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Conversation

Sul più bello. Conversazione con la regista Alice Filippi

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Presentato in anteprima ad Alice nella città,  e da qualche giorno on demand su Prime Video, Sul più bello di Alice Filippi mescola realtà e fantasia per  raccontare la voglia di vivere di una ragazza straordinaria.

Di seguito, la conversazione con la regista del film Sul più bello

Nella sequenza introduttiva, racconti l’ossessione di Marta desiderosa di sposare il principe azzurro. D’altra parte, rivelando che si tratta di una  pantomima organizzata dalla bambina e dai suoi amichetti, anticipi quello che è il punto di vista del film, che è ludico e insieme favolistico, basato su un forte senso della messinscena.

Sì, assolutamente, l’inizio sembra quasi una fiaba con questi bambini, uno più bravo dell’altro, che interpretano la versione fanciulla dei nostri protagonisti e che ci fanno subito entrare in questa atmosfera, perché tutti da piccoli hanno inscenato il loro matrimonio. Guardandoli, si ritorna un po’ indietro nel tempo, entrando all’interno di questo gioco, nei sogni che si facevano da bambini. Da subito esce fuori il carattere forte di Marta, disposta a spezzare l’incantesimo e con esso la sua sceneggiata, perché lo sposo non va bene e bisogna cercarne un altro.

Dicevi di come l’introduzione insceni qualcosa che siamo abituati a vedere. Così funziona anche la matrice autoriale all’interno del film, perché Sul più bello è anche l’interpretazione di un immaginario cinematografico con cui siamo cresciuti e dunque che siamo stati abituati a vedere.   

Proprio così, non posso aggiungere altro!

In effetti stiamo parlando della sequenza fondativa di tutto il film, quella in cui si creano le premesse narrative della storia stessa, con Marta impegnata a conquistare il principe azzurro. Peraltro Sul più bello ritornerà su quella scena alla fine della storia per mostrare gli esisti di questa complicata ricerca.

Sì, all’inizio si delinea già il carattere di Marta e la sua relazione che gli altri ragazzi. Ritrovarla dopo un po’ di anni con gli stessi amici ci fa capire quanto siano importanti  per lei queste persone e quanto siano state presenti nel corso delle sue sventure. Il matrimonio è un po’ il sogno di ogni ragazza, ma lei inizia a desiderarlo un po’ prima degli altri, proprio perché ha come una scadenza: a causa della malattia il suo orologio biologico è in anticipo rispetto a quello degli altri e quindi spera di riuscire a raggiungere questo suo sogno prima che sia troppo tardi.

Il modo in cui utilizzi la voce fuori campo rivela da subito che Sul più bello e’ una favola dai toni fiabeschi. Di cui però tu violi i codici di genere, perché, come dice Marta, il bruco non si trasforma in farfalla, perché Sul più bello afferma la necessità di credere in se stessi e di farsi forti di quello che si è.

Esatto! Non a caso l’impresa più grande è stata quella di trovare la protagonista perché avevamo bisogno di un’attrice brava, giovane e capace di rendere credibile il percorso del personaggio anche senza trasformare il suo aspetto esteriore. Ci siamo resi conto che se l’avessimo fatto il suo carattere non sarebbe stato così credibile. Saremmo caduti nello stereotipo che privilegia la bellezza alla personalità, così quando  ho visto entrare questa ragazza per fare il provino ho subito sperato che fosse anche brava. Mentre aspettava il suo turno, mi ricordo che  cercava una felpa e nel farlo era un po’ goffa e allo stesso tempo molto divertente. Speravo che sarebbe riuscita a esprimere il suo modo di essere frizzante anche durante il provino. Ludovica Francesconi aveva in natura il giusto equilibrio tra aspetto e carattere, perché  il suo personaggio doveva avere grande personalità e mostrarla nel suo modo di vestire e di rivolgersi alla vita.  Marta se vuole può essere bellissima, come quando la vediamo al supermercato e finiamo per innamorarcene. Il suo fascino dipende dal fatto che tutti noi ci sentiamo un po’ come lei e ci trasformiamo un pochino quando usciamo con l’uomo dei nostri sogni. A causa della sua malattia lei doveva essere molto magra; dunque, anche dal punto di vista fisico Ludovica incarnava tutto quello che mi serviva a livello di narrazione del personaggio.

