La donna che lo visse due volte
Non ce ne vogliano gli ammiratori di Sir Alfred Hitchcock, se ci viene da scomodare subito La donna che visse due volte. Il titolo di questo suo capolavoro ci è solo di supporto. Perché ieri sera al Trieste Film Festival c’era invece lei, una bella ed elegante Kasia Smutniak, ad introdurre il remake polacco del cult movie nostrano Perfetti sconosciuti.
Nelle vesti di donna che l’ha vissuta due volte, tale esperienza cinematografica, visto che da brava stakanovista l’attrice e modella di origini polacche, forte del suo bilinguismo, ha recitato sia nell’originale che in questa nuova versione realizzata nell’Europa dell’Est.
Scopri le differenze
In realtà Kasia Smutniak, intervistata sul palco dai padroni di casa del festival triestino Nicoletta Romeo e Fabrizio Grosoli, ci ha tenuto a specificare che in genere non le piace ripetersi, vorrebbe giustamente diversificare le proprie apparizioni cinematografiche, specie in un paese come l’Italia che al momento tende a non offrire grossi ruoli alle donne.
Quando però le è stato chiesto di tornare in Polonia per interpretare (Nie)znajomi di Tadeusz Śliwa, ha ritenuto che l’adattamento polacco di Perfetti sconosciuti contenesse qualcosa di interessante su cui lavorare.
Ad una condizione, magari: verificare prima con il regista il menu della famigerata cena, visto che già nella precedente occasione si era resa conto di quanto snervante potesse essere assaggiare quotidianamente le stesse portate, per esigenze di copione, durante tutta la durata delle riprese!
Questo buffo aneddoto è giusto un esempio delle tante curiosità, delle testimonianze dal set e delle riflessioni argute, che la Smutniak ha sciorinato prima della proiezione, commentando e ricordando così al pubblico la sua duplice esperienza.
Alla faccia dei radical chic
Del resto, come molti sanno già, Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese è di per se un caso singolarissimo: il film italiano (e non solo, probabilmente…) con più remake accertati al mondo. Un bel pugno allo stomaco, per quei critici snob e per quella pletora di radical chic, che, all’epoca, minimizzarono la portata di questa tagliente tragicommedia, non riconoscendo la modernità del soggetto e l’universalità di certe stoccate rivolte alla società contemporanea, sempre più arida e schiava delle novità tecnologiche.
Non vorremmo rubare a Lars von Trier l’idea de Le cinque variazioni, dopo aver già commesso un furto ai danni di Hitchcock, ma se è vero che il diavolo sta nei dettagli, proprio analizzare le piccole differenze di scrittura e di messa in scena tra le versioni realizzate in paesi così distanti geograficamente e culturalmente sarebbe importante esercizio ermeneutico, in grado di fornire non poche soddisfazioni.
Noialtri, a dire il vero, alcune di queste versioni le abbiamo già visionate, in questi anni: del remake iberico, Perfectos desconocidos, ci aveva colpito ad esempio il tentativo (più o meno riuscito) del dissacrante Álex de la Iglesia di mettere in evidenza le circostanze più bizzarre del racconto, così da accentuarne sottilmente la componente weird e grottesca; mentre nel rifacimento sudcoreano di Lee Jae-kyoo, Intimate Strangers, era l’impatto scenografico dello sfarzoso arredamento domestico a salire in primo piano, introducendo il discorso delle più marcate differenze di classe.
La variante polacca
Partendo da tale assunto, abbiamo ravvisato in (Nie)znajomi di Tadeusz Śliwa una serie di tratti specifici, corrispondenti in alcuni casi a pregi e in altri a motivi di debolezza del lungometraggio.
Possiamo per esempio prendere spunto da una mezza ammissione di Kasia Smutniak, alquanto sincera nel parlarne, per rimproverare all’autore polacco un finale troppo convenzionale, differente in ciò da quello più articolato della versione italiana, foriero a nostro avviso di una feconda e intelligente ambiguità. Allo stesso modo poco ci sono piaciute le sottolineature lisergiche della lunga sequenza in cui una canna viene fumata a tavola, poiché il peso dato a una simile digressione appare gratuito, tale da affievolire le tensioni fin lì accumulate, invece di farle crescere.
Molto più interessante il lavoro effettuato sulla musica, su singole inquadrature studiate ad arte per rivelare determinati atteggiamenti dei protagonisti, nonché su un adattamento dei dialoghi particolarmente ricco e vivace che offre un background alquanto vario, delle tensioni e dei contrasti in atto nella società polacca: dalla diffidenza nei confronti dell’Unione Europea al disagio profondo che l’omosessualità può suscitare in certi ambienti, con reazioni omofobe parse alquanto spropositate rispetto ad altri film del suddetto “filone”.
Infine una chicca, il modo di guardare all’Italia, che può essere interpretato quale obliquo tributo al prototipo realizzato da Genovese (in un garbato gioco di specchi) ma anche come riflesso di un legame economico e culturale evidente, profondo, visto il discreto numero di persone emigrate in passato, per esigenze lavorative, dalla Polonia all’Italia.