Su Netflix ‘LOST’, la serie più bella della storia
i passeggeri del volo Oceanic 815si ritrovano coinvolti in un disastro aereo e finiscono su un'isola misteriosa. Sarà solo l'inizio di un viaggio misterioso nella storia, nel tempo e nei concetti di Bene e Male
Lost è un serial creato nel 2003 ed inizialmente andato in onda in Italia su RaiDue, adesso disponibile sulla piattaforma Netflix.
Lost non è una serie tv.
Nel senso che lo è, ma ne trascende i limiti e i significati: è anche ma non soprattutto il serial hitchcockiano per eccellenza. È impossibile trovaci una sequenza, anche una piccola inquadratura di raccordo, che non abbia qualcosa da dirci, che non sia fondamentale alla totalità dell’opera.
Mai come in questo caso, J.J. Abrams ha interpretato la filosofia di sir Alfred Hitchcock della emotion picture, ovvero l’ “emozione prima di tutto”. Lost è ormai parte della cultura occidentale.
LA STORIA DEL SERIAL CHE HA FATTO STORIA
L’aereo 815 da Sidney a Los Angeles cade in mezzo all’Oceano Pacifico: i 42 sopravvissuti trovano rifugio su un’isola (?) deserta (?); sbagliato e cattivo raccontare di più sulla trama. Lost (letteralmente, persi) è il terzo nato dall’enfant prodige J. J. Abrams, autore in passato dell’anonimo Felicity e del mitologico Alias -100 episodi di intrighi e colpi di scena dosati con abile introspezione psicologica e intensi sotto testi come dolori della crescita, mutevolezza della realtà ed instabilità del presente-, nonché pietra angolare della serialità in tv e non solo.
Ogni reduce dalla lost experience si accorgerà che qualsiasi cosa abbia visto prima e dopo suonerà come incredibilmente ingenuo. Forse si può partire a capire qualcosa in più su LOST proprio dalla sua frase di lancio, “niente accade per caso”: ed è così.
Lost è creata da J. J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, prodotta da ABC ed andata in onda dal settembre 2004 al maggio 2010, per un totale di 114 episodi distribuiti in sei stagioni. Definita più volte e non senza un motivo la serie più importante o la miglior serie tv mai realizzata, Lost ha cambiato il paradigma non solo della serialità, ma della progettualità narrativa audiovisiva, e della percezione stessa di uno show televisivo, arrivando ad essere non più un prodotto di (altissimo) intrattenimento ma una pietra angolare filosofica e tematica, una vera e propria esperienza emotiva. Lost è una mitologia, un universo, un modo di approcciarsi alla televisione e alla narrativa, colmo di suggestioni, riferimenti artistici, echi esoterici e culti misterici.
HEART SHAPED BOX
È un’opera – puzzle, un puzzle che rappresenta un universo. Ci sono centinaia di migliaia di piccoli pezzi e sta a noi formare la figura. A volte alcuni pezzi si incastreranno bene, senza problemi, altre volte non si troverà mai la forma giusta da far combaciare. Tante altre volte, per completare l’immagine, dovremmo invece usare un po’ di noi stessi. E la cosa più bella è che il disegno acquisterà più senso, più valore, e darà più emozione, non soltanto allontanandosene nello spazio per guardarlo da lontano, ma anche e soprattutto allontanandosene nel tempo: il ricordo del tempo passato a guardarlo, a viverlo, a formarlo, sarà un plus valore inimmaginabile che nessun altro serial ha dato o darà mai.
Perchè in definitiva, di cosa parla Lost? Lost parla di noi. Parla di cosa è bene e cosa è male. Si parla dell’esperienza umana e della bellezza implacabile della natura. Parla di religione, spiritualità, morale, oscurità, speranza e rabbia. In definitiva, dopo più di un’attenta visione, appare chiaro che Lost parla di ogni cosa. Non c’è aspetto della vita che non venga in un modo o in un altro trattato. E non c’è tipo umano che non sia presente e non abbia uguale dignità. Così come non esiste in Lost un aspetto trattato superficialmente o lasciato al caso, un pensiero espresso che sia privo di significato.
UNA SCATOLA DI SCHRODINGER
Cercando di delineare i confini grammaticali della serie, poi, torniamo come sopra su Hitchcock. Perché almeno in un punto, Abrams lo supera. Secondo il genio autore di Psycho è una scatola chiusa di cui non si conosce il contenuto ma che affascina proprio per questo. Anche se alla fine non contiene nulla. Così, proprio il McGuffin sembra trovare il suo paradigma perfetto in Lost, o meglio nella prima stagione di Lost.
I mille misteri che affiorano dal fitto della giungla dell’isola sembra non abbiano altro scopo che farci appassionare alla storia, e mentre l’ansia per il loro svelamento cresce crediamo che niente potrebbe essere congegnato talmente bene e con talmente tanta perfezione da reggere la rivelazione dopo un’attesa così spasmodica. Sbagliato: dopo la visione dello sconcertante season finale della seconda stagione. Un cliffhanger dopo l’altro, un gioco di scatole cinesi costruito con ogni singolo episodio, che ribalta quanto detto prima e/o ne amplia il senso.
LE SCATOLE CINESI
Si vive assieme e si muore soli, è per questo che i misteri svelati dopo 114 episodi non sono cose messe lì per tappare una falla, ma ingranaggi di un meccanismo più grande che si incastrano l’uno con l’altro in un affresco affascinante quanto impervio. Addirittura, impossibile giudicare Lost se non dopo l’ultima puntata della sesta stagione: perché Lost è un’architettura perfetta e perfettamente equilibrata, che ha un suo inizio, un suo svolgimento e una fine essenziali l’uno per l’altra, con una chiave di lettura ben precisa che non è rivelata se non nell’ultimissima puntata.
Lost ha un equilibrio interno che si rivela perfetto anche nelle sue simmetrie: flashback, flash forward, contemporaneità e alt-reality, sono tutti tasselli di un puzzle grandioso che come e forse più di Twin Peaks ha cambiato per sempre la percezione del serial televisivo e delle potenzialità del medium. Non una serie tv: ma un’esperienza, insomma.
J.J. Abrams miscela abilmente la paura dell’ignoto con un’avventura mozzafiato, colora di sapori nuovi i Miti del Novecento mentre ci offre una perfetta, postmoderna, stupefacente rilettura del Nuovo Millennio che affonda tra le sue incertezze, le paure ancestrali e i sensi di colpa kafkiani, il rimorso ed il rimosso. E ci rendiamo conto, alla fine, che in questo mare siamo tutti persi.
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