Il lavoro scelto per Marta fa sì che gli uomini si innamorano di lei senza vederla di persona ma per   la voce suadente con cui, nascosta in una cabina del supermarket, annuncia ai clienti gli sconti più convenienti.  Anche questo particolare da solo  è  indicativo di quello che stiamo dicendo, e cioè che è un film in cui l’essere, la personalità e l’anima superano i limiti legati all’aspetto fisico o dettati dalle apparenze, dalle mode e dalle convenzioni sociali.

Assolutamente si. Quando ho letto la sceneggiatura, la scena nel supermercato mi è piaciuta subito e mi è venuta l’idea di mettere questa luce rossa perché era un po’ come se si accendesse l’on air alla radio.  Immaginavo quella di Marta simile a quelle radiofoniche che siamo abituati ad ascoltare e di cui immaginiamo il volto. Mi è piaciuta subito l’idea che in quel luogo Marta potesse atteggiarsi come se fosse tutt’altra persona e vivere una seconda vita.  Che poi è quello che accade quando passa dentro il supermercato, perché nessuno riconosce in lei la donna che presta la sua voce a quegli annunci. Anche il fatto che parte della conquista di Arturo da parte di Marta avvenga attraverso il medesimo escamotage, con la sua voce pronta a guidare il ragazzo all’interno del supermercato, l’ho trovato interessante, perché diverso dal modo usato dalle altre ragazze per fare colpo sul loro amato.

Parimenti alternativa è la famiglia formata da Marta e dai suoi due amici, Jacopo e Federica, entrambi gay. In essa l’amore e l’amicizia si lasciano dietro le questioni di genere e il rispetto delle tradizioni, con gli amici desiderosi di concepire un bambino per dare la possibilità a Marta di diventare zia prima che la malattia glielo impedisca. 

Mi è piaciuta l’idea di questa famiglia allargata, perché in generale si tratta di un’istituzione assegnataci dalla nascita, ma si  può’ anche scegliere come fanno i protagonisti del film. La loro amicizia all’interno di essa è così forte da essere consacrata dalla volontà un po’ folle di mettere al mondo un bambino. Anche perché Marta e Jacopo sono  gli angeli custodi di Marta anche per disposizione scenica. Federica sta sempre alla sua destra,  Jacopo alla sua sinistra per far vedere che ognuno di loro ha un ruolo ben preciso nella vita della protagonista. Federica è un po’ il papà, mentre Jacopo  la mamma: non per niente è lui quello un po’ più complice: è lui che l’accompagna a stalkerare Arturo e che nel matrimonio la conduce all’altare. Ci piaceva che  Marta non fosse sola, ma con  una famiglia molto presente.

Per i significati appena detti, l’importanza della voce all’interno della storia rimanda a una dialettica tra dentro e fuori, tra realtà e apparenza, tra come siamo e come veniamo visti, presente in tutte le fasi della vicenda. In questo senso la scenografia è la quintessenza del realismo sentimentale presente in Sul più bello: la presenza o meno dei suoi colori e gli oggetti di scena sono indicativi dello stato d’animo dei personaggi. Ancora è l’evidenza degli aspetti grafici a dare sostanza materica al concetto di apparenza

Quando ho letto la sceneggiatura di Sul più bello, ho immaginato un film  pop. Dunque, ho cercato di fare un lavoro in cui costumi, scenografia e fotografia stessero a stretto contatto tra di loro, perché intorno a Marta desideravo creare un mondo che fosse in qualche modo al limite dal realistico. L’universo del film ha un immaginario molto colorato e credibile nella sua realtà, pur spinto verso  il fantastico senza distaccarci mai da essa. Con queste modalità abbiamo sottolineato lo scarto tra l’opulenza della casa di Arturo e quella di Marta così ricca di colori. I costumi sono serviti anche per caratterizzare l’evoluzione del ragazzo che all’inizio si veste con dei colori molto seri come il blu delle camicie e delle giacche, mentre alla fine anche lui si ammorbidisce e lo vediamo più spettinato e con la felpa. Entrando un poco alla volta nel mondo di Marta, si alleggerisce svestendosi di quel di più rappresentativo delle pressioni dell’ambiente familiare.

