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Black Lives Matter. I film sul razzismo che ogni bianco dovrebbe aver visto nella vita

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Black Lives Matter film. Di questo ci possiamo occupare in questa rivista dove per scelta parliamo solo di cinema. In un momento storico in cui il movimento afro americano é sotto i riflettori di tutto il mondo, ripercorriamo le pellicole che hanno parlato meglio di altre di razzismo e intolleranza

Il futuro dei negri

“Il futuro dei negri in questo paese è precisamente tanto luminoso od oscuro quanto il futuro del Paese. E’ tutto nelle mani del popolo americano che deve scoprire, nel proprio cuore, perché è stato necessario creare il “negro”. Perché io non sono un negro. Io sono un uomo” .
Sono quest le parole di James Baldwin  nel documentario del 2016 I am not your negro di Raoul Peck.
Il regista, attraverso  l’incompiuto scritto dell’attivista, ricostruisce e spiega le dinamiche dell’odio razziale.

Il razzismo sottile o diretto?

Il razzismo, sottile o diretto, è sempre stato un’argomento centrale del cinema.
Il punto è che, proprio questa “differenza”, tra sottile o diretto rischia di aprire e non chiudere un discorso arduo da portare avanti.

E’ diretto, e atroce nella sua manifestazione, in film come Detroit di Kathryn Bigelow. Dove il confinare l’individuo nel suo colore della pelle e non nella sua persona finisce per rendere l’odio razziale un’azione di violenza gratuita e giustificata.
Detroit è un pugno allo stomaco in cui la regista mostra il brutale assassinio di tre afroamericani per mano di tre poliziotti fomentati dall’odio razziale e il conseguente, orribile, processo alla fine del quale gli agenti escono assolti. La ricostruzione fatta dalla Bigelow è volutamente diretta e spietata nel far rendere conto allo spettatore fino a che punto l’odio possa generare orrore.
Fino a dove l’odio può far dimenticare di avere davanti un altro essere umano.

Django di Quentin Tarantino e la rivolta del negro da campo

E’ quello che accade nel sadico Calvin Candie di Tarantino in Django Unchained. Talmente ossessionato dai suoi schiavi dall’arrivare a parlare dell’inferiore intelligenza delle persone nere e della loro biologica sottomissione rispetto alle altre creature della Terra.
Ma mentre Tarantino, con il suo stile, riesce a farci disprezzare Candie appurando che il suo sadismo abbia delle cause psicologiche, non è ciò che avviene nella visione di Se la strada potesse parlare.

Fonny

Tratto dall’omonimo romanzo di James Baldwin, Se la strada potesse parlare di Barry Jenkins racconta la vicenda di Fonny  accusato di stupro da parte di un poliziotto. Un’ accusa che si dimostrerà infondata ed architettata dalla condizione sociale degli anni ’70. Il ritmo del racconto, la colonna sonora, rendono l’ingiustizia subita ancora più difficile da comprendere ed accettare. La pellicola però, è animata dalla relazione e dell’amore tra Fonny e Tish, una ventata di commozione che , in qualche modo, dà speranza al sopruso a cui si assiste.

C’è un sentimento di frustrazione ad accompagnare queste pellicole, che siano tratte da una storia vera o inventate, una frustrazione provocata da ciò in cui il cinema riesce meglio ovvero la partecipazione e l’identificazione.

La sconfitta della giustizia

Quanti non hanno lottato assieme ad Atticus Finch e non hanno sofferto con la piccola Scout nell’assistere  ad un processo che, purtroppo, sembrava perso in partenza.
Il sentimento che aleggia in Il buio oltre la siepe di Robert Mulligan  è quello di sconfitta. L’accusato, Tom Robinson, si presenta arreso, conscio di perdere. E tutto quello che accade nel film è sottolineato da questa sensazione. Non è giusto, non bisogna arrendersi, ma Robinson sa che il suo destino è segnato.

Non sono il tuo Negro

La questione del colore, quella di cui Baldwin ha saggiamente discusso in I am not your negro, è la “condizione” che determina reazioni ingiustificate o imbarazzanti.
In Indovina chi viene a cena? di Stanley Kramer, la candida Joey presenta ai suoi genitori l’uomo che intende sposare. Non c’è alcun problema per la coppia  finchè non vedono John. I Drayton, genitori aperti e liberali, rimangono sorpresi. A completare la sorpresa sarà la reazione dei genitori dell’uomo, i quali mostreranno gli stessi dubbi di Christina e Matt Drayton.
Indovina chi viene a cena? è un film del 1967 ma il suo messaggio, i suoi personaggi e le loro reazioni sono reali, profonde e, soprattutto, analizzate. Il merito di questa pellicola, ancora oggi visionata e discussa, è la capacità con cui la sceneggiatura mostra la doppia faccia del contesto razziale. Basandosi su dialoghi serrati e approfonditi, i Drayton e John conducono lo spettatore in una riflessione sulla discriminazione.

Per quanto l’imbarazzo sia, forse, comprensibile, non lo sono le ingiustificate azioni ai danni di Richard Loving e Mildred Jeter. Loving di Jeff Nochols, è tratto dall’incredibile storia vera dei due protagonisti, costretti ad una lunga battaglia legale conclusasi con l’appello alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. Azioni per noi, che viviamo nel 2020, ingiustificate ma che allora lo erano nella Virginia del 1958.

