stato fondamentale. Di improvvisazione invece penso ce ne sia stata molta ne i Soliti idioti e Intralci, altre sue partecipazioni di inizio carriera, in cui ti sei misurata con la comicità di Francesco Mandelli e Maccio Capotonda. 

Sì, certo, stai parlando di cose vecchissime! Con Diego Abatantuono ho lavorato due volte: lui è uno che se vuole improvvisa e se tu non sei in grado di reagire è  finita. In questo senso un’altra esperienza fondamentale è stata Liberi tutti  di Luca Vendruscolo e Giacomo   Ciarrapico, a cui ho partecipato  qualche anno fa. Lì c’erano Giorgio Tirabassi, il bravissimo Lino Musella,  Massimo  De Lorenzo, Anita Caprioli. Era una serie corale; per cui, anche lì si trattava di stare molto concentrati sul presente e sull’ascolto. Spesso le cose più divertenti nascono, sì, da un bellissimo copione perché la comicità è matematica, però altre volte ci sono situazioni che nascono sul momento.  Per questo è necessario che tutti le colgano e siano pronti a reagire, altrimenti la sequenza non funziona.

A proposito di commedia che è un genere da te molto frequentato, tu fin dagli inizi eri molto brava a saper riconoscere i tempi delle battute, perché quando facevi MTV e all Music, al di là delle doti di empatia e di saper stare davanti alla mdp, dovevi essere pronta a reagire a imprevisti di ogni tipo e a un copione in parte non scritto. Di fatto ti sei trovata a sperimentare un linguaggio che poi sarebbe diventato quello dei social. In quei programmi infatti la comunicazione era già globale è in lingua inglese e poi avevi a che fare con una vera e propria rete di interlocutori followers. 

È verissimo quello che dici, dunque non posso aggiungere altro.

Questo ci dice del tuo essere contemporanea, ma allo stesso tempo capace di viaggiare nel tempo: lo hai fatto per Pupi Avati ne Il papà di Giovanna, il tuo film d’esordio in cui eri una ragazza bolognese nell’Italia fascista. Dall’esperienza sul campo al grande salto nel cinema, ti ritrovi sul set di un film in cui a differenza dei tuoi lavori precedenti la ricerca della performance è frutto di continue revisioni. Penso si sia trattata di una grande differenza. 

In realtà questo scarto si è verificato diverse volte, perché non è che al primo film capisci tutto. Anzi, c’è stato prima Pupi Avati che mi ha preso per un piccolo ruolo, regalandomi la possibilità di mettere un piede dentro il cinema. Poi Gabriele Salvatores, con un film in cui ero protagonista e dove dovevo affrontare situazioni più complicate: lì ho capito altre cose fondamentali. Poi la carriera è andata avanti e la conoscenza è aumentata. Un’altra esperienza altamente formativa è stata Sense8 con le sorelle Wachowsky. Due anni fa insieme a Liam Neeson ho girato Made in Italy, in uscita a Luglio, in cui ho recitato sempre in inglese e anche lì ho imparato altre cose. La verità è che la paura di non avere del tutto il personaggio sotto controllo e il batticuore di non essere all’altezza ce l’ho sempre. Poi ti fai forte di tante altre cose però non c’è mai stata un’esperienza che mi ha garantito di sapere e poter fare questo lavoro vita natural durante. Ogni volta apprendo delle cose nuove e aggiungo dei pezzettini di mestiere e di lezioni apprese. 

È fondamentale non fermarsi e avere sempre la curiosità e il coraggio di mettersi in discussione. Perché l’errore è quello di pensare che, dopo aver lavorato con grandi registi, puoi girare con autori alla loro prima esperienza credendo di sapere già tutto. Anche un esordiente può avere cose da insegnarti e un’opera prima può diventare molto più difficile di un film con un regista premio Oscar. Io non mi sento mai tranquilla. 

A proposito di nuove esperienze in termini di genere, di atmosfere, lo sono quelle di Curon e di Security in cui ti cali in ruoli più dark, rispetto a quelli  di una carriera che ti ha visto spesso immersa in una dimensione esistenziale piena di colori e vivacità. Questi ultimi, invece, sono caratterizzati da tinte più scure. In particolare il ruolo di Curon è per te un inedito.

Sì, perché è quasi un horror. Tra l’altro è difficile che in Italia ti capiti di lavorare in una serie così cupa, drammatica e di genere, perché alla fine Curon era un fantasy horror. Sono contenta che siano arrivate queste opportunità: penso di essere abitata da una parte molto dark e che finalmente anche quella parte di me è stata ascoltata (ride, ndr). In più in Curon ho un doppio personaggio: sono buona ma anche molto cattiva e nel fare quest’ultima  mi sono divertita tantissimo. Poi, sai, è sempre meglio bilanciare i ruoli perché, a forza di usarla, la spugna della comicità si secca ed è bene andarla a ribagnarla da qualche altra parte. Esplorare nuovi copioni e nuovi personaggi è un bene, dunque sono stata strafelice di fare Security e Curon: avevo davvero bisogno di misurarmi con qualcosa di diverso. 