A Marta piace fare le liste e la scenografia – quasi come in un romanzo decadente – accumula dettagli e oggetti che ne sembrano la traduzione. Lo stesso vale per le inquadrature, nelle quali a stratificarsi sono i  tanti riferimenti cinematografici. E’ così ?

Sì, devo dire che la scenografa,  Francesca Bocca, è stata bravissima, perché la casa di Marta è stata completamente ricreata: tutte queste tappezzerie, la ricchezza degli oggetti, così come di accessori e colori, si deve a lei. Francesca è riuscita a rispecchiare nella scenografia il carattere e la vitalità della protagonista. Questo dà un valore aggiunto alle inquadrature e alla sceneggiatura, perché riempie e fa comprendere il messaggio che volevamo dare.

Ci sono inquadrature in cui la scenografia commenta in modo esplicito il pensiero dei personaggi. Quando lei rimane contrariata venendo a sapere che i suoi amici cercano di avere un figlio, la carta da parati dietro è composta da una serie di occhi fuori dalle orbite, mentre sulla lampada compare a caratteri cubitali la scritta No.

È vero. Infatti ci era piaciuto molto il fatto di usare al contrario la lampada in maniera che la scritta On si leggesse No. Da lì è venuta anche l’idea di fare questa unica inquadratura: nel loro insieme, scenografia e personaggi erano così efficaci nel darci un ulteriore racconto delle loro vite da farci decidere che i primi piani avrebbero  tolto quello che ci poteva dare l’immagine di quell’insieme. Abbiamo girato la sequenza  più volte per avere il giusto ritmo, però secondo me è stata la scelta giusta, perché staccare su un primo piano toglieva anche quello che la scenografia ha dato alla scena in sé.

A proposito del carattere di Marta, esplicativa è la scena in cui, sentito il responso del medico, la ragazza si alza ed esce dalla stanza lasciando soli i due amici. Come a dire che sono gli altri ma non certo lei a preoccuparsi, tante sono le cose che ha ancora da fare.

Certo, agli amici che la vogliono proteggere lei vuole dimostrare di essere più forte di quello che credono. Dice loro, ok ci siamo occupati della mia salute ma adesso la vita va avanti e io devo fare un sacco di cose: non posso stare qua a perdere tempo, se volete preoccupatevi voi, io non ho tempo.   

Nel film fai ricorso a tutte le possibilità del linguaggio cinematografico. In particolare, i campi lunghi ti servono per mostrare la tenacia di Marta.  Vederla piccolina rispetto alla realtà circostante, ma, comunque decida ad andare, con passo sicuro e determinato, la dicono lunga sulla sua voglia di vivere. L’uso del grand’angolo ci dice invece l’obliquità con cui Marta si raffronta con la realtà.   

Abbiamo utilizzato delle lenti particolari che di solito non si usano nelle commedie. A noi piacevano,  perché capaci  di rendere  un po’ più particolare l’immagine di questo mondo. Schiacciata e un po’ distorta, l’immagine aiuta ad entrare in un universo non perfetto ma magico. Marta è piccolina rispetto allo spazio che la circonda, ma la determinazione della sua camminata  ci dice quanto sia tenace e propositiva.

Accennavi al contributo delle scelte fotografiche. A dominare è una colorazione iperreale con prevalenza dei blu, dei rossi e dei verdi attraversati, nella prima parte, da una luce calda e dorata che sul finale del film, quando la storia vira al drammatico, viene a mancare.

Con Emanuele Pasquet mi sono trovata benissimo. È un ragazzo con cui volevo lavorare già da un po’ e ha fatto un lavoro fantastico, perché siamo riusciti a rendere la  drammaticità della storia attraverso i colori. Nella  prima parte questo colore rappresenta per  intero la vitalità e la voglia di vivere  di Marta, per poi accompagnarci – come giustamente  hai detto –  nel momento più difficile della storia, quando la  malattia di Marta si acutizza. Anche con i costumi abbiamo seguito lo stesso principio, mentendone inalterato lo stile, ma abbassando i toni con il  marrone e il bordò nel momento più grigio e triste della storia, per poi ritornare ai colori più accesi sul finale. Anche con la scenografia abbiamo optato per  questi teli di pizzo tutti colorati che dessero colore all’ambiente  in fase iniziale. Con Emanuele  abbiamo fatto questo lavoro, in sintonia con il reparto scenografico, utilizzando queste tinte molto forti. Dopodiché, abbiamo virato  un po’ sui gialli  o sulla brillantezza dei colori.