Quando Spielberg parla di razzismo

Ed è quanto di più crudele non possa subire Celie in Il Colore Viola di Stephen Spielberg, una strada di sofferenza, segnata da violenza fisica, psicologica alla quale la donna sopravvive solo grazie al pensiero di rivedere un giorno l’amata sorella. Concentrandosi sulla sua protagonista, e sulle altre donne che la circondano, Spielberg mostra i segni, interni ed esterni, della violenza, e il suo racconto è un dramma esistenziale che espone le reazioni interiori di chi è costretto a subire.

La normalitá delle donne di un ceto piú abbiente

Sembra non ci sia modo per mettersi nei panni di chi è vittima di razzismo.
Eppure basta porsi in condizione di ascolto come in qualsiasi situazione della vita in cui si voglia crescere.
E’ in qualche modo ciò che accade con le donne di The Help di Tate Taylor. Donne che passano la loro vita a prendersi cura delle case e dei figli di altre donne appartenenti ad un ceto più abbiente. Quest’ultime talmente abituate a non prendersi cura della loro vita da aspettarsi che siano altre a farlo e che sia fatto bene e senza pretendere dignità o riconoscenza perchè nella loro “normalità” non gli è dovuta.

Il razzismo in Gran Torino

Ma la condizione di ascolto è lampante ed efficace in uno dei capisaldi di Clint Eastwood: Gran Torino.


Walt Kowalski, un uomo arrabbiato con il mondo, odia tutti. Tra questi “tutti” ci sono i suoi vicini di casa, asiatici, che chiama musi gialli. La vita però è strana, e fa avvicinare Walt a Thao, il ragazzo che prova a rubargli la Gran Torino. Il resto della pellicola è storia del cinema e il vecchio Clint insegna che la conoscenza è alla base di tutto.
Walt Kowalski entra a far parte della vita di Thao, e Thao lo lascia entrare nella sua sua. C’è una reciprocità, uno scambio tra i due che dimostra, a discapito di quello che i fanatici della razza ancora sostengono, che la differenza tra le persone è nulla.

 

La storia di Derek

Derek di American History X , interpretato da un grandioso Edward Norton, ha messo tutto il suo odio e il suo credo nelle mente e nel corpo. Lo skinhead, macchiatosi di orrori, ha scontato tre anni di prigione in cui ha subito violenza fisica e psicologica. Paradossalmente l’unico conforto è arrivato proprio da coloro per cui prova un’avversione. La brutale pellicola, violenta e serrata, sconvolge lo spettatore nel vedere quanto l’ideologia razzista diventi in Derek e dopo in Danny una fede e come questa spinga l’essere umano oltre l’incomprensibile. Sono incomprensibili le azioni di Derek e lo sono quelle che subisce. Lo spettatore non sa con chi schierarsi. E’ turbato da ciò che vede, e forse questa è l’unica reazione possibile al razzismo.

Black Lives Matter: il credo di Spike Lee

Se c’è qualcuno che più di tutti ha raccontato personaggi, fatti ed ambienti per i quali ancora oggi in America, e in tutto il mondo, si manifesta alle parole Black Lives Matter, quel qualcuno è Spike Lee.
Spike Lee ha sempre portato sul grande schermo messaggi rappresentativi della sua cultura. Non nascondendosi davanti alle sue scelte, spesso condannate per la sincerità con cui venivano professate, Lee dagli anni ’80 in poi ha decantato il mondo afroamericano rendendolo mondiale. I toni ironici di Fa’ la cosa giusta, il biopic Malcom X , Bus in viaggio, il cortometraggio Jesus Children of America e i recenti BlacKkKnsman e DA 5 Bloods-Come fratelli. Qualsiasi stile adotti, Spike Lee è un regista innamorato del suo “mondo”, e la sua insistenza nel volerlo trasporre sul grande schermo è necessaria per chi non si arrende a giudicare il suo prossimo come diverso.

Dal 2016 al 1915: Nascita di una Nazione

Se volessimo dare un’inizio al tema del razzismo nel cinema, non potremmo che dare la data 1915. Nascita di una Nazione di David Wark Griffith, racconta la storia delle famiglie Cameron e Stoneman. Finita la Guerra civile, il Sud viene sconfitto ed è controllato dal Nord. Nel clima del controllo nordista, nasce il Ku Kux Klan il quale aveva il compito di proteggere la razza bianca e controllare la nera. Il film di Griffith, che ha indubbiamente regalato alla storia del cinema sequenze indimenticabili come la battaglia di Gettysburg o l’esodo dalla città di Atalanta, è una pellicola razzista. Non c’è un’altra parola per descriverlo, è volutamente un elogio della razza bianca a discapito di quella nera.
E sebbene siano passati più di cento anni, si stenta ancora a credere che, nonostante l’essere umano si sia in molti aspetti evoluto, esista al mondo chi ancora abbraccia quest’elogio.

 

Altri film sul razzismo:
American History, Get out, Soldato blu, The Believer, Fai la cosa giusta, Un uomo chiamato cavallo, Nascita di una NazioneSelma, Malcolm X, Zootropolis, A spasso con Daisy, Intolerance

 

 

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