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Su Netflix The Eddy, la mini serie di Damien Chazelle con ancora la musica al centro del suo spartito visivo

Dopo i successi di Whiplah, La La Land e Il primo uomo, Damien Chazelle debutta su Netflix con una miniserie, The Eddy, che mette ancora una volta la musica al centro del proprio interesse. Nel farlo il regista americano si rifà a luoghi e personaggi delle opere precedenti, proponendoli all'interno di un contesto più drammatico e maturo

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Di Damien Chazelle è noto l’amore per la musica come pure il fatto che prima di intraprendere la carriera da regista il nostro abbia tentato di fare fortuna in campo musicale. Deve essere forse il rimpianto di non esserci riuscito, insieme alla voglia di esorcizzarne in qualche modo la mancanza, fatto sta che la filmografia del regista non smette di arricchirsi di nuovi capitoli aventi sempre il medesimo tema, ovverosia la musica e il suo universo. La questione è così centrale nel cinema di Chazelle da poter dire che i personaggi e le storie dei suoi film altro non siano che un’estensione figurata delle note con cui il regista ogni volta riempie il suo spartito visivo.

The Eddy, la sua ultima fatica, potrebbe esserne l’ennesima conferma. Se, per un attimo, ci si dimentica del fatto che si ha a che fare con una miniserie (scritta da Jack Thorne) prodotta da Netflix, e in quanto tale regolata dai principi delle produzioni seriali (suddivisione in puntate, esasperazione della continuity narrativa, forte empatia dei personaggi) quella di Chazelle – coinvolto anche in veste di produttore – è una regia (dei primi due episodi) così marcata, così personale, da trasmettere la sua visione anche nei contributi dei colleghi (Houda Benyamina, Laïla Marrakchi, Alan Poul) che ne hanno condiviso l’impresa.

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Se il locale da cui la serie prende il titolo è il centro del progetto, quello da cui tutto inizia e al quale finisce sempre per ritornare, sia nei singoli episodi che nell’economia dell’intera storia, a ritagliarsi la parte del leone è, per l’appunto, il personaggio di Elliot Udo (Andrè Holland, da poco visto in High Flying Bird di Steven Soderbergh), ex jazzista newyorkese impegnato a fare dello spazio in questione uno dei centri di riferimento della vita musicale parigina. Assodato che i film di Chazelle sono il risultato di un’urgenza innanzitutto autobiografica, qui, come in La La Land, lo spunto narrativo assume la forma di un vero e proprio transfert, perché fin dal principio si capisce che gli sforzi e anche i pericoli (fin da subito, infatti, la trama assume le forme di una vera crime story) assunti per resistere alla difficoltà e non chiudere il locale non sono il frutto di una semplice scommessa imprenditoriale, ma il tentativo di tenere in piedi il sogno di vivere per e con la musica. Un po’ come fa Chazelle attraverso le regie dei suoi lavori e con la proposizione di personaggi (ad eccezione de Il primo uomo), uomini ma anche donne, come dimostra il peso della presenza di Joanna Kulig nella storia), capaci di realizzare sullo schermo ciò che a lui non è riuscito nella vita reale.

Nel farlo Chazelle si serve, anche in questa occasione, di una messinscena nata dalla reinterpretazione dei lavori precedenti e riproposta con una nuova veste. In The Eddy il regista americano ripropone molti dei luoghi e delle situazioni già affrontati nel proprio cinema, a cominciare dal rapporto tra arte e vita, esplicato nella difficoltà di conciliare gli egoismi della prima con le fragilità della seconda. Anche qui, infatti, la ricerca della performance, artistica ma anche materiale, si scontra con una serie di variazioni sentimentali che non riguardano solo l’affetto tra Elliot e Maja, complici nella musica così come nel privato, ma anche le  relazionali amicali (con i vari componenti del gruppo) e genitoriali, essendo una parte della storia incentrata sull’articolato rapporto del protagonista con la figlia sedicenne (Amandla Stender, vista tra le altre nella serie Hunger Games), trasferitasi a Parigi per stare vicino al genitore separato dalla madre.

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Se Chazelle rinuncia a una quinta da grande cinema (quella alla La La Land tanto per intenderci), optando per uno stile più libero e in certi tratti anche documentaristico, sul tipo di Guy and Madeline on a Park Bench (il suo film d’esordio), poiché volto a valorizzare gli inserti musicali, presentandoli come esibizioni (di Maja/Kulig e della band che ne accompagna la splendida voce) on live, The Eddy si profila come il lavoro più maturo del regista, quello in cui le responsabilità della vita entrano in campo nella loro drammatica ordinarietà. A differenza de Il primo uomo, dove la morte aveva già fatto capolino, in The Eddy la stessa non solo colpisce laddove lo spettatore meno se lo aspetta (in questo caso la prime due puntate riservano colpi di scena non da poco), ma lo fa spogliandosi della mitologia con cui spesso Hollywood e lo stesso autore l’aveva trasposta. Si potrebbe dire, dunque, di trovarsi di fronte a un regista diventato finalmente adulto e consapevole, se non fosse che l’Elliot di Andrè Holland è la quintessenza del classico personaggio chazelliano, irrisolto e ondivago per il troppo sentire e in special modo per una capacità d’amare imperfetta, come lo è quella di tutti i protagonisti del cinema di Chazelle. La frase che Joanna rivolge a Elliot, “Quando non suoni sei un macello”, è la stessa che ogni spettatore potrebbe indirizzare alla maggior parte dei personaggi creati dal regista ed è quella che questi ultimi devono tenere a mente addentrandosi nell’universo di The Eddy.   

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  • Anno: 2020
  • Distribuzione: Netflix
  • Genere: Musicale, Drammatico
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Damien Chazelle, Houda Benyamina, Lalla Marrakchi, Alan Poul
  • Data di uscita: 08-May-2020