fbpx
Connect with us

BlackLivesMatter

Dalla Blaxploitation ai giorni nostri: cinquant’anni di cinema afroamericano

Un viaggio nel cinema black americano dal periodo della blaxploitation e dell’orgoglio nero sino ad oggi, con l’ultimo Spike Lee e gli horror di Jordan Peele

Pubblicato

il

Nel panorama del cinema afroamericano esiste una pellicola che può essere considerata uno spartiacque fra “il prima” e “il dopo” l’avvento del Black Power e la stagione dell’“orgoglio nero”. Stiamo parlando di Sweet Sweetback’s Baadasssss Song film indipendente diretto, scritto, sceneggiato e prodotto nel 1971 da Melvin Van Peebles.

Melvin Van Peebles e la Blaxploitation

In Sweet Sweetback’s Baadasssss Song Van Peebles, con un montaggio veloce e l’uso insistente della macchina a mano, narra le vicende del giovane Sweetback (interpretato dallo stesso regista), un orfano cresciuto in un bordello e che, diventato adulto, viene arrestato e picchiato con l’accusa, infondata, di avere ucciso un uomo. Incarcerato, Sweetback riuscirà a scappare e da quel momento, inizierà la sua fuga disperata.

Melvin Van Peebles, padre di Mario Van Peebles, anch’egli regista di fama internazionale, aveva realizzato l’anno precedente un delizioso film dal titolo L’uomo caffelatte (dal significativo titolo originale Watermelon man, appellativo con cui venivano chiamati sprezzantemente i neri, considerati solo come grandi mangiatori di angurie).

Prodotto dalla Columbia, L’uomo caffelatte è un film grottesco che ha come protagonista un bianco particolarmente razzista che improvvisamente, una mattina, guardandosi allo specchio, si ritrova nero. Disperato, non accettando questa sua nuova condizione, dovrà sperimentare sulla propria pelle tutte le discriminazioni a cui i neri erano sottoposti quotidianamente, sino a prendere coscienza della sua nuova identità razziale entrando a far parte delle Pantere Nere.

Significativamente il ruolo del protagonista in L’uomo caffelatte era stato affidato a Godfrey Cambridge, attore di colore che in tutta la prima parte del film è truccato da bianco. Quasi un modo per vendicarsi di quel cinema delle origini in cui i neri venivano interpretati da attori bianchi con il volto annerito dal nerofumo (come accade, ad esempio, in Nascita di un Nazione (David W. Griffith, 1915) o ne Il cantante di jazz (Alan Crosland, 1927).

Queste pellicole di Melvin Van Peebles, oltre a essere, purtroppo, ancora oggi piuttosto attuali, hanno avuto il merito di aver portato sullo schermo le istanze dei neri americani in un momento di particolare fermento per tutta la comunità. Era infatti il periodo a cavallo fra i Sessanta e i Settanta, anni in cui raggiungeva il culmine il Black Power con il movimento delle Pantere Nere. Iconica, a tal proposito, l’immagine della premiazione a Città del Messico di Tommie Smith e John Carlos, i due velocisti di colore che alzarono il pugno guantato di nero, simbolo delle Black Panthers, al suono dell’inno nazionale americano.

Sweet Sweetback’s Baadasssss Song fu considerato il capostipite di quel genere noto con il nome di Blaxploitation, termine con il quale si fondevano i termini black (nero) ed exploitation (sfruttamento).

Si trattava di film a basso costo, realizzati da cineasti per lo più neri – ma con qualche eccezione – e destinati a un pubblico di colore.

Tant’è che il film di Van Peebles uscì, riscuotendo un grande successo di pubblico, solamente in due città, Detroit e Atlanta. Due città simbolo per tutta la comunità afroamericana. La prima, nel 1967, vide una una delle più sanguinose rivolte della storia americana, scaturita dall’arresto di ottantadue afroamericani appartenenti alla United Community League for Civic Action. Gli scontri con la polizia portarono alla morte di trentatré persone. Per contro Atlanta era il luogo natale di Martin Luther King, assassinato a Memphis nel 1968.

I film della blaxploitation, da un lato erano la risposta dei neri al mondo hollywoodiano e, in generale alla cinematografia bianca che, sin dagli albori del cinema, aveva utilizzato i neri sullo schermo rappresentandoli, spesso, con accezioni negative.

Dall’altro rappresentavano un modo per la comunità nera di parlare di sé e di affermare il diritto di fare cinema senza dover per forza essere asservita al sistema delle major. Si trattava infatti di film indipendenti, a basso costo e politici nel senso più nobile del termine.

La blaxploitation non ebbe vita particolarmente lunga. Nel giro di pochi anni esaurì la sua spinta propulsiva. Ma ebbe comunque la forza di rendere visibile la comunità nera grazie a pellicole che univano l’azione all’esaltazione di eoi ed eroine afroamericane dal carattere forte, indipendente e decisamente sexy.

Dopo il film di Van Peebles, a decretare definitivamente il successo del genere, fu Shaft il detective, film del 1971 di Gordon Parks e interpretato da Richard Roundtree, nonché i film con protagoniste due star del genere: Tamara Dobson in Cleopatra Jones: licenza di uccidere (Jack Starrett, 1973) e Pam Grier in Coffy (Jack Hill, 1973); Foxy Brown (Jack Hill, 1974) e Sheba, Baby (William Girdler, 1975).