Se nei lavori per la televisione immagino vada in scena molto di te, nel cinema può succedere il contrario. Per cui ti chiedo come costruisci i ruoli. Quanto vi entra delle tue esperienze e dell’osservazione del mondo che ti circonda.

Innanzitutto credo sia un po’ ingenuo pensare che chi appare in televisione lo faccia portando in scena se stesso. Io per esempio non mi sentivo così: ero lì  cercando di dare una versione di me così come mi era stato richiesto; cioè solare, empatica, spigliata. C’erano tanti aspetti di me che non entravano nel contenitore di MTV. Al contrario nel cinema, attraverso i personaggi,  penso di essere molto più me stessa: recitare è una cosa, interpretare il personaggio è un’altra. Cioè, io penso di essere molto più me stessa in tutti questi ruoli che quando conducevo i programmi musicali. 

In termini di performance quella richiesta per la conduzione di quei programmi era altissima, molto più che nel cinema o mi sbaglio?

Sì, era pura performance, ma il cinema e la televisione non lo sono; per alcuni lo è, mentre per altri il cinema è tutto un altro mestiere. 

Due caratteristiche che ho sempre riscontrato nella tua carriera cinematografica sono l’eleganza e la sobrietà. Partendo da quest’ultima, il fatto di essere misurata è uno dei tuoi pregi, perché ti rende credibile ogni volta che devi fare il contrario, quando necessita  alla drammaturgia, chiedendoti  di sottolineare un sentimento o uno stato d’animo. La sobrietà ti fa guadagnare molto in termini di verosimiglianza. Sei consapevole di questo e soprattutto è una dote che ti riconosci? 

A dire la verità non ci ho mai pensato. Peraltro su di me penso sia giusto sempre togliere il più possibile. L’ascolto è importante, ma poi bisogna essere sempre consapevoli del proprio personaggio e del proprio corpo, della propria voce, perché non si può scimmiottare chi ti sta di fronte per entrare in empatia con lui. Bisogna rimanere un po’ fedeli a se stessi e alla propria idea del personaggio. Io non sono mai stata capace di calcare la mano ed è per questo che un certo tipo di comicità non posso farla: non è da me, non saprei da dove iniziare. 

L’eleganza è un altro tratto che ti appartiene. Non per niente sei stata la musa di Giorgio Armani in ben tre lungometraggi in cui metti in scena la femminilità in un quadro di romanticismo d’altri tempi. 

Verissimo. Sono tre cortometraggi molto belli a cui io sono molto affezionata perché mi hanno portato a conoscere Giorgio Armani che ha chiesto di me in quella occasione: è stato un incontro da cui mi sono sentita molto lusingata. I tre cortometraggi sono stati molto importanti perché mi hanno fatto viaggiare. il primo è stato girato a Parigi, il secondo a Milano, il terzo a Istanbul, sempre diretta da un regista francese. Allora ancora non si usavano questi video per i marchi di moda, per cui mi sembrava una cosa molto sperimentale. Oggi sono diventati un’abitudine, tanto da trovarli anche su Instagram, Adesso sono orientati esclusivamente verso le vendite, mentre all’epoca, – nel 2012, 2013 – l’obiettivo era di tipo artistico. Li considero un capitolo molto importante della mia carriera.

Peraltro penso che quei cortometraggi messi insieme e guardati uno dietro l’altro possono essere un film con te protagonista, pronta a interpretare una serie variazioni sul tema della femminilità. 

Sì, il regista Olivier Zahm penso abbia voluto fare una sorta di  trilogia: adorava Michelangelo Antonioni e dunque ha cosparso il film di riferimenti al cinema del grande maestro. Come dici tu, alla fine è una piccola trilogia su di me.

Penso che siano stati anche un biglietto da visita per la tua carriera internazionale, perché tu sei un’attrice che può vantare una filmografia ricca di titolo stranieri. Parli inglese in maniera fluente e questo ti ha permesso di essere diretta dal regista di Il diavolo veste Prada, e ancora di fare Made In Italy e prima ancora Sense8 in cui hai un ruolo iconografico come quello di Monica Bellucci con Matrix. 

