Nel segno della riunificazione tedesca
Coi premi assegnati ufficialmente la sera prima, il 31° Trieste Film Festival ha subito voltato pagina, proponendo il 22 gennaio una giornata davvero particolare, al Teatro Miela: il focus ribattezzato Time Will Tell (1990 – 2020: trent’anni dalla riunificazione tedesca). Quasi un proseguimento delle celebrazioni relative alla caduta del Muro (cui Taxi Drivers aveva dedicato nel 2019 un ampio speciale), volendo, ma soprattutto un interessante tentativo di analizzare gli effetti della riunificazione tedesca, attraverso l’accurata e oltremodo varia selezione di opere riproposte per l’occasione sul grande schermo; tra queste ben due, un documentario e un lungometraggio di finzione, dedicate alla controversa figura di Gerhard Gundermann, cantautore e poeta della DDR talora ricordato come “il Bob Dylan delle miniere”.
Eppure, colpo di scena, in questa accurata retrospettiva si è trovato spazio anche per l’horror più estremo…
Un goliardico tributo a Tobe Hooper
Per quanto la caduta del Muro di Berlino sia stata generalmente accolta con sollievo, da quei tedeschi costretti per decenni a vivere in due stati separati, con un rigido e militaresco controllo imposto ad est per limitare al massimo i contatti della cittadinanza con l’occidente, non si può dire che il processo di riunificazione tedesca non abbia palesato da subito aspetti contraddittori, che potevano spaziare da forti momenti di conflittualità sociale ad altrettanto serie problematiche di natura politica ed economica.
Non nuovo a provocazioni del genere, un artista cinematografico e teatrale irriverente come Christoph Schlingensief fu tra i primi nel 1990 ad irridere maliziosamente a certi facili entusiasmi, girando in appena due settimane The German Chainsaw Massacre (ovvero Das Deutsche Kettensägenmassaker, in tedesco), secondo capitolo della trilogia iniziata nel 1989 con 100 Jahre Adolf Hitler e proseguita poi nel 1992 con Terror 2000. Ma probabilmente l’episodio più caustico resta proprio quello in questione, stante la sostanziale equiparazione tra il Texas dell’era Nixon e la Germania appena riunificata, nel segno di una parafrasi del cinema di Tobe Hooper tanto demenziale quanto sottilmente feroce.
Notevole, del resto, il tempismo: se la riunificazione aveva avuto luogo ufficialmente il 3 ottobre 1990, già dal 29 novembre The German Chainsaw Massacre cominciava a circolare nelle sale tedesche. Cotto e mangiato, si potrebbe anche dire. Un po’ come i cittadini della DDR nel film…
Ricordarsi di controllare sempre gli ingredienti dei wurstel
Su una Trabant verso la libertà. In principio alcune immagini di repertorio, relative alla caduta del Muro e ai festeggiamenti per la ritrovata unione tra le due germanie, con la Porta di Brandeburgo festante sullo sfondo, potevano far presagire agli incauti spettatori un approccio serio, quasi documentaristico, all’argomento. Niente di più sbagliato. La precipitosa partenza sull’arcinota (e famigerata) utilitaria tedesca della bionda protagonista, desiderosa di raggiungere al più presto l’Eden immaginato in Germania occidentale da lei e dall’ancor più sprovveduto fidanzato, sarà invece foriera di un totale delirio: tra cambiamenti stilistici e di formato apparentemente folli, epifanie surreali come quelle dei doganieri comunisti rimasti disoccupati ed altre grottesche trovate, si scoprirà che i cittadini della DDR in trasferta sono destinati a diventare succulenti wurstel, non prima di essere macellati da uno sguaiato e balordo clan famigliare della Germania Ovest!
Se l’evidente parodia del classico Non aprite quella porta assume già punte esilaranti, complice un uso divertito e parossistico della componente splatter, è la galleria di assurdi personaggi a far guardare con simpatia all’intera operazione, dichiaratamente trash, ma in grado di associare ai toni scanzonati un controcanto della retorica ufficiale dell’unificazione a tratti irresistibile, specie in virtù di dialoghi tanto fuori di testa quanto sfacciatamente satirici.