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Film da Vedere

La legge del mercato di Stéphane Brizé, con Vincent Lindon

Un tagliente ritratto del mondo del lavoro contemporaneo, dove non c’è spazio per la retorica: Stéphan Brizé con La legge del mercato ci convoca non solo a ripensare la drammatica deriva attuale, ma anche a rimodulare le categorie attraverso cui leggere le istanze del reale. Palma d'oro a Cannes per Vincent Lindon

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La legge del mercato (La loi du marché), un film del 2015 diretto da Stéphane Brizé. Con la direzione della fotografia (in cinemascope) di Éric Dumont, le scenografie di Valérie Saradjan e i costumi di Ann e Diane DussaudLa legge del mercato conta sull’interpretazione dell’attore Vincent Lindon, circondato da un cast di attori non professionisti. In concorso al Festival di Cannes 2015, La legge del mercato viene così spiegato dal suo regista: «I miei film hanno sempre parlato di qualcosa di intimo che mette in relazione l’uomo con l’ambiente sociale in cui vivo. Il passo successivo è stato quello di osservare la brutalità dei meccanismi e degli accordi che disciplinano il nostro mondo mettendo in evidenza l’umanità di un individuo in una situazione di precaria violenza nella nostra società. Ho scritto la sceneggiatura con Oliver Gorce, che conosco da molto tempo ma con cui non avevo mai lavorato prima. La sua analisi e il suo sguardo verso i temi sociali e politici sono molto forti e si è rivelato il compagno di viaggio ideale per La legge del mercato». Con Vincent Lindon, Karine Petit de Mirbeck, Matthieu Schaller.

Sinossi
Thierry ha 51 anni e non ha più un lavoro. Stanco di lottare contro la fabbrica per cui lavorava, che ha delocalizzato, si impegna con tutto se stesso in corsi di formazione e colloqui di lavoro, tra umiliazioni e false speranze. Dalla sua ha una moglie che ama, e un figlio altrettanto caparbio nel voler continuare gli studi malgrado la disabilità. Quando finalmente l’impiego arriva, Thierry si trova di fronte a un dilemma morale: cosa si è disposti ad accettare per conservarsi un lavoro?

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Un tagliente e istantaneo ritratto del mondo del lavoro contemporaneo, dove non c’è spazio per la retorica, per la messa in scena canonica di un dramma, in quanto la materia trattata non necessita di alcun orpello o chiosa da inserire a piè di pagina: Stéphan Brizé con La legge del mercato innesca una lungimirante sospensione del tragico (non attraverso l’ironia, ma con l’interruzione della messa in scena, ridotta al minimo), che viene collocato in un fuori campo assoluto, da dove riverbera su ogni fotogramma. Il suo è uno sguardo quasi documentaristico (il direttore della fotografia Éric Dumont proviene dal documentario), si posa sui corpi con una rigorosità entomologica, tracciando una topologia dei rapporti in cui a emergere è la sostanziale mancanza di solidarietà dei soggetti, coinvolti in un processo di dis-individuazione che isola e indebolisce, favorendo il prosperare delle politiche di sfruttamento.

Vincent Lindon circola all’interno del film con il volto impietrito, lo sguardo fisso: il suo corpo si muove negli spazi sconnessi della postmodernità, continuamente braccato da una macchina da presa che lo tallona come se fosse l’ultimo testimone di una civiltà in via d’estinzione. ‘Il discorso capitalista’ – per dirla con il gergo lacaniano – ha prodotto una mutazione antropologica devastante e resistere, anche solo parzialmente, al processo di sussunzione comporta un costo altissimo sul piano umano e sociale.

Non si perde tempo, siamo immediatamente scaraventati in situazione, senza fronzoli, mentre Thierry (Vincent Lindon) dialoga con il responsabile dell’agenzia di collocamento che cerca di accampar scuse per giustificare la stupida scelta di aver fatto sostenere un inutile stage da gruista a quindici persone (tra cui lo stesso Thierry), non avvertendole che, non possedendo un’esperienza pregressa ‘a terra’ in un cantiere, non sarebbero mai state prese in considerazione da alcun datore di lavoro.

Montaggio pressoché nullo, macchina a spalla che sta addosso ai personaggi, uno stile che ricorda quello dei fratelli Dardenne, anche se qui non c’è pedinamento ma un’ostinata fissità di sguardo che fa emergere in tutta la sua gravità la circostanza denunciata, senza drammatizzazioni ulteriori, evidentemente non necessarie. Non ci sono contrappunti musicali, né carrelli, ma solo il volto di uomo che vive l’umiliazione di doversi adattare, alla sua età, a qualsiasi tipo di offerta di lavoro, perché è stato licenziato dopo vent’anni di servizio da una società che, pur essendo in attivo col bilancio, per ridurre i costi di produzione ha deciso di dislocare la propria azienda in un altro paese.

Anche i sindacati, con i quali il protagonista cerca di risolvere la questione, non offrono una soluzione concreta, nella misura in cui le pur doverose vie legali adite contro i responsabili del licenziamento senza giusta causa comportano lunghissimi tempi di ricomposizione della controversia, mentre Thierry ha un bisogno immediato di reimmettersi nel mercato del lavoro e tirarsi fuori da una vicenda che lo ha esautorato psicologicamente. Ha una moglie e un figlio disabile, vive in una modesta abitazione e in questo periodo burrascoso l’unico momento di svago è rappresentato dalle lezioni di danza a cui partecipa con la consorte; il resto è solo inquietudine e incertezza. Non mancano, ovviamente, i rapaci responsabili della gestione dei finanziamenti che, nonostante rimangano solo cinque anni di mutuo da pagare, gli consigliano gaiamente di vendere la propria casa o, addirittura, di stipulare un’assicurazione sulla vita in previsione di una sua possibile dipartita.

Alla fine un lavoro lo trova, diventa responsabile della sorveglianza in un centro commerciale e il suo incarico non è solo quello di evitare i furti, ma di controllare anche che il personale non commetta atti illeciti. Ad occupare lo schermo, a questo punto, subentrano le immagini riprese dalle videocamere di controllo; la freddezza del loro sguardo oggettualizza i corpi, su tutti si stende un velo che declassa ciascuno all’anonimo rango di consumatore da sorvegliare nell’esercizio delle sue ‘funzioni’. Stessa sorte tocca ai lavoratori del centro commerciale che, osservati anch’essi come se si fosse all’interno di un perverso reality show, vengono umiliati senza alcun riguardo a causa di infrazioni di lieve entità. È a questo punto che Thierry deve decidere se lasciarsi completamente sussumere dalla funzione a cui è stato suo malgrado destinato o opporre un qualche grado di resistenza. Il finale, che non sveliamo, si consuma senza strepiti, sommessamente, con la distanza siderale dello sguardo documentaristico.

La legge del mercato ci convoca, semmai ci fossimo distratti, non solo a ripensare la drammatica deriva intrapresa dal mondo del lavoro, con tutti i processi di de-soggettivazione da esso innescati, ma anche, più in generale, le categorie attraverso cui leggere le istanze del reale, sganciandoci dalla sconfortante e oppiacea narrazione delle fantasmatiche opportunità derivanti dalla liquefazione del tessuto economico e sociale. Veniamo prepotentemente risvegliati da un sonoro ceffone e sbattuti contro la drammaticità di un futuro che è sinistramente alle porte.

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  • Anno: 2015
  • Durata: 92'
  • Distribuzione: Academy Two
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Stéphane Brizé