Inutile soffermarsi troppo sul cliffhanger nel quale siamo stati barbaramente lasciati. In effetti, a ben vedere, i passati finali di “stagione” hanno sempre fatto questo effetto, come quando da neonati ci veniva improvvisamente tolto il ciuccio di bocca. Probabile che sia anche ciò a determinare un seguito così appassionato e viscerale, tanto che si aspetta la puntata successiva in uno stato di crisi da astinenza.
Per fortuna una piattaforma come Netflix te li mette a disposizione tutti insieme gli episodi, per cui il meccanismo del binge watching è a portata di mano e abbastanza scontato. Ma attenzione, perché c’è persino chi riesce a resistere, e si conserva e centellina ogni minuto, in maniera sistematica e certosina, così da far durare una serie di soli otto episodi per mesi interi.
Per avere forse più chiaro il discorso, ricordiamo che La casa di carta è composta di due sole stagioni (almeno per il momento), ciascuna delle quali formata da due parti. Nella prima siamo nella Zecca di Madrid, nella seconda nella sede centrale del Banco de España. Motivo per cui se oggi si parla de La casa di carta 4, teoricamente non si tratta di una vera e propria quarta stagione, ma di una quarta parte che va a concludere la seconda stagione. Tralasciando questo aspetto un po’ arzigogolato, passiamo alle cose che contano.
La casa di carta 4 riprende da dove eravamo rimasti e mostra la forza del progetto
Dicevamo quindi che si riprende col botto, in ogni senso, reale e metaforico. Nairobi (Alba Flores) è stata gravemente ferita, il Professore (Álvaro Morte) è in fuga ma crede che Lisbona (Itziar Ituño) sia morta, Palermo (Rodrigo de la Serna) ha preso in mano le redini della situazione. Nel frattempo la polizia non sa – come al solito – che pesci prendere.
La forza irrompente e indiscutibile di un progetto come questo è nella creazione non tanto del contesto, che comunque ha la sua valenza, quanto piuttosto nello sviluppo di un insieme di figure una più iconica dell’altra. Figure che nel corso delle stagioni hanno subito, o meglio meritato, un’evoluzione, un approfondimento da parte degli sceneggiatori.
Se da un lato ci sono i leader, perchè è evidente ce ne sia più d’uno, rigorosamente caratterizzati da un egocentrismo tirato al massimo e da ferite del passato mai rimarginate, dall’altro ci sono gli aiutanti, o spalle, o comprimari che dir si voglia, e sono altrettanto stratificati e pregni di sostanza dei primi. Difficile non trovare una sintonia con almeno uno dei personaggi.
Attraverso le loro storie personali, impeccabilmente raccontate tra un flashback e un altro, si ha la possibilità di argomentare ogni aspetto dell’esistenza, dalla malattia alla moralità, dalla gelosia alla violenza, dall’amore alla morte, e così via. Ne emerge uno spaccato completo, realistico, solido, a cui fa da contrappunto l’incredibilità del contesto in cui questi uomini e donne si muovono, travolgendo tutto e tutti.
Al di là delle scene ad altissimo tasso di adrenalina e di quelle in cui la tensione si taglia col coltello, sono infatti le relazioni interpersonali, con ciò che ne consegue, a far sì che ci si ritrovi completamente e perdutamente avvinti da quanto accade dentro (e fuori!) lo schermo. Tra prese di posizioni e schieramenti che cambiano come cambia il vento, ma che appaiono quasi sempre giustificati da un preciso gesto o da un sentimento, ogni componente della banda entra a un certo punto, a pieno diritto, nelle attenzioni del suo pubblico. Tutti hanno così il loro spazio, chi più chi meno, ma non esiste un personaggio che non sia riconosciuto, e probabilmente amato.
La casa di carta 4 | L’eredità lasciata da (chi indossa la maschera di) Dalì
E la cosa bella, ma anche sconvolgente e a volte rischiosa, non è solo l’affetto che si prova verso queste figure comunque fittizie, quanto piuttosto l’immedesimazione per cui si inizia a ragionare, o peggio ad agire, come un Berlino (Pedro Alonso) o una Tokyo (Ùrsula Corberó), persino nella vita di tutti i giorni.
A creare simili legami intervengono chiaramente le tematiche trattate: si pensi al discorso che Berlino fa più volte al Professore, nel corso della serie, e che riprende nella prima puntata de La casa di carta 4, quando sottolinea l’importanza della vita, in un’ipotetica lotta tra l’amore e la morte. “La morte può essere la migliore opportunità della vita”, dice uno dei beniamini della saga al fratello minore. E lo ribadisce, parlando di tradimenti, che sono alla base della vita stessa, indissolubilmente intrecciati a essa, punti di vista non necessariamente intesi in maniera manichea.
Ugualmente determinante risulta la questione femminile, per cui aumentano le figure di donne forti e autoritarie, che alternano l’aspetto materno a quello di vere e proprie badass a seconda dell’occasione. Dagli scontri tra loro si hanno alcuni dei momenti più potenti e autentici della storia. Non mancano infine riferimenti a un passato tempestato di esperienze traumatiche, più o meno recenti ma che ti cambiano per sempre: ne sono un esempio il personaggio di Marsiglia (Luka Peros), ma in qualche modo anche quelli di Palermo, Nairobi, Rio (Miguel Herrán) o Denver (Jaime Lorente). E forse non è un caso che anche Salvador Dalì, il cui volto è la maschera ispiratrice della banda e di tutti coloro che la idolatrano, ebbe un’esistenza pregna, tutt’altro che semplice e lineare.