La maniera in cui inquadri i corpi di Marta e Arturo è tale da evidenziare la smisuratezza del corpo del ragazzo   rispetto a quello piccolo e minuto della protagonista. In questo senso, il corpo di Arturo esprime una funzione di protezione nei confronti del corrispettivo femminile

In generale abbiamo sempre cercato la simmetria delle inquadrature, cercando una composizione della scena pulita ed equilibrata. Il fatto che Marta risultasse più piccola anche  rispetto a Jacopo sulle prime  ci spaventava;  poi abbiamo cercato di utilizzarlo come una forza, prevedendo  campi un po’ più larghi per creare l’effetto che dicevamo prima, in cui la forza di carattere di Marta emerge  dal modo deciso ed energico con cui affronta lo spazio che la circonda. Se penso a quando Marta decide di lasciare Arturo, i ruoli lì si invertono:, lui era molto alto e molto forte e sicuro di sé, ma in quella scena le posizioni si invertono e lui diventava quasi più piccolo di Marta.  Arturo non capiva cosa stava succedendo, mentre Marta ha preso un ruolo di forza e di grandezza in quel momento.

L’inversione dei ruoli non finisce qui, perché alla fine è Marta che mette il bigliettino di carta sotto la porta di Arturo, come  facevano i clienti del supermercato per tentare un approccio.

Sì, questo è un bel rimando ed è bello avere una sceneggiatura capace di mettere a frutto i piccoli dettagli disseminati lungo il percorso.  Qui a tornare è il dettaglio dei bigliettini lasciati a Marta dai suoi spasimanti. Alla fine tocca a lei scrivere quel bigliettino per farsi perdonare da Arturo.

Una delle caratteristiche di Sul più bello è quella di essere composto da paragrafi narrativi autoconclusivi, in grado di costruire delle vere e proprie microstorie, che da sole potrebbero dare vita a corti o mediometraggi. Da qui le ragioni di un film ricco di soluzioni e sempre pronto a rilanciare l’azione e la fantasia.

Questo mi riempie di gioia e ti ringrazio per quello che stai dicendo. Sai, uno è sempre un po’ critico verso se stesso e allora magari certe cose non le vede; dunque, mi fa piacere che tu mi dica questo. Sicuramente ho cercato in ogni scena di poterla rappresentare al meglio, ma se mi dici così sono contenta perché vuol dire che un po’ ci sono riuscita. Non avevo mai pensato a  questa cosa, però devo dire che mi fa molto piacere sentirmelo dire.

Da Santa Maradona a Sul più bello: a legare il tuo film a quello di Marco Ponti  è la visione di una città come Torino, opposta all’immagine drammatica e stacanovista con cui di solito il cinema descrive il  capoluogo sabaudo. 

Sì,  di solito viene ritratta in maniera ombrosa, quasi sempre immersa nella nebbia. Conosco bene Marco Ponti e credo che, essendo entrambi piemontesi, riusciamo  ad andare oltre le apparenze con cui di solito si rappresenta quella città.  Anche se abito nelle sue vicinanze, Torino per me è come casa: l’ho vissuta nella sua bellezza e nei suoi colori. Se c’è la nebbia sembra che ci sia solo la Mole, ma con il sole davanti agli occhi si apre la vista delle montagne  con la loro bellezza stratosferica.  Di solito la simmetria della città e le linee delle sue composizioni architettoniche vengono riprese per trasmettere la freddezza della ragione,  mentre secondo me invece il verde di Torino e i suoi colori la rendono una città molto viva e in grado di dare molto ai giovani. A favorire questa immagine contribuisce la Film Commission grazie alla sponsorizzazione di progetti che ne mostrano anche questi aspetti.

