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Approfondimenti

Pasolini e l’esordio nel cinema: Accattone e Mamma Roma

Fu Federico Fellini a spronare Pier Paolo Pasolini a esordire come regista, anche se poi pare che si sia ritratto, forse poco convinto delle sue capacità. Così lo scrittore iniziò a dirigere nei primi anni '60

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Pier Paolo Pasolini è senza dubbio uno degli intellettuali italiani più importanti del Novecento. È conosciuto soprattutto per il suo impegno nel cinema, ma quando esordì nel 1961 con Accattone era già ben noto per la sua attività di scrittore. Negli anni ’40, infatti, era attivo come poeta e negli anni ’50 raggiunse il successo con opere di narrativa quali Ragazzi di vita. Nei suoi romanzi di quel periodo si intravedono già molti di quelli che saranno i temi portati sullo schermo, soprattutto nella prima fase di carriera cinematografica. Le periferie, le borgate di Roma, un mondo di giovani che vivono di espedienti; impossibile non pensare ad Accattone e Mamma Roma.

Quando passò alla regia cinematografica non era completamente inesperto come diceva qualcuno all’epoca, condizionato probabilmente dal suo stile sperimentale.  Da sempre appassionato di cinema, negli anni ’50 collaborò come sceneggiatore in vari film. In quel periodo era comune avvalersi dell’apporto di intellettuali e scrittori per la realizzazione di soggetti e sceneggiature e questo valse anche per Pasolini, che lavorò con registi come Mario Soldati, Mauro Bolognini e, soprattutto, Federico Fellini.

Partecipò alla sceneggiatura di Le notti di Cabiria e in una fase della lavorazione si aggiunse agli sceneggiatori di La dolce vita, anche se non fu accreditato. Per quest’ultimo film aveva proposto una serie di idee che furono poi scartate, come l’inserimento di un personaggio femminile più complesso di quelli già presenti, non accettato perché troppo simile alla figura di Marcello; ma alcune sue idee furono adottate, come il particolare fondamentale del quadro di Morandi nella celebre scena del dialogo tra Marcello e Steiner. Fu proprio Fellini comunque a spronare Pasolini a esordire come regista, anche se poi pare che si sia ritratto, forse poco convinto dal suo sguardo registico. Così passò alla regia nei primi anni ’60.

Con Accattone, Pasolini si distacca dal neorealismo e assume uno sguardo pittorico

Decise di non portare sullo schermo il proprio racconto La commare secca, che lasciò in seguito all’amico e vicino di casa Bernardo Bertolucci (che fu anche aiuto-regista proprio nell’esordio di Pasolini), ma si dedicò a un progetto originale: Accattone. Come detto in precedenza, però, molti elementi di questo film sono riscontrabili nei suoi romanzi e racconti precedenti. Alla sua uscita alcuni lo considerarono come un prolungamento del Neorealismo, osservando l’ambiente popolare, le condizioni di povertà, i luoghi reali, gli attori non professionisti o poco conosciuti, lo sguardo sui giovani, ma Pasolini in realtà aveva preso una strada ben diversa.

Non ricercava la verosimiglianza e non era intenzionato a una lettura delle classi popolari. Il suo sguardo, come lui stesso disse, era figurativo più che cinematografico; ed è per questo che il suo stile sorprese molti. Aveva in mente gli affreschi di Giotto e Masaccio. La macchina da presa per lui rappresentava lo sguardo dello spettatore che si muove su un dipinto e ciò lo tradusse con le panoramiche a stazioni, chiamate così proprio per quel motivo. Le inquadrature spesso erano frontali, usava molti primi piani e tendeva a togliere profondità, anche grazie all’utilizzo di luci non realistiche, con forte illuminazione per rimandare agli sfondi aurei e alle figure schiacciate della pittura duecentesca.

Scelse il bianco e nero e l’accompagnamento di musica classica come commento autoriale; Mozart, Vivaldi e soprattutto Bach, spesso partiva proprio dalla sua musica per immaginare il racconto. Dato il suo grande interesse per il linguaggio, mescolò dialetti popolari a linguaggio letterario e a reminiscenze dantesche (come nel caso di Mamma Roma). Quindi il suo stile si distaccava molto dal Neorealismo; partiva sì da ambienti e racconti popolari per poi però aggiungere elementi inverosimili e riferimenti visivi e musicali “alti”. Ricercava l’astrazione dalla realtà.

Mamma Roma e la rilettura dell’Italia post ’45

Nel suo secondo film, Mamma Roma, confermò i suoi tratti stilistici, con riferimenti pittorici ancora più evidenti; nella prima scena c’è un rimando dissacrante a L’ultima cena di Leonardo, mentre nel tragico finale cita il dipinto de Il Cristo morto di Andrea Mantegna. In questo film però ci fu una sostanziale novità; in Accattone Pasolini aveva scelto solo attori alle prime esperienze, per buona parte fu così anche per Mamma Roma, con l’eccezione della protagonista, la celebre Anna Magnani. La Magnani in quel periodo era un’icona che rimandava al passato (fu uno dei suoi ultimi ruoli) e Pasolini la scelse per questo.

Mamma Roma è anche un’analisi della società italiana di quel momento e della sconfitta dei valori della Resistenza; il personaggio di Mamma Roma ha vari collegamenti con il personaggio di Pina di Roma città aperta. Il tentativo fallito di uscire dalla propria condizione per conquistare l’agiatezza piccolo-borghese rappresenta per Pasolini il fallimento dei valori dell’Italia post-guerra e la rovina portata dal consumismo. Però i rapporti tra il regista e la Magnani sul set non furono buoni, perché ciò che chiedeva Pasolini era totalmente diverso dal suo modo di recitare. A lui serviva una “figurina”, un simbolo che apparisse nella bidimensionalità delle immagini, ma fu impossibile “ingabbiare” l’esuberante attrice. Una cosa che infastidiva particolarmente Pasolini era il gesticolare con le mani della Magnani e spesso ricorse ai primi piani e ai piani medi per eliminare il problema.

L’importanza dei luoghi

Fondamentale nel cinema, negli scritti e nelle idee di Pier Paolo Pasolini erano anche i luoghi e il paesaggio. Varie scene di Mamma Roma si svolgono in un’area ai margini dei nuovi palazzoni costruiti nello scenario urbano, in cui si trovano rovine antiche; quei momenti sono sottolineati dalla musica di Vivaldi. Qui si offre quindi una riflessione sul paesaggio, sia concettuale che estetica; la bellezza dell’antichità è posta in contrasto alla bruttezza della modernità. Riflessione che tornò poi in altri film e cortometraggi del regista.

Andrea Vassalle

Pier Paolo Pasolini: il suo cinema tra accattoni e vangeli a 100 anni dalla sua nascita

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