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Conversation

Conversazione con Antonio Capuano, regista de Il Buco in Testa

Ne Il buco in testa Antonio Capuano racconta un percorso di catarsi privata e collettiva in cui il confronto con il passato è la chiave per vivere il presente

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Presentato in anteprima al Torino Film Festival e dal 20 maggio nella sale italiane, distribuito da Eskimo in collaborazione con Altri Sguardi,  Il buco in testa  di Antonio Capuano, racconta un percorso di catarsi privata e collettiva, in cui il confronto con il passato è la chiave per vivere il presente.

Del film abbiamo parlato con il regista Antonio Capuano.

 

Il buco in testa è un film diviso in due, come due sono le anime delle protagonista

Sì, in realtà le anime di Maria sono molteplici, perché lei è nata sconvolta, impazzita dalla nascita per via di questo buco in testa che non le fa trovare pace. E poi chissà qual è la sua vera anima. Antonia, a cui è ispirato il personaggio di Teresa Saponangelo, mi ha detto che l’ha trovata dopo aver incontrato l’assassino del padre poliziotto, ucciso durante gli scontri di una manifestazione nella Milano degli anni 70.

Dunque, hai conosciuto la donna le cui vicende sono raccontate ne Il buco in testa?

Con Antonia non ci siamo mai incontrati, perché lei si scansava sempre un po.’ In compenso, abbiamo fatto lunghissime chiacchierate, durante le quali lei era finanche allegra.

La versione che ne dà la Saponangelo è allo stesso tempo molto presente, ma anche sfuggente. Maria è una donna irrequieta e sola.

Tra le altre cose aggiungerei anche  molto dolce, come lo può essere un’anima  sconvolta e direi offesa.

Paradossalmente, Maria dice  al suo spasimante di non  trattarla con dolcezza, perché questo le ricorda le dinamiche usate  dalla persona che ha abusato di lei quando era bambina.

Dice: “Per le cose che mi hanno fatto da bambina”. Sai bene che oggi queste storie sono all’ordine del giorno. Purtroppo la realtà ci dispensa le sue problematiche con una crudeltà inenarrabile. Siamo circondanti dalla violenza.

Dal punto di vista visivo, l’introduzione de Il buco in testa suggerisce due viaggi paralleli: uno è quello che da Napoli  porta Maria a Milano, per incontrare il militante di estrema sinistra che le ha ucciso il padre. L’altro invece ha come destinazione ultima la capitale partenopea. Tutto questo a suggerire  due diverse spinte emotive della protagonista. La prima di apertura verso il mondo esterno e il confronto con esso. La seconda volta ad affrontare i fantasmi che le permetteranno di fare il grande passo, portandola a conoscere Guido, l’assassino del genitore.

La trovo una splendida lettura. Mi piace, perché  va oltre le apparenze e scava nel profondo della storia che ho voluto raccontare. In effetti, Maria ha il coraggio di fare il viaggio nella sua testa e alla fine di questo percorso ritrova gli occhi di lui. E’ così bello quello che stiamo dicendo che se ne potrebbe fare un corto. Che bellezza (ride, ndr).

I dualismi e le contrapposizioni che emergono nel corso del film hanno anche matrice sociale, perché da una parte abbiamo il nord progressista e industriale, quello in cui la gente del sud emigra nella speranza di trovare i mezzi per mettere in piedi una vita dignitosa; per contro, c’è il meridione con le difficoltà tipiche delle questioni irrisolte.  La famiglia di Maria  emigra nella speranza di sottrarsene. Rispetto a un quadro del genere, Il buco in testa aggiunge un altro tassello, dimostrando che né uno, né l’altro offrono vie di salvezza.

Infatti, non è vero, entrambi i modelli sono fallimentari. Siamo pieni di ombre, tutte le vite ne hanno. Non riusciamo, non dico a toglierle, ma neanche ad attenuarle, ad alleggerire. Le ombre continuano a perseguitarci.

Nel film le  ombre si materializzano attraverso due diversi tipi di guerre civili.  In entrambi i casi ci sono delle vittime: quelle cadute sotto i colpi degli anni di piombo e altre, che continuano a cadere  per le logiche della criminalità organizzata. Ne Il buco in testa l’Italia è un paese in cui non si è mai finito  di combattere.

Sì. bisognerebbe finalmente fare pace. Io lo dico da laico. Invoco infatti un pentimento laico, pudico e bellissimo. Bisogna riuscire a incontrarci per fare pace, anche se poi la prima cosa da fare è farla  con se stessi. Quanti di noi non riescono a trovare tregua. Maria, alla fine del suo viaggio, riesce a farlo  con se stessa e con la vita. Perché come mi ha detto anche Antonia è stato l’incontro con l’altro a cambiare la sua esistenza. In una telefonata mi confessò che due mesi dopo essere tornata da Milano aveva trovato  un ragazzo e si sentiva pronta a sposarsi. Se ci pensi è incredibile, si tratta di un cambiamento incredibile e miracoloso.