Per la sua urbanistica Torino viene spesso paragonata  alle città francesi, al punto che in taluni casi ha presto il posto di Parigi davanti alla mdp. Mi è sembrato che tu abbia preso spunto da questa suggestione per fare di Marta un epigona di Amelie Poulain. A parte il lungometraggio di Jean-Pierre Jeunet, altri modelli mi pare siano stati i teen dramedy americani. Parliamo dei modelli che ti hanno ispirato.

Io in realtà sono partita con dei riferimenti relativi ai toni della storia e dunque al tipo di ironia che è possibile ritrovare  in Little Miss Sunshine. Mi piace tantissimo Wes Anderson con la sua simmetria e la sua idea di composizione della scena e dell’immagine. Amelie Poulain è arrivata dopo il tagliare i capelli a Ludovica. Lei era arrivata con una capigliatura lunga, mentre noi abbiamo pensato che accorciarli l’avrebbe resa più simpatica e avrebbe messo in evidenza la grande personalità, perché se ci pensi per una ragazza tagliarli segnala il grande temperamento. I capelli lunghi  la rendevano impersonale, mentre il nuovo taglio e la frangetta l’hanno subito resa un personaggio con le caratteristiche che abbiamo detto.

Penso all’inquadratura che lei fai durante il pranzo di presentazione con i genitori di Arturo, in cui la sua faccetta vispa il cappellino e i vestiti colorati mi hanno ricordato il personaggio interpretato da Audrey Tautou.

Sì, certo, con il cappellino alla francese sembra un po’ lei.

Parliamo di Ludovica Francesconi: all suo esordio è sembrata per nulla intimidita, mettendo in mostra tutto il suo talento. Mi incuriosisce sapere come avete lavorato sul suo personaggio.

Io sono totalmente innamorata di Ludovica perché è stata bravissima. Abbiamo deciso durante il casting di aprire le porte a chiunque e lei, pur non avendo nessuna esperienza, ha fatto un provino strepitoso. La sua personalità mi ha immediatamente colpito. Ho visto subito in lei qualcosa di diverso e appena ha finito l’audizione le ho detto di fermarsi e di prepararsi per provare un’altra scena. Casualmente quel giorno c’era anche la ragazza che poi ha preso il ruolo di Federica, quindi ho avuto l’opportunità di vedere che come coppia  funzionavano bene. Con lei abbiamo fatto un grande lavoro sul personaggio. Prima di tutto abbiamo avuto una referente, la responsabile di pneumologia di Torino che ci ha revisionato la sceneggiatura e poi con lei Ludovica è stata una giornata in reparto per capire come funzionava la malattia, per capire quali erano le cure, come dovevano essere fatte e anche per constatare l’impatto della patologia sui pazienti.  Questo ci serviva, non per entrare nel profondo della malattia, ma per capire come potesse condizionare Marta, considerando che lei è nata con quella menomazione e quindi è abituata da sempre alle varie routine mediche. Da qui l’approccio positivo alla vita nella consapevolezza di vivere al meglio il tempo a disposizione.  Una grande soddisfazione è stata quando l’Associazione Italiana Fibrosi Cistica ha deciso di dare il patrocinio al film dopo averlo visto: parlando con il responsabile, anche lui affetto dalla stessa malattia, abbiamo saputo che il suo atteggiamento è lo stesso di Marta. Anche lui cerca di nascondere al resto del mondo il suo problema nel tentativo di avere una vita normale, sempre all’insegna  dell’allegria e della positività. Sono dunque contenta di aver trovato la strada giusta per raccontarlo.

Non era facile trovare il tono del film, perché da una parte c’era la possibilità di sottovalutare la malattia, dall’altra di fare una commedia fin troppo drammatica. Alla fine hai trovato un equilibrio perfetto.

I personaggi erano di per sé molto caratterizzati. Il nostro  compito è stato quello di abbassare i toni per evitare che questi diventassero delle macchiette e fossero rispettivamente il bello, la bella, la brutta, il gay, la lesbica. Devo dire che gli attori mi hanno aiutato molto: a parte Giuseppe Maggio e Eleonora Gaggero erano tutti alla loro prima esperienz,a perché anche Josef Gjura  nella parte di Jacopo, e Gaia Masciale in quella di Federica si erano appena diplomati, uno dallo Stabile di Torino l’altra alla Silvio D’Amico.

Giuseppe Maggio, anche lui molto bravo, era l’unico con una certa esperienza.