Sono d’accordo. Premesso che tutti i film, tutte le serie, tutti i registi sono importanti, ci sono però dei momenti chiave all’interno di ogni percorso. Uno di questi è stato Sense8 perché si trattava di una serie cult e perché le registe sono due persone interessantissime: io ho conosciuto meglio una delle due, Lana. Tutta l’esperienza era folle e straordinaria, perché si girava in tutti i paesi che venivano raccontati; gli attori erano perennemente in stand by. Viaggiavamo tutti quanti  in un volo charter. Lana poi non fa prove, con lei si andava sul set e si girava. È  stata un’esperienza estrema anche per la risonanza che ha avuto. Basti pensare alla gente sotto gli alberghi in cui alloggiavamo; a Napoli abbiamo avuto un autentico bagno di folla, come se  fossimo una rock band (ride, ndr). In generale penso si sia trattato di un esperienza unica per tutti gli attori che vi hanno partecipato. Era una delle prime volte in cui Netflix apriva i suoi orizzonti alla comunità LGBT, e quindi tanti ragazzi si sono visti sentiti e ascoltati attraverso quella serie.

Per me poi è stata importantissima perché il regista di Made in Italy, James Darcy era  stato un attore di Cloud Atlas sempre diretto dalle sorelle Wachowski, e seguendo il loro lavoro mi ha visto ed è venuto a Berlino a farmi il provino. 

Peraltro è divertente perché Made In Italy ti riporta un po’ alle figure romantiche che da sempre ti appartengono. 

Sì, certo, soprattutto ai miei esordi.

Per colori, personalità e portamento in Made in Italy incarni l’ideale del paesaggio italiano. Ed è paradossale che tu debba questa occasione ad un ruolo come quello di Sense8 che a livello iconografico è lontano dal nostro paese. 

Sì, quella di Sense8 era una villan. Io avevo pistole e ogni frase era piena di cattiveria. Ero una killer, dunque non poteva che essere così.

Una killer con uno sguardo completamente diverso da quello con cui abbiamo imparato a conoscerti e che ti potrebbe aprire a tutta un’altra serie di ruoli. 

Da noi è più difficile perché noi non abbiamo personaggi simili. In Italia il ruolo di Sense8  me lo ha ricordato solamente qualcosa che ho visto in Gomorra. Altri, nel cinema italiano non ne ho visti.

Peraltro in Curon interpreti un ruolo quasi speculare a quella di Security. In entrambi i casi si tratta di due donne che cercano di proteggere i propri figli senza riuscirci del tutto. In più hanno un passato sentimentale destinato a ritornare. Mentre giravi il film di Chelsom questo parallelismo ti è saltato in mente?

Assolutamente sì, perché Curon c’era già stato. Di quel personaggio in Security c’erano delle cose, ma l’Anna di Curon sa che deve proteggere la sua prole da qualcosa di mostruoso che le abita dentro, mentre la Elena di Security è una mamma più distratta, molto più preoccupata dei suoi appuntamenti, dell’andamento delle sue storie d’amore; insomma, è una mamma più leggera mentre in Curon tutto è più tragico. 

Per colori, look e gagliardia fisica a me hai ricordato molto il ruolo interpretato da Sigourney Weaver negli ultimi film della serie dedicata ad Alien.

Sì, guarda,  me lo avevano detto per cui ringrazio anche te perché è un bellissimo complimento.  

Come nel Capitale umano anche in Security StephenAmidon racconta un tipo di società vittoriana, caratterizzata dai vizi privati e pubbliche virtù. Libro e film ci dicono  che ci dobbiamo prima di tutto proteggere da noi stessi e poi dagli altri. 

Non solo, mette bene in evidenza il bisogno di proteggerci mettendo le telecamere in casa, anche se poi siamo proprio noi a commettere le cose peggiori. In questo senso sì, è decisamente vittoriano. 

Quando reciti in lingua inglese cambia il tuo body language?

Per me più che la lingua è il personaggio a influenzare il corpo. In Made in Italy, come dicevi tu, interpretavo un personaggio morbido come quelli di inizio carriera, una giovane e tenera ragazza che fa innamorare. Era dunque naturale cercare una gestualità più leggiadra e, in generale, arrivare a muovermi nello spazio in maniera più aggraziato. Tutto questo ha a che fare più con il personaggio che con la lingua. Io poi sono stata fortunata perché ho vissuto tanto tempo negli Stati Uniti; quindi in Sense8 e in Made in Italy parlare in inglese mi risultava naturale come l’italiano. Voglio dire che non era qualcosa di diverso da me. Parlavo senza nessuna forzatura.

Per finire ti chiedo interpreti e film che prediligi?

Mi piace tantissimo Gena Rowlands e il cinema di John Cassavetes. Mi piacciono Chloe Sevigny, la regista Miranda July, suo marito Mike Mills Paul Thomas Anderson. Adoro Greta Gerwig e Noah Baumbach. Tra i film ti dico Lazzaro Felice, la filmografia dei fratelli D’Innocenzo. Tra i lungometraggio stranieri ho apprezzato Minari.

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Security

  • Anno: 2021
  • Durata: 112
  • Distribuzione: Vision Distribution
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Peter Chelsom
  • Data di uscita: 07-June-2021