Il  rimosso non fa sparire lo svolgimento dei fatti, ma ne muta la maniera in cui si torna a guardarli.  Anche dopo il suo viaggio, Antonia non dimenticò mai la sua storia, ma iniziò a vederla con una luce, con una luminosità e una colorazione nuova e vitale. Se prima era così oppressiva e terribile, quella realtà riusciva  addirittura a pensarla. Ci si era talmente calata dentro, era andata cosi in fondo a quel pozzo nero, che da li è cominciata la sua risalita. E’ laggiù che ha incontrato la verità: gli occhi di lui stanno laggiù. Da quel momento in poi il ricordo degli stessi avvenienti cambia, diventando assolutamente luminoso.

Mi sembra che il buco in testa riassuma alcune costanti del tuo cinema. Per esempio il fatto di parlare di ferite innanzitutto psicologiche. E’ possibile affermare una cosa del genere?

Ah beh, sì, ma certo, le ferite più gravi sono quelle che lavorano nella profondità dell’anima. D’altronde, io sono pur sempre un tragico greco. Come tu sai, mi sono sempre collegato a questa forma di tragedia. Dunque la tua è un’affermazione coerente a quello che è stato ed e il mio percorso.

Ricordando anche un film come Pianese Nunzio, 14 anni a Maggio, a tornare è anche quello più scabroso legato alla pedofilia. Il buco in testa se ne occupa,  seppur con una collocazione meno centrale. La questione dell’infanzia violata è sempre stata al centro della tua poetica.

Assolutamente, è presente anche in questo film. Se ricordi, nella scena in cui lei è in macchina con il poliziotto,  Maria sentenzia che il mondo è una chiavica e, all’uomo che le suggerisce di restare leggera perché sta andando a divertirsi,  Maria risponde:  “ma tu che sei un poliziotto, che ne pensi di tutti questi femminicidi?”. Cioè, anche in un momento di spensieratezza, il ricordo di ciò che è stato è sempre dentro di lei. Non riesce ad arrendersi all’allegria che in quel momento dovrebbe avere.

Continuando a parlare di riferimenti, nel film c’è il rapporto con la figura paterna ancora una volta complesso e conflittuale.

Non è un caso se lei va a fare l’amore con un poliziotto. Ho cercato di rendere questo fatto in maniera non didascalica, perché a me non piace sottolineare più di quanto sia necessario; però, se si riflette, è un particolare indicativo su quanto mi hai chiesto.

Desiderata da molti, lei sceglie di fare l’amore con il poliziotto, rappresentante di quell’auctoritas riconducibile alla figura paterna.

In quella scena sono stato molto combattuto su farlo vestire da poliziotto o meno. Mi sembrava troppo didascalico fargli indossare la divisa, così ho scelto di farlo apparire in abiti civili.

Tanto lei desidererebbe avere un padre, tanto Guido, il personaggio interpretato da Tommaso Ragno, viene rifiutato dal proprio figlio

Ma certo che sì.  Quello è il nostro rifiuto all’eredità dei padri. All’epoca c’è stata una lotta infame contro il padre e contro i professori.

Paradossalmente, a essere rifiutata è una figura come quella di Guido appartenente a una generazione che inneggiava all’uccisione dei padri. Ciò che gli capita è un vero e proprio contrappasso.

E’ quello che ti stavo dicendo. A quei tempi si inneggiava all’uccisione dei padri e dei maestri. Al contrario, Maria vuole stare con il padre, lo cerca disperatamente.

Come tuo solito, adotti un registro interpretativo assai variegato, per cui, ne Il buco in testa,  ci sono delle sequenze come quella all’interno della palestra/teatro di stampo documentarico, e altre, come quelli in cui vediamo Maria insieme alla madre e all’altra donna, che sembrano rifarsi alla tradizione del teatro di De Filippo.  E’ cosi, oppure no?

Come no, è così. Poi devo dire che in generale sono contro la recitazione, contrario all’attore che recita. Egli deve essere. Se ha talento, riesce a dare seguito a questa metamorfosi, ma ci sono quelli che non sono capaci di farlo e così iniziano a recitare con risultati penosi. Quelli che invece ci riescono diventano il personaggio. Teresa Saponangelo  diventa Maria, Tommaso Ragno è Guido e questo è meraviglioso. Parliamo di uno straordinario mestiere che ti consente di evadere da te per diventare altro. A tutti gli attori e le attrici dico sempre che fanno un lavoro meraviglioso, ma per riuscirci ci vuole talento. Senza di quello non c’è niente da fare.