Lui è diventato noto grazie alla serie Baby, programmata su  Netflix. Devo dirti che è stato veramente molto bravo. Quando ha fatto il provino sono rimasta molto contenta. In più ha avuto la lungimiranza di arrivare al provino tagliandosi la barba che aveva da un set precedente. Questo  mi ha aiutato tantissimo nella scelta, perché lui è un po’ più grande rispetto agli altri, ma sbarbato e scompigliato in un certo modo secondo me ha funzionato. Lui è stato capace di entrare nel personaggio, limando quelle differenze che sarebbero state fuori posto all’interno della storia.

Ho saputo che il film l’hai venduto ovunque, soprattutto in America

Sì, è stato preso da un distributore estero che si sta occupando delle vendite estere. Non ho ancora la notizia ufficiale, ma stanno andando molto bene.

Mi puoi parlare del cinema che ti piace e che ti ha ispirato come regista, ma anche di quello che ti piace come spettatrice?

Ho iniziato come aiuto alla regia e ho lavorato tantissimi anni con Carlo Verdone e Giuliano Montaldo. Con Carlo ho iniziato con Il mio miglior nemico, poi ho avuto tre bambini e tra una cosa e l’altra ho deciso di scegliere un’altra strada e di prendermi il mio tempo per mandare avanti i progetti che volevo fare come regista. Con loro ho imparato tantissimo, per esempio cosa vuol dire avere il controllo del set e di tutte le figure che sono importantissime durante le riprese: non sono solo la scenografa, la costumista o il direttore della fotografia, ma  tutti quelli che contribuiscono alla ricchezza del film come gli attrezzisti, perché il film è fatto da una grande squadra. Nel cinema mi piace l’ironia e in tal senso Little Miss Sunshine è un film che mi piace tantissimo. Sviluppa con leggerezza temi molto importanti, facendo sorridere e commuovere gli spettatori. Quando ho letto la sceneggiatura di Sul più bello  ho pensato si potesse lavorare nella stessa direzione. Poi, ovvio, ci sono degli artisti che amo, come Wes Anderson, con il suo stile unico e irripetibile: di lui ammiro la composizione dell’immagine e l’uso e l’attenzione verso tutti gli elementi all’interno dell’inquadratura, anche perché secondo me più un regista è consapevole di tutto ciò che compone un’immagine, più è in grado di raccontare attraverso le l’interpretazione degli attori, ma anche degli elementi scenici. Se poi ti devo dire un film italiano che mi è piaciuto tantissimo, faccio un nome:  L’incredibile storia dell’isola delle rose di Sydney Sibilia.

Per quello che ci siamo detti e per quello mostrato nel film, tu sei senza alcun dubbio un’ autrice a tutto tondo. Lo sei alla maniera degli autori americani  e penso a Eastwood o a Scorsese, i quali lo sono a prescindere dal non aver firmato la sceneggiatura.

Io ho un po’ la visione del regista all’americana. In Italia il presupposto è quello di scrivere la sceneggiatura del tuo film. Questo non vuol dire che io non abbia nel cassetto delle storie che vorrei raccontare. Il mio primo film (’78 – Vai piano ma vinci, ndr) è tratto da una storia di mio padre che ho riscritto per il documentario. Certo in fase di presentazione è più facile proporre un film scritto da te, però  ciò che conta è la capacità di ognuno di plasmare con il proprio immaginario il testo scritto. Rispetto al medesimo  libro il mio immaginario non sarà mai uguale al tuo  e questo succede anche quando si tratta di metterlo in scena.  Nonostante io non l’abbia scritto quella di Sul più bello è diventato completamente mio, perché dopo averli diverti e sviscerati i personaggi sono diventati del tutto miei. Per il documentario ho dovuto chiedere aiuto a uno sceneggiatore, perché mi sentivo troppo legata ai miei personaggi e ho sentito il  bisogno di un filtro capace di farmene prendere un po’ le distanze. Avere una sceneggiatura non mia mi dà molta più libertà di vedere la storia.

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  • Anno: 2020
  • Durata: 87
  • Distribuzione:
  • Genere:
  • Nazionalita:
  • Regia:
  • Data di uscita: 21-October-2020