Evento d’apertura del Festival del Cinema Tedesco, che si svolge dal 26 al 28 giugno 2021 alla. Casa del Cinema di Roma, il film Free Country di Christian Alvart è un giallo dai toni cupi e drammatici. Scritta dallo stesso Alvart (che è anche produttore e direttore della fotografia del film) insieme a. Sigfried Kamml, la sceneggiatura è un adattamento de La isla mínima, film spagnolo del 2014, scritto da Alberto Rodríguez e Rafael Cobos. Free Country è una produzione Syrreal Entertainment, Telepool e ZDF. È distribuito da Global Screen.
La trama
Meclemburgo, inverno 1992. Per risolvere il caso della scomparsa di due giovani sorelle in una. Germania da poco riunificata, arrivano sul posto due ispettori di polizia: Markus Bach, proveniente dall’ex Germania Est, e “l’occidentale” Patrick Stein. Costretti a una convivenza forzata, per l’indisponibilità di camere nell’albergo che li ospita, si fa subito chiara la marcata differenza di carattere, oltre che metodologica, nella conduzione delle indagini, ulteriormente complicate dall’indisponibilità a collaborare della popolazione locale. Allo scontro interno si aggiungono un’intricata rete di rapporti interpersonali tra gli abitanti del posto e atteggiamenti diffidenti verso le istituzioni che complicano la strada verso la soluzione del caso. Nonché l’emergere di inquietanti scheletri nell’armadio nella vita professionale di uno dei poliziotti.
Remake de La isla mínima
Considerato a tutti gli effetti un remake del film spagnolo La isla mínima del regista Alberto Rodríguez, nel film Free Country Christian Alvart sposta la storia dalle paludi del Guadalquivir alle lagune del Meclemburgo (il film è in realtà girato in Ucraina). Il paesaggio invernale visto dall’alto in campo lunghissimo ci appare come un reticolato inestricabile e congelato. Le genti di Andalusia del 1980, non ancora defascistizzate dopo la fine del franchismo, diventano i tedeschi di Pomerania e Meclemburgo. Che frastornati da un cambio di regime politico ed economico che non porta subito i benefici sognati, vengono proiettati nell’irrequietezza di un futuro incerto, se non nell’angoscia del sospetto di essere caduti dalla padella alla brace. Questo passaggio delicato della recente storia tedesca è tutto racchiuso nel rapporto speciale che s’instaura tra i due neo-colleghi. Uno abituato alle garanzie date per scontate negli stati di diritto. L’altro che queste garanzie le piega e le adatta secondo la tradizione metodologica del regime in cui ha fatto carriera. Già dal loro primissimo contatto, un corpo a corpo nella camera dell’albergo. Fortschritt (Progresso, dove troneggia alla parete lo slogan. ‘La classe operaia ci è cara’), sono chiari i termini del confronto e della collaborazione tra i due.
La carne viva della Germania
Ma più che alla dialettica tra pratiche da ‘fine che giustifica i mezzi’ e procedure ortodosse, nel film. Free Country Alvart concentra l’attenzione sui corpi riunificati delle due Germanie e sembra calare le lenti del microscopio sul punto di sutura tra le due parti. E lo fa col pudore e col timore di trovare segni di infezione o di rigetto nella carne. Lo fa prendendo a prestito i corpi dei due poliziotti, l’orientale Markus Bach (interpretato da Felix Kramer, visto in Dogs of Berlin e Dark, e che sarà presente alla proiezione del 26 giugno) e l’occidentale Patrick Stein (Trystan Pütter, Babylon Berlin). L’uno affetto da una malattia grave e indefinita che gli fa orinare sangue e lo fa svenire sotto la doccia in una scena molto generosa sotto il profilo della recitazione. L’altro spesso al telefono con la moglie in attesa della nascita di un figlio alla quale non potrà assistere. Un corpo morente che può forse salvarsi solo unendosi a un altro corpo fecondo, in un’operazione niente affatto pacifica.
Ossi und Wessi
Markus e Patrick stanno sempre a rimbeccarsi usando reciprocamente epiteti ancora in voga nella. Germania odierna e che possono avere sfumature e valenze simpaticamente beffarde o sgradevolmente offensive: Ossi e Wessi, e cioè tedesco che viene dall’Est (Ost) o dall’Ovest (West).
Da questo punto di collisione i conflitti tra i personaggi (tutti, anche quelli che non appaiono) si espandono a raggiera e ne lasciano i segni anche sui muri abbandonati (“Occidentali andate via!”) e nelle parole del giornalista che intercetta l’indagine di polizia, e che da questa viene inizialmente ostacolato nel suo lavoro. Parole che danno il titolo al film:
«Siamo in un paese libero adesso. Democrazia!»
Ciò che si vede non si vede o non è mai successo
Lo stesso giornalista assume poi un ruolo chiave quando occorrerà svelare un mistero legato a dei negativi fotografici in parte distrutti e illeggibili. Come in Blow-up di Antonioni, nel film Free Country quel che si vede in realtà non si vede o non è mai successo. Questa cosa ci porta dritti ad aprire ‘l’armadio con lo scheletro’ di uno dei due poliziotti, il cattivo, la Strega dell’Est. Quando al poliziotto “buono”, quello dell’Ovest democratico, viene riferito che il collega è coinvolto in un passato di torturatore della. Stasi, la famigerata polizia politica dell’ex Deutsche Demokratische Republik, questi non ci crede, sminuisce e taglia corto. Ma di fronte a evidenze fotografiche schiaccianti è costretto a ricredersi, scegliendo tuttavia di distruggere le prove in nome di un’unione che non prevede ripensamenti. Una partita a tennis senza palline e senza racchette.
Questo perdono di convenienza delle colpe del passato è l’unica strada per portare avanti un “matrimonio” necessario tra due popoli e tra due colleghi che, solo stando uniti e difendendosi a vicenda, potranno arrivare sulla vetta della soluzione del caso. E da lì guardare verso il futuro.
Una trasposizione accurata e densa di significato
Quella di Christian Alvart nel film Free Country è una trasposizione accurata e densa di significato in termini di storia recente della. Germania e di identità del suo popolo. Egli, non solo si dimostra un cineasta in grado di padroneggiare la regia nello specifico, ma dirige anche una fotografia eccellente che consolida la coerenza tra atmosfere, ambientazioni e racconto.
Il racconto, pervaso da un’inquietudine forse più tipica della narrazione post-apocalittica o distopica, presenta soluzioni architettoniche a volte fuori dagli standard, ma che lo riportano nell’ambito della narrazione storica, saldandone la struttura generale. La musica e i suoni cupi e vibranti fungono da contrafforti formali che aggiungono imponenza alla costruzione.
La prevalenza nei personaggi di aspetti ascrivibili maggiormente al campo della logica che non a quello dell’emozione abbassano un po’ la temperatura, ma non la godibilità generale del film.