Foxy Brown

La protagonista del film, la giovane e bella Foxy Brown, che ha visto il proprio uomo ucciso da una band di spacciatori e sfruttatori di prostitute, si finge a sua volta una prostituta per infiltrarsi nell’organizzazione per sgominarla e vendicare la morte del fidanzato. Verrà però scoperta e catturata, ma riuscirà a scappare e a rivolgersi alle Pantere Nere che la aiuteranno a portare a termine il suo piano.

Al di là della trama semplice, tipica dei film d’azione di quel periodo, Foxy Brown fu uno dei maggiori successi della Blaxploitation. Fu anche uno dei primi film ad avere come protagonista una donna nera, dura, intelligente e, soprattutto, vincente.

Pam Grier e Foxy Brown divennero due icone della comunità black, tanto che, negli anni, diverse furono le citazioni del film. Ad esempio in Girl 6 – Sesso in linea (1996) di Spike Lee la protagonista immagina di interpretare Foxy Brown. O, ancora, in Jackie Brown (1997), Quentin Tarantino volle omaggiare la Blaxploitation e la stessa Pam Grier chiamandola a interpretare il ruolo della protagonista.

Dopo la Blaxploitation

Con la fine della Blaxploitation il cinema afroamericano tende a farsi inglobare dallo star-system hollywoodiano.

Esistono, tuttavia alcune pellicole indipendenti come, ad esempio, i documentari di William Greaves fra i quali The Fighters (1974) sul primo combattimento fra Muhammad Alì e Joe Frazier del 1971, valido per la corona mondiale dei pesi massimi e vinto da Frazier.

O, ancora, i film di Robert Townsend e di Spike Lee, giovane filmmaker di colore, a quel tempo studente presso la New York University, che realizza, nel 1982, Joe’s Bed-Stuy Barbershop: We Cut Heads, il suo primo lungometraggio.

Spike Lee

Spike Lee è stato certamente il regista che ha permesso al cinema afroamericano di aprirsi al cinema più di massa.

Lo ha fatto con Lola Darling (1986), un bianco e nero ambientato a Brooklyn in cui la giovane Lola (Nola nella versione originale) è una giovane artista di colore.

Indipendente e disincantata Lola vive contemporaneamente e con naturalezza tre diverse relazioni sessuali e sentimentali. Alla fine a emergere sarà la sua totale indipendenza: sceglierà uno dei tre uomini ma, contemporaneamente, deciderà di vivere la propria vita in maniera completamente libera.

La carriera di Spike Lee abbraccia ormai oltre trent’anni di cinema in qualità di regista, attore e produttore. Con film a tematiche varie ma che spesso hanno al centro argomenti quali il razzismo, i rapporti interrazziali, le droghe, la violenza.

Dopo Lola Darling

Acclamato con Fa’ la cosa giusta (1989), bellissimo film sui rapporti interrazziali, Lee ha lanciato in Mo’ Better Blues (1990) – film sul jazz e sul mondo che vi ruota intorno – Denzel Washington, che è diventato uno dei più acclamati attori di colore.

Lee lo vorrà ancora al suo fianco in Malcom X (1992), pellicola sulla vita del famoso leader afroamericano che alterna sue immagini a quelle, drammatiche, del feroce pestaggio di Rodney King, avvenuto a Los Angeles nel 1991 da parte di alcuni poliziotti.

Del 2018 è tornato sui temi del razzista con il bellissimo BlakKklansman (2018) in cui un poliziotto di colore convince un suo collega bianco a infiltrarsi nel Ku Klux Klan non potendo, per ovvi motivi, farlo egli stesso.

Infine, nel 2020 approdando direttamente su Netflix a causa della pandemia da coronavirus, Lee ha fatto uscire la sua ultima fatica. Da 5 Boods ritorna sul tema caro a molto cinema americano della guerra in Vietnam, con cinque veterani afroamericani che ritornano nel paese asiatico per cercare le spoglie di un loro superiore e per recuperare un tesoro nascosto.

Il cinema afroamericano oggi

È innegabile che Spike Lee abbia permesso al cinema black di fuoriuscire dal “ghetto” nel quale stava sprofondando all’inizio degli anni Ottanta. Tuttavia ha involontariamente un po’ oscurato altri cineasti afroamericani altrettanto validi.

Tra questi i più conosciuti sono Mario Van Peebles che rifacendosi alla lezione del padre e della Blaxploitation ha realizzato film interessanti come New Jack City (1991) o il quasi sconosciuto in Italia Panther (1995). Oppure John Singleton  reso famoso da Boyz N The Hood (1991) e Bill Duke, autore noto soprattutto in ambito televisivo.

Per arrivare a tempi recenti con registi come Lee Daniels e Jordan Peele.

Il primo è l’autore di Precious (2009), film sulla progressiva presa di coscienza di sé stessa di Precious Jones, ragazza di colore obesa, semianalfabeta, violentata dal padre.

Successivamente Lee Daniels realizzerà di The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca (2013) che narra la vicenda di Cecil Gaines, maggiordomo di colore alla Casa Bianca per oltre tre decenni, interpretato da un intenso Forest Whitaker.

Jordan Peele, dal canto suo, con Scappa – Get Out (2017) e, successivamente, con Noi (2019), riprende le venature horror nella cinematografia black introdotte anni prima dal regista britannico Bernard Rose con Candyman – Terrore dietro lo specchio (1992). In particolare Peele utilizza il film di genere per denunciare il razzismo ancora profondamente radicato nella società americana.

Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers