LOVECRAFT COUNTRY: la bella serie tv ispirata al grande autore horror
Atticus Freeman, un giovane uomo di colore, viaggia attraverso gli Stati Uniti segregati negli anni ‘50 alla ricerca del padre scomparso. Scoprirà oscuri segreti che si intrecciano nella città, in cui il famoso scrittore ha ambientato molte delle sue storie fantastiche.
Atticus Freeman torna dalla guerra in Corea per scoprire che il padre è scomparso. Decide allora di partire alla sua ricerca insieme ad una sua ex fiamma e allo zio: troverà orrori indicibili. La serie è disponibile sull’on demand di Sky, in onda su Sky Atlantic.
Può un’opera prodotta da JordanPeele e J.J. Abrams essere meno che eccellente? LOVECRAFT COUNTRY è un prodotto situato esattamente a metà tra l’orrore razzista del regista di US – NOI e la sapiente costruzione ad incastri dell’autore di LOST e ALIAS: un serial dalla superfice patinatissima che nasconde vertigini di senso e che mira a raggiungere la dimensione, per temi e portata, del pur inarrivabile WATCHMEN del sodale Damon Lindelof dello scorso anno.
Misha Green propone allora uno script particolarmente originale che parte dall’horror (anche se il bardo di Providence è più un nume tutelare che una componente della trama) per prendere interessanti derive di genere. I traumi interiori del protagonista Atticus Freeman –nomen omen– vengono da lontano e lui li trasporta nella sua patria al ritorno dalla guerra, quando nel profondo e razzista New England partirà sulle tracce del padre scomparso verso geografie che si richiamano all’opera di H. P. Lovecraft.
Un road movie incastrato in uno slasher che fa da cornice ad un racconto sulle leggi etniche: ecco cos’è alla fine LOVECRAFT COUNTRY, un complesso quadro dell’America anni ’50, intrappolata da derive chiaramente razziste. E proprio come WATCHMEN, Green parla del passato per raccontarci il presente: sono gli States di Jim Crow quelli che vengono messi in scena, quella del “separati ma uguali”, delle scuole e dei luoghi e dei mezzi pubblici separati per bianchi e neri, quella terra che fino al 1954 solo grazie alla Corte Suprema dichiarò, tardivamente, incostituzionale la segregazione razziale.
L’incipit della serie è spiazzante e cattura subito: una scena lisergica che miscela gli orrori della Guerra di Corea con i mostri di Providence, con un salto improvviso nella realtà di Atticus che, tornato nel suo paese, trova una strana lettera del padre che lo spinge a partire per la sua ricerca.
Una ricerca la cui prima tappa è Ardham (assonante con l’Arkham dello scrittore Lovecraft), e il cui sentiero sarà un continuo passaggio tra reale e fantastico, mentre i confini si slabbrano e la scrittura si rivela preziosa e sottile, saccheggiando a piene mani dai generi -ovviamente l’orrore, ma anche la fantascienza, il thriller, passando per lo slasher e il gore- con un solo obiettivo: inserire un sottotesto importante e fondamentale quanto fondante ad una patina di intrattenimento che è gioia per gli occhi e per la mente, con personaggi approfonditi e mai scontati, un’introspezione che (come Abrams insegna) svela i misteri che avvolgono la trama, tutto calato in una messa in scena perfettamente calibrata ed equilibrata a dispetto delle apparenze.
LOVECRAFT COUNTRY mostra come si possa declinare il sistema tematico all’interno di una solissima struttura narrativa, con un impulso socio-culturale che dà identità al genere e alla serie stessa. Per questo, per quanto possa essere tangibile la presenza sia di Peele che di Abrams, Misha Green è abilissima a maneggiare quella crasi, quel cortocircuito tra spettacolo e sfogo intimo, a volte con iperboli surreali, a volte con un tratteggio in punta di penna dei caratteri. Confermando, come ogni buon horror che si rispetti, che i mostri sono ben altri che quelli assetati di sangue umano.
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