Durante la conferenza stampa di presentazione al Torino Film Festival, Teresa si è ricordata di quando, tornata a lavorare con me, io mi rivolgessi a lei scontento perché non riuscivo a riconoscerla: “Ma che ti hanno fatto durante questo tempo, con chi hai lavorato?” le dicevo. Le parlavo così sul set, apertamente e davanti a tutti. Aveva avuto questa cattiva educazione per cui l’ho ritrovata abituata a recitare. E’ una pessima cosa perché l’attore deve essere. Io sono Maria, io sono Guido, io sono Riccardo III, Io sono Amleto. Il mantra è questo.

In base a quello che mi hai detto, ti chiedo dunque come hai diretto quelli de Il buco in Testa.

Tommaso, per fare il film è dimagrito tantissimo, circa 40 kg. Mi ha chiesto di incontrarlo e appena l’ho visto ho pensato che questa sua grande energia l’avrei voluta portare dentro il film. Rispetto a quell’incontro è dimagrito ancora di più, arrivando sul set più bello che mai. A questo proposito mi ha mandato una foto circa due settimane fa, in cui è ancora più snello. Ora sta ricevendo complimenti da tutti.

In qualche modo tu e il tuo film siete riusciti a indicargli una strada e un immagine nuova.

Sì, e lui me ne dà merito.

Per bellezza, carisma e talento, Tommaso Ragno è un attore immenso, da cinema americano

Sì,  è bellissimo. Appena arrivato sul set, mi ha chiesto di provare il suo personaggio ed è rimasto stupito quando gli ho detto che io non faccio mai prove. Il set comincia alle 15? Ebbene, noi siamo lì a quell’ora e da quel momento si inizia. Tutti insieme. Compreso gli operatori delle luci e gli altri tecnici. Iniziamo a girare e nel corso della singola ripresa parliamo. A Tommy ho detto di non farsi condizionare da quelle righe scritte che non sono il Vangelo, per l’amor di Dio. Non ci castriamo non ci meccanizziamo. 

Dunque, per te, la scelta degli attori è la fase più importante e delicata?

Ah, sì, per me è fondamentale. La Saponangelo, come tu sai, la conosco da un po’ e da quando ho pensato di fare il film su Antonia, buon anima, avevo sempre in mente lei. Considera che il suo è un ruolo molto difficile.  Teresa è una grande attrice! Il cinema italiano non la conosce, ne ignora la grandezza.

Il buco in testa, lo conferma perché la sua è davvero un’ interpretazione  complessa, in cui lei riesce a rimanere sempre dentro il personaggio.

Sul set e davanti alla mdp, lei dava vita ogni volta alla metamorfosi, per cui l’attore diventa il suo personaggio. Davanti a questa magia non facevo altro che emozionarmi e non riuscivo a dare lo stop. Quindi entravo in campo e la baciavo. Comparivo davanti alla telecamera con le lacrime agli occhi. Non scherzo.

Parlavi di trasfigurazione. Nel tuo film questo riguarda anche l’aspetto fisico, perché lei sembra addirittura ringiovanita.

Hai visto, quello è il talento della metamorfosi e nello specifico dell’essere diventata Maria. E’ una cosa che non si può spiegare ma che si può raggiungere.

Nel film mi è piaciuto molto l’uso del colore. In particolare del rosso, utilizzato con tono acceso e iperreale e quasi nascosto, come a segnalarne la presenza nel profondo dell’animo dei tuoi personaggi. Un fiume carsico, simbolo di ferita e di vendetta.

E’ il rosso del sangue. Tieni conto che la vista del sangue è determinante. Ci impressiona da piccoli e ancora da adulti, quando esce dal naso o da un taglio.  Si trema, ci si emoziona, se ne ha paura. Pensa al posto che ha nei sacchi di Alberto Burri, per non parlare dei rossi di Tiziano.

Per finire, volevo chiederti del cinema che ti piace e su cui ti sei formato.

Mi piace il cinema a cominciare da L’arrivo del treno  (ride, ndr) e a quei due registi francesi che ci hanno detto di far muovere le immagini per riuscire a raccontare una storia. Il buco in testa comincia con la stessa immagine de L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, ma credimi, io non ci avevo pensato e poi, poco dopo, mi sono venuti in mente I fratelli Lumiere, da cui la dedica a inizio del film. Poi sono legato a tantissimo cinema, ma nel farti un nome ho paura di scordarmi tutti gli altri. Sono troppi i film della mia vita. Il cinema mi piace tutto, Mi piace quando si spengono le luci e vieni preso per mano dalla storia. Il film però deve scorrere, altrimenti sono uno spettatore che si alza e se ne va. Se l’attore per esempio sbaglia registro mi alzo e abbandono la sala. E’ più forte di me.

Ti posso chiedere almeno il titolo dell’ultimo film bello che hai visto?

E’ stato quello di Pietro Marcello, Martin Eden. Quello me lo sono goduto fini all’ultima immagine, 

 

 

Il buco in testa di Antonio Capuano

  • Anno: 2020
  • Durata: 95
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Antonio Capuano